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Saluzzo – Sgomberata la Fabrique, l’esperienza di autogestione dei braccianti

La nota del Comitato Antirazzista Saluzzese e le immagini di Lele Odiardo pochi giorni prima dello sgombero

Fotografie di Lele Odiardo

Saluzzo – Erano rimasti in pochi alla Fabrique – l’occupazione del capannone in via Lattanzi – che ormai qualcuno aveva cominciato a chiamare “casa”: il brusco calo delle temperature nei giorni scorsi e le voci di un possibile sgombero da parte delle forze dell’ordine, hanno costretto gli ultimi ad andarsene. Luogo poco adatto per passarci l’inverno, difficile da difendere.

Sono partiti poco alla volta, come ogni anno dall’inizio di novembre, terminata la raccolta dei kiwi, mano a mano che venivano pagati per il lavoro svolto. Chi non ha lavorato ha lasciato Saluzzo deluso e spaesato. Per tutti, o quasi, la destinazione è nota: Rosarno o qualche altra località del sud per ricominciare da capo. Praticamente nessuno è tornato ad una casa.

A Guantanamo’ – zona in cui fino allo scorso anno sorgeva la baraccopoli occupata e autogestita così soprannominata – la situazione non è poi così diversa, era chiaro che a inizio novembre non si sarebbe chiuso il dormitorio, diventato “Accoglienza legale” per prendere le distanze dall’occupazione in via Lattanzi. Così come era chiaro sin dall’inizio che i posti letto e i servizi previsti sarebbero stati insufficienti.

Oltre al muro costruito per “difendere” l’area del Foro Boario e alla porticina d’ingresso al campo, con tanto di spioncino, un particolare aveva colpito tutti all’apertura del PAS (Progetto di Accoglienza Stagionale): i finestroni senza vetri della ex caserma adibita a dormitorio. Come a dire: qui si viene solo per lavorare, ci penserà il freddo a convincere gli irriducibili ad andarsene.
La cultura dell’accoglienza e dell’integrazione!

Sono stati spesi molti soldi per garantire la presenza massiccia di forze dell’ordine in città e di uno stuolo di professionali addetti ai migranti, nulla si è investito per favorire la loro reale emancipazione: forme di ascolto, consultazione e partecipazione attiva, corsi di italiano e alfabetizzazione, tutele legali, accesso alla casa e alla residenza. Qualche timido passo in avanti è stato fatto rispetto alla tutela sindacale per la presenza della CGIL coinvolta nella gestione del PAS.

Dal 10 luglio, giorno dell’occupazione, su via Lattanzi è calato il silenzio, per non amplificare i limiti dell’accoglienza istituzionale e perché nessuno si sarebbe preso la responsabilità di sgomberare 300 uomini, lavoratori, accampati, senza fornire una alternativa praticabile. Questo silenzio ha contribuito ad accentuare l’isolamento e il sospetto nei confronti di una condizione innanzitutto considerata illegale, e quindi inaccettabile.

Vista dal di dentro, la Fabrique è stata una esperienza forte di autogestione e mutuo aiuto, vissuta dai suoi protagonisti con grande dignità, nonostante la scelta forzata e la situazione difficile. La manifestazione del 21 luglio, i momenti assembleari, le iniziative di solidarietà dal basso, hanno contribuito a creare relazioni di fiducia e rispetto reciproco che hanno favorito il confronto e la circolazione delle informazioni con e tra le varie componenti dell’occupazione.

Straordinaria la capacità di adattamento e trasformazione del contesto per renderlo più vivibile, testimoniata dalle geniali soluzioni pratiche per risolvere i problemi della quotidianità; costanti i rapporti con i fratelli ospiti dell’accoglienza istituzionale, evidenti per il continuo andirivieni di biciclette tra via Lattanzi e il Foro Boario.

Ora via Lattanzi è vuota, ognuno si è portato via da Saluzzo un pezzo di tutto ciò insieme alla rabbia per non aver trovato finalmente un approdo stabile e ai pochi bagagli che aveva con sé all’arrivo.

Resta per tutti, bianchi e neri, il calore della complicità e la consapevolezza di aver partecipato ad una esperienza spontanea e concreta di resistenza ad un ordine delle cose cinico, ingiusto e prevaricatore.

Un’esperienza faticosa e imperfetta che ha acquistato forza e valore nel momento in cui si è connessa con le resistenze e le lotte che si sono sviluppate in altri territori. Certi di non essere soli in questi tempi bui in cui rassegnazione e indifferenza sembrano prevalere.

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La dignità non si sgombera

Le immagini di Lele Odiardo dell’interno della Fabrique pochi giorni prima dello sgombero.

A inizio giugno era stato un ingente spiegamento di forze dell’ordine ad inaugurare la stagione dei braccianti saluzzesi, quando gli esclusi dal PAS (Prima Accoglienza Stagionali) del comune, accampati sotto il viale del Foro Boario, chiedevano una sistemazione. Le stesse persone avevano occupato a luglio l’immobile di via Lattanzi che nel corso della stagione ha ospitato oltre 300 persone.
Mercoledì 5 dicembre sono state di nuovo le forze dell’ordine a chiudere la stagione con lo sgombero della Fabrique, dimostrando ancora una volta quale tipo di accoglienza si intende riservare ai migranti.
Uno spiegamento sproporzionato rispetto alla quindicina di persone ancora presenti, persone che lavorano o sono in attesa di essere pagati dai loro padroni, qualcuno in stato confusionale senza un luogo dove andare, in attesa di un permesso di soggiorno che non arriva.
Lo sgombero si è svolto nel silenzio dell’umiliazione subita dai migranti, stanati all’interno dell’edificio e scortati dagli uomini in divisa al di fuori della cancellata con le loro borse e coperte. Chi non era riuscito ad allontanarsi in tempo ha accettato una sistemazione temporanea alla Caritas, altri se ne sono andati, la rabbia e la disperazione di un singolo è stata risolta con un TSO. Chi è tornato la sera dal lavoro ha trovato i portoni frettolosamente sbarrati, murati, saldati, chiuso fuori da quella che per qualche mese era stata la sua casa.