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Romania: un’altra svolta lungo la rotta balcanica

di Nidžara Ahmetašević, Refugee Rights Europe - 26 maggio 2021

Photo credit: LOGS

Insieme ad un gruppo di amici afghani, Ali 1 (20 anni) ha lasciato la Grecia a settembre dello scorso anno, sperando di raggiungere la sua famiglia in Germania. La madre, il padre e sua sorella minore sono partiti nel 2018 e Ali avrebbe dovuto raggiungerli poco dopo. Ma gli ci sono voluti più di due anni, tra cui più di sei mesi nei Balcani e innumerevoli respingimenti ai confini, per attraversare i Paesi europei e per avere la possibilità di riabbracciare i suoi cari.

Dalla Grecia, Ali è andato in Macedonia del Nord, poi in Serbia e in Bosnia-Erzegovina, con l’intenzione di continuare verso la Croazia. A settembre dello scorso anno per la prima volta insieme ad alcuni amici ha tentato “il gioco”, cioè l’attraversamento illegale dei confini statali per provare ad entrare in Croazia dalla Bosnia, ma è stato violentemente respinto. È stato il primo di numerosi tentativi effettuati nel corso dei mesi successivi per entrare in questo stato membro dell’Unione Europea. Ogni volta Ali e gli amici sono stati respinti, ancora e ancora, e ogni volta sono stati picchiati e i loro effetti personali sottratti e distrutti.

Ad un certo punto, nella primavera del 2021, stanco delle violenze e delle umiliazioni subite in Croazia, il piccolo gruppo ha deciso di tornare in Serbia e provare un nuovo percorso: raggiungere l’Ungheria tramite la Romania, proseguendo poi per l’Austria nella speranza di raggiungere la Germania. I ragazzi hanno attraversato il fiume Drina, tra Serbia e Bosnia, ancora una volta, e si sono diretti a Timisoara, la città più vicina al confine romeno.

Siamo entrati in Romania dalla Serbia e abbiamo cominciato a camminare”, Ali ricorda, “Dopo forse quattro ore siamo stati fermati dalla polizia. Non eravamo in una città o in paese, stavamo solo camminando per la strada. Si sono avvicinati, non ci hanno chiesto nulla, ma ci hanno afferrato, messi in auto e ci hanno riportati alla zona di confine. Durante il viaggio ci hanno sbattuto fuori dall’auto e hanno cominciato a picchiarci.
Uno dei miei amici ha subito più violenze di tutti. Ha cominciato a perdere sangue. Solo a quel punto la polizia si è fermata e abbiamo cercato di aiutarlo. Temevamo che potesse morire, aveva davvero un brutto aspetto. Prima di lasciarci andare hanno preso tutto ciò che avevamo, borse, telefoni…tutto, e lo hanno bruciato. Poi, ci hanno detto di tornare in Serbia. E noi siamo tornati
”. Ali e i suoi amici sono tornati ancora una volta in Bosnia. Dopo alcune settimane hanno cominciato un altro viaggio, ancora verso la Croazia. Finalmente, alla fine di aprile ce l’hanno fatta e hanno lasciato i Balcani. Ricorderanno, come riferisce Ali, le brave persone che hanno incontrato, ma anche la violenza della polizia e gli orrori ai confini.

La svolta nella Rotta Balcanica

Ali è solo una delle tante persone che negli ultimi mesi hanno deciso di provare il ‘gioco’ attraversando la Romania, subendo violenti respingimenti. Solo a marzo di quest’anno, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha registrato 991 espulsioni collettive dalla Romania verso la Serbia 2. Lo scorso anno, secondo la stessa fonte, il numero totale dei respingimenti accertati dalla Romania è stato di 13.409 3. Le organizzazioni che in Serbia lavorano con i migranti incontrano quotidianamente coloro che sono ritornati dopo i violenti respingimenti. A maggio, l’Asylum Protection Centre (APC), una delle organizzazioni che registra questi casi, ha riferito in un tweet che Hamid, dal Marocco, era stato picchiato dalla polizia di frontiera romena così ferocemente che alcuni mesi dopo era ancora costretto ad aiutarsi con un bastone per camminare 4.

Inoltre, le organizzazioni che lavorano con i migranti sia sul lato romeno che serbo del confine, hanno documentato che coloro che vengono fermati dalla polizia sono spesso detenuti per alcuni giorni in strutture simili a dei container, prima di essere trasferiti in uno dei sei centri sovraffollati del Paese o respinti. Durante la detenzione, le persone non hanno accesso alle docce o all’acqua corrente e hanno a disposizione solo due bagni pubblici mobili. Per anni la Romania, anche se membro dell’Unione Europea ma, come la Croazia, non membro Schengen, è rimasta fuori dalla Rotta Balcanica o è stata raramente usata 5.

Invece che in Romania, i migranti dalla Grecia si dirigevano, attraverso la Macedonia del Nord e la Serbia, verso l’Ungheria e la Croazia, proseguendo poi per Slovenia e Italia. Nel 2016, i confini sono stati chiusi con muri, filo spinato e violenza, prima dal lato ungherese e poi anche da quello croato. La Rotta ha cambiato la sua direzione alla fine del 2017, e si è rivolta alla Bosnia-Erzegovina 6. Le statistiche ufficiali dimostrano che più di 75.000 persone hanno fatto ingresso in questo Paese negli ultimi 3 anni. La Bosnia, che non fa parte dell’UE ed ha un’amministrazione e uno stato di diritto debole, non è andata incontro alle esigenze delle persone che sono arrivate nel Paese.

Nel 2018, l’Unione Europea ha deciso di rendere l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) il proprio collaboratore principale in Bosnia, assegnando all’organizzazione circa cento milioni di euro per assistere lo Stato nella ‘gestione dei migranti’. Parte del denaro è stato destinato alla costruzione di 8 centri, che sono sovraffollati e forniscono solo il necessario per vivere, contrariamente alle normative vigenti che richiedono un alloggio ‘umano e dignitoso’. Di fronte alle condizioni di vita precarie e non avendo la possibilità di regolarizzare il proprio status a causa delle difficoltà che si riscontrano nell’accesso al diritto di asilo 7], la maggior parte delle persone decide di partire e di dirigersi verso il nord Europa. Ma spesso l’ingresso all’Unione Europea viene loro impedito con la violenza.

L’Asylum Information Database (AIDA) indica che nel 2020 il numero delle persone che sono arrivate in Romania e hanno richiesto lo status di protezione è aumentato del 238% rispetto al 2019 8. L’aumento è evidente anche nel numero dei minori che viaggiano da soli. Nel 2019 le autorità hanno registrato 189 bambini non accompagnati, mentre nel 2020 il numero è salito a 980 9.

Condizioni di vita umilianti

Photo credit: LOGS
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A Timisoara, la città più vicina al confine con la Serbia, da autunno si vedono spesso persone in strada. Secondo gli attivisti locali, a maggio 2021, almeno 300 persone vivevano per le strade di questa città. Attualmente due gruppi, l’ONG Logs Social Initiatives Grup (Logs) e il collettivo autogestito Dreptul la Oraș (The Right to the City), insieme alla gente del posto, sono attivamente coinvolti nel fornire assistenza ai migranti. Entrambi sostengono che la situazione, a causa della pandemia e all’aumento del numero di arrivi, è peggiorata e sta diventando più difficile rispondere a tutti i bisogni delle persone.

Solitamente, fino allo scorso inverno, avevamo circa 2000 entrate registrate all’anno,” hanno detto alcuni membri di Dreptul la Oraș a Refugee Rights Europe (RRE), comparando il dato con quelli che si registrano al mese, tra le 500 e le 1000 persone, nel corso di quest’anno. Flavius Ilioni di LOGS ricorda che il periodo più duro finora è stato alla fine di novembre dello scorso anno, quando entrambe le organizzazioni non potevano soddisfare tutte le esigenze delle persone che vivevano in strada. Ma Ilioni ricorda anche che la comunità locale di Timisoara si è unita a loro mostrando un’enorme solidarietà. Oltre all’aumento del numero di persone, la pandemia e i lockdown hanno aggravato ulteriormente la situazione.

Così come in altre parti dei Balcani, e in Europa in generale, il lockdown è stato spesso utilizzato per inasprire le varie misure di sicurezza nei confronti di diversi gruppi di persone, e spesso nei confronti dei migranti. I costanti raid, spesso violenti, improvvisamente sono diventati episodi quotidiani a Timisoara, specialmente dopo un nuovo periodo di lockdown nella primavera 2021. In ragione di ciò, il modo di lavorare di LOGS è cambiato molto. Prima, erano soliti organizzare delle distribuzioni pubbliche di cibo e di prodotti non alimentari.

Negli ultimi mesi però è diventato difficile farlo, così hanno trovato un’altra soluzione: hanno cominciato a distribuire dei voucher per il cibo alle persone che vivono nelle strade di Timisoara e hanno aperto il Centro Diurno con docce e servizi igienici. Tuttavia, a causa delle stringenti misure di sicurezza e i raid nelle strade di Timisoara, il centro è diventato meno sicuro. “È stato difficile stare a guardare mentre la polizia entrava nel nostro spazio e prelevava le persone dal centro”, Flavius ricorda ciò che è accaduto lo scorso aprile. Oltre a questi gruppi locali di Timisoara e all’UNHCR, altre due organizzazioni sono coinvolte attivamente a livello statale nella questione dei migranti e dei rifugiati.

Il Consiglio Nazionale Romeno per i Rifugiati, il principale collaboratore dell’UNHCR, si è concentrato sull’accesso e sul diritto all’asilo, nonché sull’integrazione delle persone a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Gli sforzi del Consiglio e dell’UNHCR hanno avuto successo nel fornire vaccini alle persone richiedenti asilo a livello nazionale e il processo sta continuando 10. Il Centru de Documentare şi Cercetare în Domeniul Integrării Imigranţilor (Centro di Ricerca e Informazione sull’Integrazione degli Immigrati) è un’altra organizzazione attiva, che ha il fine di proporsi come punto di connessione per tutti coloro che fanno ricerca e svolgono diverse attività relative all’immigrazione in Romania 11.

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Una crescente ostilità

Al momento, oltre all’incremento della violenza e dei respingimenti, in Romania si affronta anche il problema del sovraffollamento dei centri di accoglienza. L’aumento del numero di persone è diventato un problema reale in questi centri, che hanno una capacità totale di 1.100 persone. I sei centri del Paese, situati a Timisoara, Şomcuta Mare, Rădăuţi, Galaţi, Bucarest e Giurgiu, attualmente non possono accettare tutte le persone che necessitano di un alloggio. Le persone hanno la possibilità di soggiornare in alloggi privati, ma con il permesso del governo e a proprie spese.

Coloro a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato possono soggiornare fino a 12 mesi nel centro di accoglienza, ma quando lo lasciano devono spesso affrontare una serie di problemi per trovare alloggio. Dreptul la Oraș fornisce loro assistenza, prestando particolare attenzione alla comunità LGBTQI+ e alle donne che viaggiano da sole. Il gruppo aiuta numerose famiglie che vivono al di fuori del centro, coprendo le loro spese mediche, alimentari, di affitto, nonché altri bisogni primari.

Fino a poco tempo fa i centri di accoglienza in Romania erano relativamente in buone condizioni, ma l’improvviso aumento dei nuovi arrivi li ha resi sovraffollati e invivibili. Le persone sono costrette ad utilizzare servizi igienici sporchi, alcuni dormono per terra ed è comune il raggruppamento di categorie diverse. Flavius Ilioni definisce le condizioni dei centri come “drammatiche” ed è preoccupato che le autorità non facciano abbastanza per migliorarle.

Le condizioni di vita sono importanti per motivare le persone a rimanere”; ritiene che mantenere le condizioni di vita sotto lo standard sia la via più semplice per il governo di sostenere che le persone non vogliono restare nel Paese. “Invece dovrebbero fare di più per migliorare tali condizioni. Ho sempre pensato: ‘Cosa fare per spronare le persone a considerare la Romania?’. È un Paese sicuro e, in riferimento al diritto di asilo, potrebbe essere una possibilità.”
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Recentemente la pressione pubblica ha fatto sì che le autorità fossero più coinvolte, promettendo di migliorare le condizioni di vita nei centri di accoglienza. Inoltre, l’atmosfera generale è cambiata significativamente in seguito ad un episodio dello scorso marzo, quando dopo una lite un migrante è stato ucciso. L’episodio è stato strumentalizzato dalle autorità per introdurre ulteriori misure restrittive, e il linguaggio usato dai mezzi di comunicazione nei confronti dei migranti è diventato più ostile, influenzando così l’opinione pubblica. Gli attivisti e i volontari sulle strade di Timisoara riferiscono che i raid sono costanti e, se trovate, le persone sono spesso consegnate alla polizia di frontiera o, in molti casi, rimandate in Serbia.

Gli attivisti dalla Romania affermano che molte cose erano già cambiate prima di quell’episodio, specialmente con la pandemia. Uno dei cambiamenti che colpisce tutti, soprattutto i migranti e coloro che li supportano, è il fatto che la polizia locale, precedentemente subordinata all’autorità locale, è ora subordinata all’autorità dello Stato, così come la polizia di frontiera. Il Ministero degli Affari Interni esercita la sua giurisdizione anche sull’Ispettorato Generale per l’Immigrazione (IGI) che è responsabile della procedura di asilo, così come dei centri di accoglienza e delle strutture di detenzione.

In riferimento al diritto di asilo, le procedure sono lente e poche decisioni positive vengono rilasciate. Lo scorso anno sono state emanate 861 decisioni, sono stati garantiti 17 status di rifugiati e 14 status di protezione sussidiaria, mentre 729 richieste sono state rifiutate 12. In totale, 6.158 richieste sono state presentate nel 2020. La maggior parte delle persone a cui è stato riconosciuto lo status provengono dalla Siria e dall’Iraq. Ma nonostante ciò, gli attivisti ritengono che lo Stato abbia cambiato la pratica di concedere l’asilo ai siriani nel corso dell’ultimo anno e abbia, al contrario, iniziato a concedere la protezione sussidiaria.

Il motivo di questa scelta è che con quello status le persone non possono viaggiare liberamente verso l’Unione Europea, ma hanno bisogno di richiedere un visto”, gli attivisti locali hanno riferito a RRE. Le misure di sicurezza e la violenza al confine e sulle strade sono accompagnate dagli inviti ai migranti da parte delle autorità a richiedere asilo. Secondo le testimonianze, se i migranti si rifiutano di agire in questo modo, possono essere mandati nei centri di detenzione, per poi essere deportati o espulsi verso il Paese da cui sono entrati in Romania.

Nel frattempo, entrambi i gruppi che lavorano a Timisoara stanno incrementando le loro attività sui social media, cercando di rendere più visibili al pubblico romeno i problemi che i migranti devono affrontare in questo Paese. Flavius, un ex-giornalista, spiega che si concentrano sulla narrazione di storie di persone che hanno incontrato al fine di suscitare “compassione, gentilezza e solidarietà”.

Ciò che sta accadendo in Romania, soprattutto ai confini, rimanda al clima di crescente ostilità nei confronti dei migranti in tutta Europa. La violenza descritta dai sopravvissuti è la stessa che si subisce ai confini europei: pestaggi, umiliazioni, distruzione dei propri beni e respingimenti, che sono diventati la normalità per coloro che cercano asilo in Europa. Il clima sempre più ostile e le affermazioni da parte delle autorità locali hanno accompagnato e alimentato le azioni ai confini. Il risultato finale è la polarizzazione del pubblico e la criminalizzazione dell’immigrazione.

  1. Nome fittizio, per proteggere l’identità della persona
  2. https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/APR%202021%20Stat%20Snapshot.pdf
  3. https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2021/04/AIDA-RO_2020update.pdf
  4. https://twitter.com/APC_CZA/status/1395051988124061696
  5. https://www.etias.info/romania-a-schengen-country-in-2021/
  6. https://refugee-rights.eu/wp-content/uploads/2021/04/RRE_TransitCountryInCrisis.pdf
  7. [https://refugee-rights.eu/wp-content/uploads/2020/07/RRE_LimitedAccessToAsylumAlongTheBalkanRoute.pdf
  8. Nel 2020 sono state registrate 6,158 nuove richieste di asilo mentre nel 2019 hanno fatto richiesta 2,587 persone. Vedi https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2021/04/AIDA-RO_2020update.pdf
  9. Ibid
  10. https://www.unhcr.org/ro/information-about-the-covid-19-vaccine?fbclid=IwAR2P3klMXDphscvidtzVKWZ8_n2FdY-DB-bR3fPQly73UNJGHIjbMj1_sxc
  11. https://www.cdcdi.ro/en/news
  12. https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2021/04/AIDA-RO_2020update.pdf. La durata del permesso di soggiorno per rifugiati è di 3 anni e per la protezione sussidiaria di 2 anni.