Il contratto di lavoro intermittente è un contratto nuovo che non esisteva nel nostro diritto del lavoro, ma è comunque, pacificamente, un normale contratto di lavoro subordinato che, quindi, può essere legalmente svolto da un cittadino extracomunitario che, in base al principio di pari trattamento e pari opportunità, sancito dall’art. 2 del Testo Unico sull’Immigrazione e, prima ancora, dalla Convenzione n.143 del 1976 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha il diritto di svolgere qualsiasi attività lavorativa alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.
Il contratto di lavoro intermittente, creato recentemente con l’art.33, comma 1, della cosiddetta Legge Biagi (D.Lgs.276/2003, adottato in base alla delega di cui alla legge del 14 febbraio 2003, n. 30), può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. La caratteristica del contratto di lavoro intermittente è quella di non assicurare una totale continuità di prestazione lavorativa ma, nonostante ciò, di assicurare comunque, per tutta la durata della prestazione effettiva, una retribuzione come definita dai contratti collettivi.
Per quanto riguarda invece i periodi di indisponibilità, ossia i periodi in cui il datore di lavoro non ha bisogno della prestazione del lavoratore, la legge prevede un’indennità di disponibilità, definita parimenti dai contratti collettivi nazionali di categoria settore per settore, che ha la funzione di assicurare un pur minimo corrispettivo in cambio della disponibilità assicurata dal lavoratore a presentarsi in base alla chiamata che, volta per volta, viene effettuata dal datore di lavoro.
Si tratta di un contratto di lavoro subordinato che permette legittimamente di rinnovare il permesso di soggiorno, a condizione però che questa attività garantisca un reddito sufficiente. Il parametro legale del reddito sufficiente è collegato al cosiddetto assegno sociale o pensione sociale che ammonta a poco più di 4.500 €. Di conseguenza, se il contratto di lavoro intermittente stipulato, assicura, tra trattamento di retribuzione per il periodo di lavoro effettivo e indennità di disponibilità, un reddito minimo pari all’importo annuo dell’assegno sociale, potrà dare titolo serenamente al rinnovo del permesso di soggiorno.
Diversamente, la persona interessata dovrebbe assicurarsi l’integrazione di un minimo di reddito anche con altre prestazioni lavorative di tipo subordinato o autonomo; il problema non è quindi quello del tipo di contratto ma, come anche per qualsiasi altro contratto di lavoro, quello di avere un reddito minimo.
Rinnovo pds – Può creare problemi avere un contratto di lavoro intermittente?
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