Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 22 novembre 2007

Rom rumeni, ne mancano due milioni

Quanti sono i rom in Romania? Incredibile ma vero, questa è la domanda da cento milioni di dollari. Nessuno lo sa, e esistono soltanto delle stime prodotte dalle organizzazioni non governative o dalla polizia che parlano di circa 2 milioni e mezzo di persone. Ma l’aspetto più eloquente sta da un’altra parte: è il confronto tra queste stime e il censimento ufficiale dello Stato. Poiché i rom sono una minoranza riconosciuta ma almeno formalmente sono prima di tutto cittadini rumeni, lo Stato non può determinarne a priori l’origine. Nel modulo del censimento ci sono le caselle che indicano le minoranze del paese da barrare – come magiari e tedeschi. In occasione dell’ultimo censimento nel 2002 soltanto 530 mila persone si sono dichiarate rom. Che fine hanno fatto gli altri due milioni?

Lo zigano in parlamento
Ha buon gioco Madalin Voicu a rispondere, a chi gli chiede se è vero che i rom rumeni sono scappati dal loro paese in massa appena è stato possibile: «E chi lo può dire? Chi esce dalla Romania mostra il passaporto e lì c’è scritto soltanto ‘romeno’. Chi potrebbe dire, d’altronde, che io sono rom?». Di certo, non uno zingaro qualsiasi. Voicu è una vera celebrità. Considerato il rappresentante per eccellenza del popolo rom, oggi è senatore del Partito socialista, ma i suoi primi passi in politica li ha mossi con il Partito dei Rom – a cui è riservato per legge un seggio in parlamento – e di cui è stato a lungo anche presidente onorario. Ma Voicu è famoso soprattutto per essere un apprezzato direttore di orchestra, figlio di uno dei più grandi violinisti rumeni, Ion. Vero orgoglio della popolazione rom, Ion Voicu era così conosciuto da essere trattato come una specie di patrimonio nazionale anche dal regime comunista. Secondo Madalin non è corretto parlare di forme di discriminazione in Romania nei confronti della popolazione rom: «Dirlo è una sciocchezza. Certo, è tipico che la parola ‘zingaro’ venga utilizzata per apprezzamenti poco cordiali: mangi come uno zingaro, ti comporti come uno zingaro…ma siamo lontani dal poter parlare di razzismo.
Ci sono ovviamente delle persone appartenenti alla maggioranza che naturalmente reagiscono e si accaniscono contro la minoranza. E queste persone vanno accuratamente isolate. Ma la vera questione in Romania sono la fame e la miseria: si lavora per pochi soldi, la situazione sociale è molto grave. E il problema dei rom – continua Voicu – è che per la maggior parte conducono una vita di miseria, come molti rumeni d’altronde. La differenza è che mentre le persone appartenenti alla maggioranza si integrano a un determinato sistema civico, gli zingari per una serie di fattori sono rimasti ancorati a una sorta di primitivismo che spaventa la società rumena». Ovviamente Voicu è lontano dal ritenere che alcuni tratti culturali associati alla popolazione rom ne determinino l’essenza: «Deve essere chiaro: ciò che caratterizza la cultura rom sono la lingua, i costumi e alcuni lavori specifici – spiega il famoso artista – ma non posso accettare come tradizione la mancanza di interesse per la scuola, la mancanza di alcuni tipi di comportamenti etici o l’abitudine ad andare avanti giorno per giorno attraverso espedienti senza avere la capacità di progettare il futuro. Tutte queste sono scuse».
Ma allora come mai non funzionano i centinaia di progetti messi in campo dalla Romania per promuovere la piena cittadinanza dei rom? «Progetti!», sospira Voicu. «Sulla carta certi tipi di investimenti possono avere valore, ma in realtà la maggior parte dei soldi stanziati sono stati utilizzati per altri scopi sia dalle associazioni che da alcuni personaggi appartenenti alla popolazione rom». Secondo il senatore soltanto una può essere la risposta per aiutare la popolazione rom a vincere determinati stereotipi che la costringono alla marginalizzazione: «Investire nell’educazione». Sono ancora «scuse», invece, quelle avanzate da alcune teorie secondo le quali la sedentarizzazione forzata dei rom voluta da Ceaucescu è la causa di tutti i mali. «Ma che c’entra – esclama Voicu – il regime ha usato la forza per imporre determinate regole a tutta la popolazione e non soltanto ai rom. E il nomadismo era già finito da 100 anni».

Nella tana degli anticomunisti

Convinti invece che sia stato l’intervento violento del regime comunista a «destabilizzare la scala di valori della popolazione rom» sono i redattori della «Rivista 22 dicembre». Già dal nome, che ricorda il giorno della rivoluzione dell’89, si capisce che questo piccolo appartamento abbellito dalle riproduzioni delle opere dei più importanti artisti rumeni di avanguardia, come Dan Perjovschi – tutti collaboratori o amici della rivista – rappresenta uno dei più fieri pilastri contro il passato comunista della Romania. La volitiva direttrice Rodica Palade, all’epoca bibliotecaria, ha partecipato attivamente alla rivoluzione ed è tra le fondatrici del «Gruppo del dialogo sociale» che ha svolto un ruolo molto importante nella rinascita dell’intellighenzia rumena. Oggi con le sue 10.200 copie il settimanale esercita una certa influenza nel dibattito culturale e politico del paese. «La Romania ha esportato un problema che non è mai stato risolto qui. Le esigenze della minoranza rom sono sempre state ignorate, non sono state poste in campo specifiche strategie e queste ora sono le conseguenze», dice Palade che con Voicu è però almeno d’accordo su due cose: la prima è che l’Italia ha fatto altrettanto, permettendo che si creassero accampamenti di rumeni – rom e non – spesso impiegati nel mercato del lavoro al nero. La seconda è che la Romania ha fatto il suo ingresso in Europa mantenendo un livello salariale troppo basso. Sin dai suoi primi numeri, la «Rivista 22 dicembre» ha promosso e sostenuto la cultura rom. L’ultima iniziativa è stata finanziata dalla Fondazione Soros: si tratta di quattro numeri speciali dedicati alla questione rom.
«Nel ’77 Ceaucescu decise di ‘normalizzare’ con la forza i rom – racconta Palade – li costrinse negli appartamenti dove entrarono portandosi dietro le bestie e dove facevano i falò nonostante ci fosse il riscaldamento. Prima del comunismo era rarissimo che un rom si macchiasse di un reato, le comunità funzionavano benissimo. Poi sono state distrutte, e dalla caduta del regime sono uscite schizofreniche come d’altronde tutta la popolazione rumena. Ora parlare di recupero della tradizione è un mito. Occorre investire seriamente nell’educazione».

Rom e testa rasata

Che l’accesso a scuola sia prioritario e determinante è un concetto che ripetono tutti. Compreso Ciprian Necula, per il resto personaggio piuttosto sui generis. E’ l’ultima stella del mondo rom, rappresentante delle nuove generazioni. 28 anni, aria vissuta, Ciprian sta ottenendo un grande successo con la trasmissione «Rom europeo» che va in onda ogni sabato sul primo canale della tv pubblica e il cui share spesso supera quello dei notiziari. «Il nome è una merda, ma ho dovuto mediare con la produzione», spiega. E non è stata l’unica battaglia: «La trasmissione è finanziata anche dal governo, e potrà sembrare paradossale ma ci sono stati parlamentari rom che sono intervenuti per cercare di bloccarla sostenendo che questo doveva essere un programma culturale». Insomma «danze e violini», ride Ciprian, che invece ha puntato tutto sull’inchiesta: telecamere nascoste per documentare i buttafuori delle discoteche che non permettono l’ingresso ai rom, inchieste sulla condizione abitativa e scolastica che in alcuni casi hanno chiamato direttamente in ballo le istituzioni e le loro carenze creando dei veri e propri scandali con conseguente pagamento di ammende. «I rom a causa di un certo tipo di stereotipi sono da sempre marginalizzati. La questione è sempre guardata in un senso unidimensionale. Nessuno capisce che i rom sono tanti, molto diversi tra loro e che le sacche di povertà, almeno qui in Romania, rappresentano una minoranza». Non che lui sia un relativista: «Ritengo che alcune cose siano inaccettabili e vadano vietate per legge.
Ad esempio: non sopporto chi fa sposare i bambini, ma ritengo che nell’affrontare questo problema vada riconosciuto un fatto storico. Questa usanza deriva dall’epoca dello schiavismo dei rom, che è durato 500 anni, quando tra i nobili rumeni era abitudine regalarsi schiave rom vergini. Per questo le donne venivano date in spose da bambine, così si presupponeva non fossero più vergini. Oggi è diverso, ovviamente: è un rivoltante business della dote e come tale va considerato». Tuttavia: «Alcuni stereotipi, a cui i giornalisti italiani sembrano credere pienamente, servono molto alla politica. Qui in Romania è certo: i politici si sono a lungo masturbati con il problema rom. E mi sembra che lo stesso stia avvenendo in Italia. Dove mi permetto di dire che la democrazia dopo Berlusconi sembra non funzionare più tanto bene e al popolo italiano vorrei dare un consiglio: occhio all’estrema destra che, come da noi, è sempre pronta a spuntare da dietro l’angolo». Lui di estrema destra un po’ se ne intende. Da giovane ha militato nelle fila di un gruppo di skinhead «era la moda, ma sono stato anche rocker. Il fatto è che a lungo nella mia adolescenza ho lottato per seppellire la mia identità rom di cui mi vergognavo». A diciott’anni vide Voicu in tv (di cui per la verità oggi non è il principale estimatore) e si convinse che era necessario attivarsi per difendere il popolo di cui faceva parte: «Così oggi io sono tra le 563 mila persone che sono rom e lo dicono». I due milioni mancanti, dice Ciprian: «Non se ne sono andati dal paese, chi se ne va sono i più poveri, quelli che sanno di essere odiati. Al contrario, sono gli assimilati. Sono quelli che nella società rumena lavorano, vivono nelle case, ma non vogliono essere riconosciuti preferiscono rimanere invisibili». Come ha fatto lui fino a dieci anni fa.

Cinzia Gubbini