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Sanatoria 2009 – L’Adunanza Plenaria deciderà definitivamente sull’ostatività delle condanne per inottemperanza all’espulsione

Rimessi gli atti per un giudizio di merito. Udienza il 2 maggio. Prevalente l'orientamento in favore degli stranieri, ma la terza sezione considera irrilevante la direttiva 115/CE

Il Consiglio di Stato, sezione terza, in data 16 marzo 2011, con l’ordinanza n. 1227, ha rimesso la decisione di merito sull’ostatività o meno delle condanne inflitte ai sensi dell’art 14, comma ter, del Testo Unico nelle mani dell’Adunanza Plenaria.

Già lo scorso 21 febbraio l’Adunanza Plenaria era stata chiamata a pronunciarsi sulla questione legata alla sospensione degli effetti del rigetto di regolarizzazione in attesa del giudizio di merito ma, pur svolgendo alcune brevi considerazioni, si era limitata a rilevare la sussistenza del periculum in mora, propendendo per la concessione delle sospensive, senza però entrare nel merito dell’ostatività delle condanne inflitte per la violazione dell’ordine di allontanamento e consegnando quindi nelle mani dei diversi tribunali amministrativi regionali il compito di dirimire di volta in volta la complicata questione.

La conseguenza è stata, come ricorda anche l’ordinanza di remissione all’Adunanza Plenaria del 16 marzo, il proliferare di pronunce dal tenore discordande, in prevalenza favorevoli agli stranieri appellanti. Di qui la necessità di una decisione definitiva, tenuto conto anche, ricorda la sezione terza, della “particolare delicatezza della questione per la sua rilevanza sociale e
perché si riflette sulla vita delle numerose persone interessate”
.

Per la verità la sezione terza del CDS con l’ordinanza n. 1227, pur ricordando che, nel merito, l’orientamento prevalentemente adottatato dai giudici amministrativi regionali esclude l’ostatività del reato ex art 14, com 5 ter, ha aggiunto alcune considerazioni “in senso negativo” per quanto riguarda una delle ragioni per cui i Tar si sono espressi in favore dei ricorrenti: secondo la sezione terza infatti il richiamo alla direttiva 115/CE sarebbe in sostanza scorretto, tenuto conto che tale direttiva, pur essendo applicabile dal 24 dicembre 2010, non escluderebbe la possibilità degli stati di adottare sanzioni penali contro gli stranieri che non rispettino l’ordine di allontanamento e neppure escluderebbe la possibilità di ritenere ostativo uno di tali reati ai fini dell’emersione. Inoltre, le condanne rilevate dall’amministrazione in capo agli stranieri, essendo state inflitte prima dell’entrata in vigore della direttiva, risulterebbero legittime, così come risulterebbero legittimi i rigetti delle domande di emersione.

Queste in sintesi alcune considerazione della terza sezione:
– la direttiva n. 115/2008 non elimina dal nostro ordinamento l’istituto dell’espulsione (da essa
denominato “rimpatrio con divieto di reingresso”) anzi ne conferma, in linea di
massima, la legittimità, in particolare anche nel caso in cui essa venga disposta
a motivo (solo) della posizione irregolare dello straniero dal punto di vista
amministrativo;
– il contrasto fra la disciplina comunitaria e quella nazionale produrrebbe
l’inapplicabilità di quest’ultima solo relativamente alle singole fattispecie nelle
quali la difformità delle due discipline assuma concreta rilevanza (ad esempio
nel caso dell’espulso che abbia fatto reingresso nello Stato prima che siano
passati dieci anni dall’espulsione, ma dopo che ne erano passati cinque);
– in ogni caso, resterebbero validi ed efficaci i provvedimenti adottati prima del 24
dicembre 2010 sulla base della disciplina nazionale non ancora incisa
dall’autoapplicazione della direttiva, in forza del principio tempus regit actum;
– la direttiva non esclude il potere dello Stato membro di stabilire sanzioni
penali a carico dello straniero che non osservi gli obblighi e i divieti derivanti da
un legittimo provvedimento di espulsione;
– la direttiva non esclude neppure il potere dello Stato membro di assumere
l’inottemperanza ad un pregresso ordine di espulsione, e/o l’intervenuta
condanna penale per tale fatto, quale causa ostativa di una regolarizzazione;
– a maggior ragione – e di nuovo per il principio tempus regit actum – la
sopravvenuta autoapplicazione della direttiva non incide sulla legittimità dei
dinieghi di regolarizzazione pronunciati prima del 24 dicembre 2010 in
applicazione dell’art. 1-ter, comma 13, lettera (c), del decreto legge n.
78/2009.

Una lettura in tal senso del contrasto esistente tra la direttiva ed il nostro ordinamento non tiene però conto della complessità della frizione generata sulla totalità del procedimento espulsivo previso nel Testo Unico, che la normativa europea di recente attuazione ha radicalmente capovolto nei suoi principi cardine.
Così come va rilevato che, se è vero che le condanne inflitte precedentemente all’entrata in vigore della direttiva, è vero anche che non è possibile colpire (tanto più in sede di valutazione dell’ostatività) una condotta non più considerata penalmente rilevante (soprattutto per le sue ricadute sulla privazione della libertà personale e per la sua natura strettamente connessa alla condizione di irregolarità) per effetto dell’entrata in vigore della direttiva.

Di contro è lo stesso CDS a riconoscere l’orientamento positivo maggiormente diffuso e la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar Friuli con l’Ordinanza n. 100 del 24 febbraio 2011.
Inoltre i diversi Tar che finora hanno seguito la strada della non ostatività hanno tentato di dirimere il punto centrale della questione chiedendosi se la norma di regolarizzazione (L. 102/2009), così come è stata scritta, debba essere interpretata nel senso dell’ostatività del reato di cui all’art 14, comma 5 ter, mai esplicitamente nominato.
Si sono chiesti infatti i Tar se il richiamo del comma 13, lett c) alle condanne inflitte per reati tra quelli previsti dagli artt. 380, 381 del c.p.p. fosse sufficiente a far rinetrare tra le fattispecie l’inottemperanza all’ordine del Questore tenuto conto della pena edittale e dell e modalità di arresto previste (facoltativo o obbligatorio).
Inoltre, sempre i giudici amminsitrativi regionali, hanno considerato di rilievo il fatto che la stessa norma, al comma 13, lettera a), specificasse una particolare tipologia di espulsioni considerate ostative al perfezionamento della domanda di emersione focalizzando l’attenzione su quelle inflitte ai sensi del comma 13, commi 1 e 2, lettera c), del Testo Unico.

Come inoltre abbiamo più volte sottolineato, una interpretazione costituzionalmente orientata della norma di emersione non potrebbe non tener conto dei profili di ragionevolezza e di non discriminazione che verrebbero duramente violati ritenendo ostativo il reato.
Da un lato infatti sarebbe irragionevole ritenere ostativa all’emersione una condotta, quella del “non abbandonare il territorio nel termine prescritto”, strettamente connessa alla stessa condizione che la norma aveva l’obbiettivo di sanare, cioè l’irregolarità del lavoro e del soggiorno, dall’altro questa stessa interpretazione normativa in senso negativo produrrebbe un meccanismo discriminatorio tra persone che hanno tenuto la stessa condotta: chi ha ricevuto il foglio di via ma ancora non è stato “pizzicato”, chi, nell’ambito di un controllo, è risultato inottemperante, chi ha avuto la sfortuna di essere stato condannato per quell’inottemperanza.

Ora si attende la decisione finale dell’Adunanza che, speriamo in senso favorevo agli stranieri ricorrenti, possa mettere fine alla controversia aperta dalla “circolare Manganelli” del 17 marzo 2010.

Ordinanza del Consiglio di Stato n. 1227 del 16 marzo 2011