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Risarciti i danni al richiedente asilo: gli è stato impedito di formalizzare la domanda reiterata di asilo

Corte di Appello di Roma, sentenza del 29 ottobre 2020

Le sofferenze inflitte ai rifugiati sono incalcolabili, ma è giusto che chi le causa paghi.
Il Giudice della Corte di Appello di Roma ha riconosciuto un danno non patrimoniale di 3.000 euro che il Ministero dell’Interno dovrà esborsare per le pessime prassi adottate dalla Prefettura di Roma e dalla Questura di Roma. Prassi che hanno violato i diritti e la dignità del ricorrente al quale era stato ostacolato l’accesso alla procedura d’asilo e che tutt’oggi è privato dell’accoglienza.
Una sentenza importante della Corte d’Appello di Roma che ha inoltre definitivamente delegittimato l’automatismo adottato da molte questure nel dichiarare inammissibili le richieste reiterate di protezione internazionale presentate nelle more dell’esecuzione di un provvedimento di espulsione.
L’automatismo tra domanda reiterata e sua inammissibilità non è infatti previsto sic et simpliciter dalla legge”- chiarisce il giudice – “senza cioè l’esercizio di alcun potere discrezionale dell’Amministrazione”, chiarendo in modo inequivocabile che “la norma non attribuisce alcun potere di esame alla Questura, che è quindi tenuta in ogni caso a riceverla” (la richiesta reiterata ndr).

Una giusta sentenza perché sancisce il diritto di accoglienza per tutti anche con richiesta reiterata quando il Giudice riconosce che: “una volta impossibilitato a presentare l’istanza reiterata, richiedente non ha potuto (…) soggiornare nelle strutture di prima accoglienza di cui all’art. 9 ed 11 d.lgs. 142/2015”.
Un punto dirimente per le decine se non centinaia di richiedenti asilo esclusi dal sistema di accoglienza che la sentenza chiarisce e senza distinzioni quando afferma che “lo stesso art. 14 IV comma del medesimo decreto legislativo assicura, al richiedente privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata, le misure di accoglienza per la durata del procedimento di esame della domanda dinanzi alla Commissione; misura di accoglienza anch’essa preclusa all’odierno appellante, perlomeno nel lasso di tempo di cui ora si dirà”.
Un risultato che, ci teniamo a dirlo, ha premiato la tenacia dell’istante, che ha dovuto attendere due anni affinché giustizia fosse compiuta, raggiunto grazie alla straordinaria collaborazione tra le associazioni che hanno assistito il richiedente asilo e lo studio legale, finalizzata a poter evidenziare la “frustrazione e lesione della propria dignità” riscontrata dal giudice nel quantificare il danno morale.

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Corte di Appello di Roma, sentenza del 29 ottobre 2020