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Sanatoria – Quando la truffa non è l’eccezione, ma un mercato organizzato dalla legge

Un mercato sommerso di permessi, una compravendita permanente del diritto di soggiorno: questa è la reale applicazione della legge Bossi Fini.

La chiamiamo sanatoria truffa ma non riguarda solo la legge di emersione. Li chiamiamo truffatori ma in realtà non sono una banda che agisce in maniera eccezionale ed estemporanea.

Ciò che è emerso più che in altre occasioni con le truffe nell’ambito della sanatoria 2009 non è altro che la punta dell’iceberg di un circuito di compravendita del diritto di soggiorno dei migranti, in questo paese, che quotidianamente si riorganizza intorno ai dispositivi della Legge Bossi Fini.

A guardarla da lontano, la truffa della sanatoria, potrebbe sembrare una variante criminale d’eccezione che si inserisce negli interstizi della normativa, ma avvicinando lo sguardo alle tante storie dei truffati, al tessuto culturale ed economico che regola l’accesso al titolo di soggiorno in questo paese, ci accorgiamo che le truffe, i raggiri, l’indebitamento che rasenta l’estorsione, sono la realtà permanente del Governo dell’immigrazione, un mercato della vita che si regge sugli istituti principali della normativa italiana.

Non c’è insomma un’organizzazione che, raggirando la legge, “favoreggia l’immigrazione illegale”, ma appare sempre più evidente come vi sia una regolazione della condizione del diritto di soggiorno dei cittadini migranti che passa sempre più attraverso la circolazione di denaro, lo scambio di favori, una legge le cui maglie si aprono e si restringono a seconda dei livelli di corruzione esistenti.

Non siamo a Bogotà, neppure a Casablanca o Benin City: qui, nel cuore dell’Europa non occorre vedere bande criminali che scorazzano su auto cabriolet con il mitra in mano salutando gli agenti conniventi per vedere la stretta relazione tra legge e raggiri.

Qui, nel cuore dell’Europa, è sufficiente dare un’occhiata alle pagine principali del Testo Unico sull’immigrazione e poi farsi una passeggiata intorno alla Stazione, o in un giardino pubblico per capire che non esiste alternativa.

O meglio, l’alternativa c’è, ma propone una finta scelta tra l’ingiustizia che si consuma nei confronti di chi, una volta licenziato, perde dopo sei mesi il diritto di soggiorno, tra lo sfruttamento nel lavoro e nella vita di una esistenza irregolare, sottopagata, ricattata, tra i CIE, la deportazione, il carcere, oppure la speranza (anche se spesso finta) di poter comprare il tuo progetto di vita, la tua legittimità di soggiorno.

Non si tratta di una separazione tra ciò che è legale e ciò che è illegale, tra chi correttamente obbedisce alla legge e chi invece la raggira fraudolentemente. Qui si tratta di una zona oscura che nasce e matura tra le pagine di una legge che tra maniacale legalità apparente, ed ingiustizia permanente, produce una distorsione del diritto alla vita regolata dalla disponibilità di cash o di vaglia postali.

Il problema insomma, anche nell’ambito della sanatoria, non sono i truffatori, che pure abbiamo la voglia ed il desiderio di fermare, ma una legge che, producendo ingiustizie e compressione dei diritti, ha prodotto e trovato nel corso del tempo anche la sua soluzione strutturale e culturale, prima che politica ed economica, nel mercato sommerso dell’esistenza, nella compravendita del diritto di soggiorno.

Devi pagare per accedere ad una sanatoria ma puoi e devi farlo anche ogni qualvolta sei chiamato a rinnovare il permesso e non hai un contratto di lavoro, ogni volta che hai bisogno di una dichiarazione di ospitalità, ogni volta che devi dimostrare la residenza per accedere ad un titolo, ad ogni conversione, in ogni situazione, puoi o devi comprare il superamento dei requisiti. Si paga anche il visto per entrare nella nostra Europa, ma anche il traffico dei visti è organizzato da qui.
Legalità..diranno alcuni. Noi diciamo democrazia, diritti di cittadinanza, diritto di scegliere dove e come vivere il proprio presente ed il proprio futuro. Perché non c’è il problema di estirpare del marcio che inquina la purezza di una normativa cristallina, ma invece quello di stravolgere le fondamenta avariate di un governo dell’immigrazione che produce in maniera sistemica sfruttamento, estorsione, ricatto.

Nel Veneto, realtà emersa ormai da tempo, ma portata all’attenzione dell’opinione pubblica con l’occupazione, da parte dei migranti truffati, della facciata della Basilica del Santo, il business dei permessi ha avuto ed ha dimensioni enormi.
Non è assolutamente escluso che, dalla Puglia alla Lombardia, dal Veneto alla Sicilia, vi siano legami apparentemente inesistenti tra le tante truffe organizzate.

Nella Regione di Nord Est, stranamente, gli stessi truffatori già arrestati per gli affari sporchi costruiti nell’ambito della sanatoria 2009, contano una serie di inchieste a loro carico per altre truffe ed altri raggiri in cui sono presenti e comprovate la mano della ‘ndrangheta, della camorra e del clan camorristico dei Casalesi. Nulla di strano visto che è sufficiente chiedersi come verranno messi in circuito i milioni di euro accumulati con le domande di emersione.
Ma i legami oscuri non riguardano solamente l’esterno. Sembra via via sempre più evidente come, anche nelle ramificazioni interna alle diverse città, si configuri una vera e propria stabile organizzazione, con esponenti di punta che contano un curriculum “invidiabile” quanto a truffe e raggiri, collegati a professionisti e datori di lavoro insospettabili che hanno costruito una vera e propria rete negli ambienti frequentati da stranieri. Un meccanismo culturale prima che criminoso che fa leva sui canali preferenziali concessi a questi soggetti, sulla loro impunità, sull’idea che pagando è possibile comprare ogni cosa, anche la libertà.

Non è una battaglia per la legalità la nostra, perché questa legge ci ha insegnato come la legalità sia ingiustizia. Si tratta di una battaglia culturale e politica, si tratta di affrontare l’individualismo che va diffondendosi, di costruire una idea collettiva di affrontare l’ingiustizia di questa legge perché ognuno, lasciato solo, non debba vendere la propria dignità per barattarla con il diritto di soggiorno. Si tratta certo di dare uno stop a questi mercenari della legge Bossi-Fini che in barba alla normativa ed ai controlli, o meglio, facendo leva su essi, sembrano godere di una impunità garantita e spesso di legami privilegiati con la Questura o altri uffici che amministrano le procedure dell’immigrazione.

Qui non si tratta di affermare la legalità della legge di emersione e di combattere i suoi utilizzi, così come non si tratta di cristallizzare i dettami di una legge ingiusta per affermarli come dogma, come necessità di obbedienza a disposizioni ingiuste e disumane.
Non prendiamoci in giro. La sanatoria 2009 è stata una grande finzione, lo sappiamo noi come lo sanno a tutti i livelli le autorità: molte sono state le “badanti o colf” che hanno potuto accedere ad un titolo di soggiorno grazie a l’emersione, una infinità sono state quelle per cui il datore di lavoro ha preferito continuare in “nero” il rapporto di lavoro perché più conveniente, moltissimi altri sono stati i lavoratori impegnati in altri settori regolarizzati come lavoratori domestici, altri, lavoratori o meno, sono stati regolarizzati simulando rapporti di lavoro inesistenti perché altra strada non esiste per liberarsi dall’irregolarità forzata, dallo sfruttamento e dai ricatti.
A poco valgono le stime dei Carabinieri o della Guardia di Finanza sui controlli effettuati, sugli accertamenti di rapporti di lavoro fasulli.
Qui si tratta di interrompere l’estorsione permanente che la legge produce e riproduce sulla condizione di vita di chi è senza permesso o è minacciato di perderlo, che è cosa ben diversa dall’affermare il corso di questa legge, ma anzi è ad essa strettamente connessa.

Dal canto nostro non possiamo che lavorare insieme per costruire collettivamente una idea di giustizia e dignità che non sia barattabile, non sia quantificata in denaro, che passi attraverso la presa di parola e l’affermazione di democrazia e diritti di cittadinanza
Gli strumenti non mancano e neppure dal punto di vista legale è impossibile intervenire per interrompere questo circuito di malaffare e dare un segnale diverso, anche se è proprio la legge a rendere fragili le garanzie per le vittime.

Le organizzazioni che hanno agito con la truffa sono vere e proprie associazioni a delinquere (artt 416, 416 bis cp), hanno sfruttato la condizione di soggiorno irregolare per trarne ingiusto profitto (art 12, comma 5 TU), spesso hanno agito mettendo in campo vere e proprie estorsioni (art 629 cp), sicuramente lo hanno fatto truffando lo Stato (oltre che i migranti), sfruttando la condizione personale degli stranieri (art 640, commi 2 e 3 cp, – art 61, comma 5 cp), non è neppure esclusa l’ipotesi di riduzione in schiavitù (art 600 cp) che recita come segue:
“Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni.
La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona”
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Sorgono spesso dubbi sull’eventualità di esporre i cittadini stranieri a procedimenti penali proprio in virtù di una eventuale querela nei confronti dei truffatori. Da un lato è paventato (anche se debole) il rischio di considerare correi i migranti, anche se la qualità dei reati contestati ai truffatori e la situazione oggettiva in cui sono avvenute le truffe paiono escludere questo rischio. Impossibile considerarli partecipi dell’associazione a delinquere, tantomeno complici di essersi auto-sfruttati (come se l’usurato fosse complice dell’usuraio), difficile considerarli responsabili di truffa visto che le domande venivano inviate da uffici pubblici abilitati ad inoltrare le pratiche al Ministero, con l’ausilio di professionisti (commercialisti, ragionieri, avvocati) e che mai c’era un contatto con Questura e Prefettura. Inoltre lo straniero aspirante regolarizzato doveva solo consegnare un documento di identità. E’ la stessa Corte Costituzionale ad aver attenuato le disposizioni dell’art 5 del cp che non ammettono l’ignoranza della legge, con la Sentenza n.364/1988 posta a fondamento di sentenze di assoluzione di diversi imputati cittadini stranieri (Pret. Pescia, 21 novembre 1988, S., in Foro it., 1988, II, 247; Trib. Genova, 30 maggio 1989, K., ivi, 1989, II, 540; Trib. min. Firenze, 27 novembre 1989, M., ivi, 1990, II, 192; Trib. min. Genova, 14 novembre 1994, S., ivi, 1995, II, 274).
Deve infatti essere fatta una valutazione complessiva sulla situazione dei soggetti, sul loro livello di scolarizzazione, sulle loro condizioni di vita, etc, etc, etc.

Rimane invece un forte dissuasore a denunciare le truffe da parte delle vittime l’impianto normativo proprio della legge sull’immigrazione, messo solo ora in discussione dalla direttiva 115/CE/2008. Il rischio, permanente in realtà, visto che si tratta di soggetti che si sono auto-denunciati con la sanatoria, è quello per cui, venendo a contatto con l’autorità giudiziaria in qualità di vittime, si aprano procedimenti per il reato di ingresso e soggiorno irregolare (art 10 bis TU), ed eventualmente per inottemperanza all’ordine di allontanamento del Questore (art 14, comma 5 ter).

Rimane invece di difficile soluzione la questione della protezione possibile concessa alle vittime della truffa. Il nostro ordinamento, al difuori dei casi previsti dall’art 18 del TU non prevede strumenti adeguati per la tutela degli stranieri vittime di reati. Ma una attenta applicazione della normativa internazionale e nazionale potrebbe certo fornire strumenti utili a garantire le testimonianze degli stranieri raggirati, unici depositari delle informazioni che possono dare conto della reale dimensione dell’organizzazione criminale, dei suoi legami apparentemente inesistenti, dei suoi confini ancora non circoscritti.

Non è possibile escludere la possibilità di adottare le disposizioni contenute nell’art 11 del Regolamento di attuazione che regolano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia, così come, per quanto riguarda lo stesso art 18 del TU (protezione sociale) vale la pena considerare non escluso a priori il rischio per l’incolumità delle persone querelanti visti i legami sospetti degli stessi imputati con organizzazioni di stampo mafioso/camorristico.

La Convenzione 143 OIL del 1975 inoltre, dispone che “ogni Membro deve adottare tutte le disposizioni necessarie ed opportune, sia che siano di sua competenza, sia che richiedano una collaborazione con altri Membri (…) contro gli organizzatori di movimenti illeciti o clandestini di lavoratori migranti, ai fini dell’occupazione, in provenienza o a destinazione del proprio territorio, o in transito attraverso lo stesso, e contro coloro che impiegano lavoratori i quali siano immigrati in condizioni illegali, per prevenire ed eliminare gli abusi di cui all’articolo 2 della presente convenzione.”

Esiste, nel caso della truffa nell’ambito della sanatoria, una situazione di sfruttamento della immigrazione clandestina che è interesse della Convenzione reprimere.
Per adottare misure efficaci per stroncare l’organizzazione criminale (misura dovute per effetto di un obbligo convenzionale) diviene necessaria la collaborazione delle vittime: la loro “regolarizzazione” si rivela quindi lo strumento necessario per la repressione dell’associazione che ha sfruttato i migranti clandestini.

L’obbligo internazionale di rispondere ai dettami della Convenzione OIL ha copertura costituzionale nell’art. 117, primo comma, Cost., si potrebbe così aprire la possibilità per la concessione di permessi di soggiorno per ragioni umanitarie, previsto dall’art. 5, comma 6, del Testo Unico anche per rispondere agli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.

Rimane sullo sfondo, ma con priorità assoluta, la necessità di sradicare profondamente questa legge, di stravolgerla, di cancellarla, di aprire una stagione di conflitti che pongano, su terreno della democrazia e della presa di parola sociale, il nodo dei diritti di cittadinanza. Perchè i diritti o sono per tutti o non sono per nessuno.