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da il manifesto del 7 novembre 2007

Rom di Pavia, scontro postumo

Il neonato Pd locale si aspettava un «grazie» per il «pericolo sventato», «considerata l’evoluzione della situazione nazionale». Ma i consiglieri di maggioranza si scagliano contro la giunta di centrosinistra che ha sgomberato gli zingari. Che però ormai sono andati via tutti
Clelia Cirvilleri
Pavia

Quando, all’inizio del settembre scorso, abbiamo raccontato il brutale sgombero di una piccola comunità rom ad opera della giunta di centrosinistra pavese, ancora ci si poteva illudere che si trattasse di un caso estremo e isolato; eccessi di un nord ricco e provinciale, segnato dal suo recente passato padano. Oggi sappiamo che non è così. Ma cosa ne è stato dei rumeni dell’ex-Snia e di Piera Capitelli, sindaca Ds alfiere della difesa contro il barbaro invasore? Lunedì sera il consiglio comunale della cittadina lombarda si riuniva per discutere della gestione dello sgombero. Un ordine del giorno in calendario dal 17 settembre scorso, ma che la giunta è riuscita in vari modi a procrastinare. Ed è accaduto che i consiglieri di maggioranza si siano scagliati contro la propria giunta. Ma ormai da Pavia i rom sono stati cacciati tutti, con le buone (rimpatrio con bonus) o con le cattive (minacce e manifestazioni fascio-leghiste). Dunque, l’assemblea non ha potuto che prenderne atto.
Nei posti riservati al pubblico della sala del consiglio sedevano anche Ileana e Victor Vaduva. Il 31 agosto la baracca dove vivevano con i loro cinque figli è stata distrutta dalle ruspe inviate dal comune. L’area dell’ex Snia, dove fino agli anni ottanta si produceva viscosa, era malsana davvero, tanto che alcuni membri della comunità hanno contratto malattie ormai dimenticate nel nostro paese, come la Tbc.
Per loro, e per altri circa 150 connazionali, è iniziata da quel momento un’odissea: prima ammassati sotto tendoni di fortuna in un parcheggio, poi caricati sui torpedoni del comune, che ha tentato col favore delle tenebre di distribuirli fra cascine diroccate, ex poligoni di tiro, palestre, case diocesane. Ma regolarmente gli abitanti non si lasciavano cogliere di sorpresa: guidati da sindaci e amministratori, stesi a terra per impedire il passaggio dei pulmann o raccolti nelle piazze, sono riusciti a rimandare al mittente molti dei «convogli». Spesso al grido «camere a gas».
Nel frattempo, il comune di Pavia aveva convinto alcune famiglie rom ad andarsene «volontariamente». Tornare in Romania, si diceva. Con 250 o forse 1500 euro in tasca. Sufficienti per prendere un treno verso un altro accampamento della zona. Oppure per restare in città, nascosti, vivere di espedienti. Dopo una decina di giorni, e mentre montava il clamore della stampa nazionale attorno alla gestione dello sgombero, il centinaio di superstiti dell’ex comunità Snia sono stati smistati in piccoli gruppi e alloggiati in alcuni paesi del circondario. Fuori dal territorio comunale, comunque. Da quella data, il sindaco ha dichiarato la questione rom ufficialmente «risolta».
La famiglia di Ileana e Victor si è ritrovata sotto una tenda. Altri hanno dovuto fare i conti con casolari fatiscenti isolati nelle campagne, senza acqua né luce. Le squadracce padane e forzanuoviste li hanno rapidamente individuati. Si sono organizzati presidi permanenti e ronde sempre più violente. Due comizi di Roberto Fiore e uno di Mario Borghezio hanno raccolto un buon seguito. Mentre tentava di rincasare dopo una delle molte serate trascorse asserragliata con le famiglie, la consigliera comunale Irene Campari è stata aggredita con calci, pugni, insulti e sassi.
Sono andate molto forte anche le fiaccolate. In una di queste c’erano i bambini del paese ad aprire, chi con i lumi in mano, chi con uno striscione: «Fuori i rom da casa mia». Caso chiuso per il comune, i rom della ex-Snia hanno potuto fare affidamento sull’aiuto di un volontariato, laico e cattolico, agguerrito e generoso. Nelle riunioni operative, il prefetto Ferdinando Buffoni ha cominciato a convocare i volontari e non i servizi sociali. È grazie al suo buon senso e alla sua umanità, raccontano i volontari, se questa vicenda ha visto insperati spiragli di luce. Perché oggi i pochi rom sopravvissuti all’accanimento del dopo sgombero hanno quasi tutti un lavoro. Concordato con gli imprenditori locali direttamente dal prefetto, dalle associazioni di volontariato e dalla Camera del lavoro (che ha anche promosso, con don Colmegna, un viaggio in Romania per comprendere le origini della questione rom, oltre che studiare possibilità reali di rimpatrio).
Dalle panche dell’assemblea cittadina, i Vaduva hanno dovuto ascoltare il segretario cittadino del neonato Pd, Luigi Duse, che si aspettava dal consiglio almeno un «grazie» per un «pericolo sociale» che, «considerata l’evoluzione della situazione nazionale», «è stato fortunatamente sventato».
Ma sul caso rom, causa a settembre dell’abbandono del governo della città da parte di Rifondazione, per la prima volta i consiglieri della maggioranza hanno preso una posizione apertamente critica nei confronti della giunta. Ileana e Victor erano circondati anche da tanti cittadini increduli e indignati. Erano lì per raccontare che Pavia li ha riconosciuti, e forse si è riconosciuta, solidale.