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Rinnovo pds – Si può chiederlo per attesa occupazione?

Il quesito rivoltoci offre lo spunto per parlare ancora del problema legato al periodo di disoccupazione, ma sotto un altro profilo. L’interessato spiega che ha dovuto attendere quattro mesi per avere il pds per attesa occupazione e, quindi, dei sei mesi che la legge mette a disposizione per trovare nuova occupazione (art. 22, comma 11, Testo Unico sull’Immigrazione), l’interessato ha potuto, di fatto, utilizzarne solo due; ciò perché ben quattro mesi sono stati mangiati dal tempo di attesa del pds.
In altre parole, come purtroppo si verifica spesso, il permesso di soggiorno è stato consegnato ad una certa data, ma porta la data di rilascio di quattro mesi prima, probabilmente coincidente con la data di rinnovo dello stesso. Ne discende che dalla data in cui ha richiesto il rinnovo, al momento in cui è stato rilasciato il permesso di soggiorno, questa persona non è stata in possesso di nessun permesso di soggiorno, ma solo di una banale ricevuta con la quale molti datori di lavoro si trovano in difficoltà, per evidente diffidenza, a formalizzare una regolare assunzione.

Infatti la maggior parte dei datori di lavoro quando un immigrato si offre per intraprendere un lavoro regolare, chiedono un permesso di soggiorno e quando questi esibisce la semplice ricevuta della questura (o peggio il biglietto di prenotazione che rilascia l’appuntamento per la successiva presentazione in questura), preferiscono dire “Torna quando avrai il permesso di soggiorno rilasciato”. Inoltre l’ulteriore sorpresa – come è capitato anche alla persona di cui al quesito – è che quando viene ritirato il permesso di soggiorno si scopre che quattro dei sei mesi previsti sono già stati consumati.
Nel frattempo il permesso di soggiorno è rimasto all’interno della questura; probabilmente, in base ad una “finzione giuridica”, si finge che il permesso di soggiorno sia stato rilasciato immediatamente al momento della presentazione della richiesta, quando in realtà la persona interessata ha aspettato ben quattro mesi per poter ottenerlo. Ecco che, con una specie di “miracolo burocratico”, quel permesso di soggiorno sulla carta rispetta le forme richieste perché porta la data di quattro mesi prima.
In questo modo accade però che un permesso di soggiorno della durata di sei mesi, di fatto, si tramuta in un permesso di soggiorno che ha solo due mesi di effettivo utilizzo possibile.
E’ peraltro verosimile che eventuali opportunità di lavoro rinviate al momento del rilascio del permesso di soggiorno siano state nel frattempo accolte da altri candidati e, di questi tempi, non è facile in due soli mesi a disposizione trovare una nuova occupazione.
Se, per ipotesi, il tempo residuo non fosse sufficiente all’interessato per trovare un’occupazione, riteniamo che possa comunque rivendicare una proroga se ed in quanto si è in condizione di dimostrare che il permesso di soggiorno è stato concretamente consegnato quattro mesi dopo rispetto alla data che formalmente risulta indicata come data di rilascio del permesso stesso. Se la legge dice che viene rilasciato un permesso di soggiorno di sei mesi, non occorre un’interpretazione giuridica di alto profilo per capire che tutti quei sei mesi devono essere messi concretamente a disposizione con un permesso di soggiorno in mano per la ricerca di una nuova occupazione.
Ricordo che secondo la legge Turco – Napolitano (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286), il tempo minimo garantito per la ricerca di una nuova occupazione era di un anno e che con la legge Bossi Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189) è stato dimezzato a sei mesi. Parrebbe pertanto opportuno che il periodo previsto dalla stessa debba essere effettivo e non debba essere consumato burocraticamente con la giacenza in questura o con una sorta di finzione giuridico burocratica.
Quindi, riteniamo che la persona che scrive abbia il diritto di rivendicare un’integrazione della durata di validità del soggiorno; ciò perchè i sei mesi si devono poter contare dalla data di effettiva consegna del permesso di soggiorno, ovvero di effettiva spendibilità sul mercato del lavoro dello stesso. Questo anche perché è fin troppo ovvio considerare che già i datori di lavoro sempre più spesso non assumono i regolari a causa di problemi legati al permesso di soggiorno ed è altrettanto chiaro che un datore di lavoro che si vede proporre un’assunzione da parte di un lavoratore con un soggiorno ormai prossimo alla scadenza, potrebbe anche temere che poi, una volta assunto il lavoratore, non sia possibile proseguire un rapporto a causa di un rifiuto di ulteriore rinnovo.
In molti casi abbiamo verificato che alcune questure applicano la prassi di indicare come data di rilascio del permesso di soggiorno quella coincidente con l’appuntamento per formalizzare la richiesta di rinnovo, mentre invece l’effettivo rilascio del permesso di soggiorno è avvenuto a distanza di tempo (anche di mesi).
Se questo fosse capitato anche nella questura alla quale si è rivolta l’interessato e, quindi, fosse dimostrabile che questa prassi sia eseguita sistematicamente in tutti i casi, è chiaro che ciò renderebbe più agevole la dimostrazione del fatto che il pds non è stato effettivamente consegnato nella data che formalmente viene indicata sul permesso, bensì in una data abbondantemente successiva.
Diversamente, se si dovesse trattare di un permesso rilasciato da una questura che non segue questa prassi e che, solo per un disguido, lo ha consegnato in ritardo rispetto alla data di rilascio, sarebbe più difficile dimostrare che è stato “effettivamente” rilasciato in una data successiva, anche se normalmente, alla consegna dei permessi gli operatori fanno sempre sottoscrivere una ricevuta con la data. In teoria potrebbe essere sempre verificabile la data di effettivo rilascio del permesso di soggiorno.
Sempre nell’ipotesi che questa persona non riesca a trovare un’occupazione nel poco tempo rimasto a disposizione, possiamo suggerirgli di presentare una formale istanza scritta alla questura, ove esposte le circostanze del caso, chiedendo una proroga affinché sia garantita l’effettiva disponibilità dei sei mesi garantiti dalla legge.