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da Il Manifesto del 10 aprile 2005

Rivolta nel cpt di via Corelli

di Giorgio Salvetti

Ancora botte nel centro di detenzione di via Corelli. Un marocchino di 19 anni e un cittadino brasiliano di 22 la scorsa notte sono finiti in manette per danneggiamenti dopo una rivolta sedata dalla polizia. Trenta migranti sono in sciopero della fame. Eppure, ancora una volta, questura e prefettura raccontano un’altra storia: sì, c’è stato qualche attimo di tensione ma la situazione è subito tornata alla calma grazie all’intervento soltanto degli «agenti» della Croce Rossa. Due versioni e una sola certezza: il cpt milanese di via Corelli è un vero e proprio carcere per persone che non hanno commesso alcun reato e con in più l’aggravante che è quasi impossibile sapere ciò che succede là dentro. Certo è che ogni volta che si apre un varco nella coltre di silenzio, si viene a conoscenza di quotidiani episodi di violenza e di una situazione di disperazione che troppo spesso porta gli stranieri ad atti di autolesionismo.
E’ successo così anche venerdì, intorno a mezzanotte. Uno degli «ospiti» si è fatto dei tagli e ha ingerito dei liquidi tossici. Perdeva molto sangue. L’ambulanza che doveva soccorrerlo sarebbe arrivata con 40 minuti di inspiegabile ritardo e questo ha esasperato gli altri stranieri. Quando finalmente i soccorsi sono arrivati, un gruppo di detenuti ne ha approfittato per uscire dalle stanze, ed è scoppiata la rivolta. Sono finiti in frantumi alcuni vetri ed è a quel punto che la Cri avrebbe fatto entrare in azione la polizia; nel frattempo, in un’altra ala del cpt, probabilmente quella riservata ai transessuali, i migranti hanno dato fuoco a un paio di materassi. Solo dopo qualche tempo la polizia, senza andare troppo per il sottile, ha «riportato l’ordine».

«Proprio in quel momento stavo parlando al telefonino con uno degli stranieri di via Corelli – racconta Vittorio Agnoletto, europarlamentare del Prc – e ho sentito urla, vetri che si rompevano, poi è caduta la comunicazione». Agnoletto era stato interpellato dalle associazioni antirazziste messe in allarme via telefonino proprio dagli «ospiti» del cpt. Cercare un parlamentare, in questi casi, è l’unica via per tentare di ottenere informazioni.
Rimbalzato da questura e prefettura, Agnoletto è riuscito a parlare con uno degli ispettori di polizia presente nel cpt: «Ha ammesso l’intervento della polizia, gli incendi, un migrante salito sul tetto, e che in questi casi …». Una versione non ufficiale ma molto simile ai racconti dei reclusi, che però non coincide con la versione ufficiale, sempre stringatissima, fornita dopo qualche tentennamento dalle autorità: la situazione sarebbe rientrata velocemente senza intervento della polizia. Questo è ciò che è stato comunicato anche alla delegazione composta da Fabio Parenti del Naga, Piero Maestri del Comitato fermiamo la guerra e Fabio Zerbini della campagna Via Adda non si cancella, che l’altra notte sono corsi in via Corelli. I tre però sono stati bloccati sulla via d’acceso al cpt perché «solo parlamentari e consiglieri regionali possono entrare» e sono stati liquidati con poche parole.

Per questo hanno coinvolto Marco Fumagalli, parlamentare dei Ds; e con lui un’altra delegazione ieri sera è riuscita ad entrare, mentre una quarantina di persone ha organizzato un presidio fuori dal cpt, protetto da numerosi poliziotti. I migranti hanno confermato che la polizia è stata fatta entrare dopo che un ragazzo ha spaccato un vetro e sono cominciate perquisizioni delle camerate particolarmente dure. «Ci hanno strappato il Corano – hanno detto – e uno di noi è stato messo in ginocchio». In quel momento nell’altra ala, quella dei brasiliani, sono state bruciate alcune coperte. Il marocchino finito in carcere sarebbe il giovane che ha frantumato la finestra, l’altro arrestato è un trans brasiliano che però è già stato riportato nel cpt. Così è da sempre in via Corelli. Lo sanno bene associazioni e movimenti antirazzisti milanesi che da qualche tempo hanno ricominciato ad occuparsi con assiduità del centro di detenzione. «Abbiamo intenzione di attivare un sistema di monitoraggio permanente – spiega Fabio Parenti – per creare un circuito che coinvolga associazioni che hanno contatti all’interno del cpt e, quando necessario, parlamentari. Per evitare che casi come questo continuino ad accadere nel silenzio».