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Sanatoria colf-badanti 2009: Il licenziamento prima della stipula del contratto di soggiorno è inefficace se intimato da persona diversa dal datore di lavoro

a cura dell' Avv Giovanni Guarini

La sentenza che si annota riguarda gli effetti del licenziamento intimato alla lavoratrice domestica nelle more della domanda di emersione dal lavoro irregolare ex art. 1 ter Legge 3 agosto 2009, n. 102 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78”.
A tal riguardo, il Tribunale di Ferrara Sez. Lavoro, partendo dal presupposto fattuale del recesso dal rapporto di lavoro avvenuto unilateralmente ad opera di soggetto terzo, «senza alcuna concreta riferibilità dell’iniziativa alla vera e propria titolare della posizione giuridica ossia la datrice di lavoro», ha concluso per l’inefficacia dello stesso asserendo la attuale sussistenza dell’obbligo del datore di lavoro di presentarsi allo Sportello Unico Immigrazione presso la Prefettura assieme al lavoratore per stipulare il contratto di soggiorno.
Non esaminata dall’autorità giudiziaria la questione del carattere discriminatorio del licenziamento, in quanto assorbita dal preminente rilievo dell’inefficacia dell’atto di recesso unilaterale posto in essere da persona non legittimata.
In realtà, la prova della natura discriminatoria del licenziamento della “badante” nelle more della procedura di emersione, pur se ardua, è stata già affermata di recente dalla giurisprudenza (cfr. Tribunale di Brescia Sez. Lavoro Ord. 25 settembre 2009 in www.meltingpot.org).
Così, si ricordi che l’art. 4 della legge n. 604 del 1966 sancisce la nullità del licenziamento discriminatorio e dispone: «il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacale è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata». Il contenuto prescrittivo dell’art. 4 è stato ampliato dall’art. 15 L. n. 300 del 1970, il quale dispone la nullità di qualsiasi atto o patto diretto a «licenziare un lavoratore (…) a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero», nonché la nullità dei licenziamenti attuati «a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua e di sesso».
Infine, i decreti legislativi nn. 215 e 216 del 2003 hanno allargato ulteriormente i fatti di discriminazione vietati (Cfr. Miscione M. (a cura di) Diritto del lavoro – Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, Utet, Torino, 2007).
In particolare l’art. 2 del d. lgs. n. 215 del 2003 stabilisce che «ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite: a) discriminazione diretta quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga; b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone… Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo».
Peraltro, la prova dell’intento discriminatorio del datore di lavoro è onere che ricade sul lavoratore, ma la giurisprudenza ammette l’assolvimento dello stesso ricorrendo a presunzioni (cfr. Cass. 1.2.1988, n. 898, in Giustizia civile, 1988, I, 1533; Cass. 19.3.1996, n. 2335 OGL, 1996, 413).
Sulla base di tali considerazioni sarà compito dell’interprete, caso per caso, valutare se il licenziamento abbia quale movente l’approfittamento delle condizioni di debolezza del lavoratore derivante dal suo status di cittadino straniero irregolarmente presente sul territorio dello Stato. Occorre in questa sede sottolineare che, a differenza degli altri lavoratori (italiani o comunitari), il lavoratore extracomunitario irregolare è soggetto ai sensi dell’art. 13 D. Lgs. 286 del 1998 alla sanzione amministrativa dell’espulsione, nonché a sanzione penale ex art. 10 bis D. Lgs. 286 del 1998, che prevede il nuovo reato di clandestinità, circostanze che lo pongono in una situazione ontologica di inferiorità.
Infine, merita particolare attenzione la decisione in commento nella parte in cui asserisce che «l’archiviazione del procedimento [di emersione n.d.a.] possa essere disposta solo per effetto di una mancata presentazione presso lo sportello dell’immigrazione di entrambi i soggetti coinvolti dal procedimento ed in assenza di giustificato motivo; qualora sia presente anche uno solo dei due soggetti (essendo, invero, che anche il datore di lavoro sia titolare di un interesse irrinunciabile al completamento dell’emersione) il procedimento non potrà essere archiviato e ciò, se non altro, per la conclamata presenza di interessi di parte parimenti aventi il rango di diritti soggettivi».
Tale decisione si pone nel solco di due importanti circolari del Ministero dell’Interno che hanno fornito chiarimenti in merito alla possibilità di interrompere il rapporto di lavoro prima della data di convocazione presso lo Sportello unico e la conseguente stipula del contratto di soggiorno per chi ha presentato domanda di emersione.
Con la Circolare del 29 ottobre 2009 n. 6466 da una parte si affermava l’obbligo per il datore di lavoro di stipulare il contratto di soggiorno presentandosi alla convocazione della Prefettura, dall’altro si asseriva che la rinuncia alla dichiarazione di emersione intervenuta in pendenza della procedura avrebbe comportato l’archiviazione della stessa. Con la Circolare diffusa il 7 dicembre 2009 n. 7950 si ribadiva che i datori di lavoro ed i lavoratori che hanno interrotto il loro rapporto di lavoro prima della convocazione dovranno comunque presentarsi allo Sportello Unico della Prefettura alla data prevista per stipulare il contratto di soggiorno relativo al periodo di effettivo lavoro, per la comunicazione di assunzione all’Inps e la contestuale comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, solo in tal caso sarebbe stato rilasciato al lavoratore un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
La prassi delle Prefetture, avallata dalle menzionate circolari del Ministero dell’Interno, fino ad oggi è stata nel senso di disporre l’archiviazione del procedimento di emersione ove non si fosse presentato il datore di lavoro alla convocazione, nonostante vi fosse stata la presentazione e l’interesse attuale alla stipulazione da parte del lavoratore. Il provvedimento giudiziario in commento smentisce la legittimità di una siffatta prassi.

Ordinanza del Tribunale di Ferrara, sezione lavoro n. 2608 del dicembre 2009