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Sanatoria: cosa succede quando una domanda viene rigettata?

Sembra si voglia far credere che la procedura di emersione sia di breve durata perché rimane aperto, e sempre più grave col passare del tempo, il problema di chi perde il posto di lavoro perché occupato in attività lavorative tipicamente precarie (che sono quelle riservate , si fa per dire, ai lavoratori immigrati soprattutto nel primo periodo di immigrazione).

A questo riguardo purtroppo non ci sono novità. Il sottoscritto ha tentato di discutere la questione presso la Questura di Padova ma le disposizioni del Ministero sono tali per cui le singole questure non hanno (nemmeno volendo) la possibilità di adottare una linea diversa, quindi di permettere, a chi ha perso il posto di lavoro, di ottenere un pds di sei mesi per ricerca lavoro e occupare subito regolarmente un nuovo posto di lavoro.
Resta ferma purtroppo questa linea adottata dal Ministero per cui sarà possibile fare l’operazione di sostituzione del datore di lavoro solo quando ci sarà la convocazione presso la Prefettura U.T.G.

Questo vuol dire dover aspettare minimo mesi se non addirittura anni.
Sempre per fare l’esempio della provincia di Padova sono state presentate 13 mila domande di regolarizzazione e di queste sembra che circa 300, soltanto, siano state già trasmesse presso al competente Prefettura per l’esame e la convocazione.
Si può immaginare che con queste proporzioni ci vorranno degli anni per definire tutte le domande e nel frattempo il numero di persone che perderanno il posto di lavoro sarà destinato ad aumentare.
Anche se, tra parecchio tempo, dovesse giungere la decisione del Ministero di consentire a chi perde il posto di lavoro di cambiare datore di lavoro (prima della convocazione in prefettura), si sarebbe accumulato un numero di disoccupati tale da intasare tutte le questure. È chiaro che se gradualmente ci si organizza per rilasciare i permessi di soggiorno di sei mesi per attesa occupazione (consentendo di regolarizzare un nuovo rapporto di lavoro) si consentirebbe una organizzazione ordinata all’interno delle questure.

Se invece si attende che tutte queste situazioni di disoccupazione si accumulino ecco che, nel momento in cui la situazione dovesse sbloccarsi, ci sarebbe un vero e proprio assalto per ottenere questi permessi e ci sarebbe una vera e propria paralisi. Questo andrebbe a discapito non solo di chi è in fase di regolarizzazione ma anche di chi vive già regolarmente in Italia. È chiaro che andando a intasare gli uffici di pratiche tutto si rallenta, compresi i normali rinnovi dei permessi di soggiorno.

Tutta questa situazione va a discapito anche dei datori di lavoro. In questo momento se un datore di lavoro volesse assumere lavoratori immigrati licenziati (o dimessisi per giusta causa) in fase di sanatoria (in possesso della semplice ricevuta di inoltro della domanda), rischia di commettere un reato che oggi, con la legge Bossi Fini, è sanzionato in maniera più pesante (5 mila euro per ogni lavoratore impiegato irregolarmente, arresto da tre mesi a un anno, senza la possibilità di estinguere il procedimento penale con la procedura di depenalizzazione). Di conseguenza, anche le imprese si trovano in serio disagio perché avrebbero la possibilità di assumere personale ma non possono farlo in queste condizioni.
Si parla tanto di esigenza di “mobilita” e di “flessibilità” della manodopera nell’interesse delle imprese, ma chiunque comprende che la mobilità a senso unico -ovvero solo in uscita dal posto di lavoro, senza possibilità di occuparne un altro-non fa nemmeno l’interesse delle imprese serie, quelle che vogliono lavorare in regola, semmai fa l’interesse delle imprese che preferiscono assumere in nero.

Cosa succede nel caso di rigetto della domanda di regolarizzazione?

Una recente circolare del Ministero dell’Interno fornisce una serie di chiarimenti su casi particolari in merito alla regolarizzazione.
Si riconferma che nel caso di mancato perfezionamento della procedura di regolarizzazione per motivi dipendenti dal datore di lavoro (come la sua morte o il licenziamento) potrà essere consentita l’ulteriore permanenza sul territorio nazionale, ma solo al momento del perfezionamento della procedura della regolarizzazione si potrà rilasciare un permesso per attesa occupazione che permetterà di instaurare un nuovo e regolare rapporto di lavoro. Le conseguenze negative di cosa vuol dire questo le ho appena elencate sopra.
Nella circolare si prendono in considerazione i seguenti casi:

– licenziamento, morte del datore di lavoro, etc…

– presentazione della domanda dopo l’11 novembre

– espulsione di chi non può essere regolarizzato

Vediamo il caso in cui si sia presentata la dichiarazione di emersione dopo l’11 novembre 2002 in presenza di versamento del contributo forfetario effettuato nei termini stabiliti.
La circolare dice che “Nell’ipotesi di datori di lavoro che abbiano regolarmente versato il contributo forfetario entro l’11 novembre 2002, omettendo tuttavia la relativa dichiarazione di emersione all’ufficio postale per giustificati motivi, le prefetture, previa valutazione dei singoli casi, potranno accertare direttamente la dichiarazione trasmettendola al centro servizi delle poste italiane per l’inserimento nel normale iter procedurale. La prefettura rilascerà al datore di lavoro un apposito attestato, con l’indicazione del nominativo del lavoratore straniero, che sostituirà a tutti gli effetti la ricevuta dell’assicurata postale relativa all’emersione”.

L’espulsione immediata: le contraddizioni della sanatoria

Sempre nella circolare viene fornita un’altra indicazione che è fortemente preoccupante.
Si parla di esecuzione del provvedimento di espulsione di stranieri che non possono essere regolarizzati, perché in sede di valutazione della pratica è stato verificata (a torto o a ragione) la mancanza dei requisiti.
La circolare dice: “In tali ipotesi, la questura, dopo aver provveduto all’allontanamento, comunica l’avvenuto rimpatrio alla prefettura competente ad esaminare la domanda di regolarizzazione. Successivamente la stessa prefettura definirà negativamente la procedura di regolarizzazione, dandone notifica al datore di lavoro.”
In parole semplici che cosa si dice? Si dice che nel momento in cui il centro elaborazione dati delle Poste trasmetterà i dati (prima al centro elaborazione dati della Polizia di Stato e quindi) alla prefettura e contemporaneamente alla questura, prima che sia disposta la convocazione presso la prefettura, la questura valuterà i requisiti della domanda di regolarizzazione e se, a suo avviso, ci saranno motivi per non consentire la regolarizzazione, provvederà direttamente all’espulsione. Dopo di che comunicherà alla prefettura che la pratica dovrà essere archiviata perché lo straniero è stato espulso.
A questo riguardo ci pervengono una serie di osservazioni dal Servizio Legale dell’associazione Atas di Trento in cui si ricorda giustamente che una precedente circolare del Ministero dell’Interno aveva stabilito al punto 12 quanto segue:

12) A chi va presentato il ricorso del provvedimento di rigetto della richiesta e quali saranno le conseguenze?

“Il semplice provvedimento di rigetto, essendo di natura amministrativa, è ricorribile presso il T.A.R., da parte del datore di lavoro, nei tempi e nelle modalità previste dalla legge.”
Aggiungiamo che anche il diretto interessato cioè il lavoratore immigrato può fare ricorso al T.A.R. contro il provvedimento di rigetto della domanda di regolarizzazione in quanto si giocano anche i suoi interessi.

La circolare prosegue: “Allo straniero, quindi, viene notificato il rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno con invito ad allontanarsi dal territorio nazionale entro 15 giorni. Nel caso in cui non si allontani spontaneamente, qualora rintracciato, verrà espulso con provvedimento ricorribile presso il Tribunale in composizione monocratica”.
Dunque, tra le istruzioni fornite dal Ministero, inizialmente si prevedeva che nel caso di rigetto della regolarizzazione sarebbe stato fatto un invito a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni (lasciando la possibilità pratica di fare ricorso o anche di chiedere allo stesso ufficio un riesame della pratica). Adesso, con l’ultima circolare, si dice chiaramente che si provvederà alla immediata espulsione e, solo in seguito, si comunicherà alla prefettura l’esito negativo degli accertamenti. Solo dopo si avviserà il datore di lavoro.
Come giustamente sottolinea l’Atas di Trento “Il comportamento indicato dal Ministero in questa ultima circolare viola palesemente la legge sul procedimento amministrativo, disponendo, in corso di procedimento, l’espulsione del destinatario del provvedimento amministrativo che definisce il procedimento di emersione del rapporto di lavoro irregolare.”

In altre parole, il procedimento amministrativo non viene nemmeno portato a conoscenza del diretto interessato perché questi, nel momento i cui si rende conto che la regolarizzazione non è stata accettata è già in viaggio per l’esecuzione dell’espulsione, senza alcuna possibilità di partecipare al procedimento, contrariamente a un diritto che è pacificamente riconosciuto dalla legge 241/1990.
Per l’appunto, l’interessato a partecipare al procedimento amministrativo non è solo il datore di lavoro ma anche e altrettanto (e con gli stessi diritti) il lavoratore straniero interessato alla regolarizzazione.
La collega dell’Atas osserva giustamente che “il procedimento è iniziato con istanza duplice, del datore e del lavoratore, espressamente diretta a due fini: il datore firma una dichiarazione di emersione, il lavoratore firma una istanza di rilascio di permesso di soggiorno”. Infatti nel modulo prestampato che tutti usano è contenuta anche una richiesta del lavoratore. Essendo un soggetto considerato all’interno del procedimento ha diritto di partecipare ed essere messo in condizione di fare le proprie osservazioni, prima che il procedimento si concluda con la emanazione del provvedimento di rigetto e con la successiva espulsione.
Dobbiamo considerare che, sulla base di questa ultima circolare, il rischio di espulsione senza preavviso e senza possibilità di difesa riguarda una moltitudine di persone.
Non stiamo parlando di persone che risultano condannate per gravi delitti o pericolose per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Si tratta di persone verso le quali, per esempio, la questura potrebbe ritenere di non perfezionare la regolarizzazione perché ci sono dei timbri sul passaporto che dimostrano l’uscita e il rientro dal territorio italiano durante i fatidici tre mesi previsti come requisito minimo per la sanatoria. Questa è una questione che riguarda moltissime persone: infatti tanti lavoratori, anche se lavoravano già da tempo per il datore di lavoro che ha presentato la domanda, hanno avuto dei comprensibili periodi di interruzione del rapporto di lavoro. Per esempio in occasione della chiusura dell’azienda per le vacanze estive, per necessità familiari, ecc.
Il problema dei tre mesi non sarà necessariamente interpretato con gli stessi criteri da parte delle singole questure e darà luogo a molte controversie.
Ricordiamo che il decreto legge sulla regolarizzazione, convertito in legge, continua a contenere un espressione che interpretata alla lettera dovrebbe consentire anche a chi ha iniziato il rapporto di lavoro dopo il 10 giugno, di perfezionare la regolarizzazione.
La norma richiede al datore di lavoro la regolarizzazione dichiarando che il lavoratore è stato occupato nei tre mesi precedenti il che può voler dire che il rapporto di lavoro è iniziato all’interno dei tre mesi precedenti ma NON si è svolto necessariamente per TUTTI i tre mesi. Grazie a questa diversa interpretazione che viene adottata dal Ministero dell’Interno rispetto alla formulazione letterale della norma, potremmo avere purtroppo il rischio di una applicazione di questa prassi estesa ad una moltitudine di persone, per cui prima si espelle e poi si comunica che la domanda di regolarizzazione è stata valutata negativamente.
È chiaro che le questure non possono lamentarsi se in molti casi lo straniero, quando viene convocato, chissà perché non si presenta. E’ normale che una persona che teme di essere espulsa, senza preavviso e, soprattutto, senza avere la possibilità di difendersi, cerchi di fare il proprio interesse, è umanamente comprensibile che non si presenti.
Speriamo che il Ministero riveda queste disposizioni, anche perché sta letteralmente smentendo se stesso. Sembra quasi si stiano cercando tutte le strade possibili per rifiutare il maggior numero delle domande di regolarizzazione.
Il sottoscritto, benché faccia l’avvocato di professione, si augurerebbe sempre che i problemi non dovessero essere ogni volta affrontati e risolti attraverso un ricorso alla magistratura, chiedendo la corretta interpretazione della legge. D’altra parte stiamo assistendo ad una prassi che non è conforme alla legge e viola sia la stessa formulazione del d.l. sulla sanatoria (così come convertito in legge) e sia la legge sul diritto alla partecipazione e all’accesso agli atti del procedimento amministrativo.
Le esperienze di tutela giudiziaria, ad ogni buon conto, hanno poi il benefico risultato di poter essere socializzate, quindi se qualcuno promuove un ricorso e riesce ad affermare un principio interpretativo di diritto questo va a beneficio di tutti i casi successivi. Questo perché l’Amministrazione dovrà attenersi ai principi enunciati dalla magistratura. Almeno fino a quando vivremo in un governo in cui si rispetta la Costituzione, che stabilisce il principio della separazione dei poteri per cui anche il potere esecutivo, il Governo, deve sottostare alla interpretazione della legge enunciata dalla magistratura.
Naturalmente, attraverso lo sportello radiofonico di Melting Pot, cerchiamo di cogliere il più possibile l’occasione per suggerire agli ascoltatori, agli utenti internet, a quelli che devono per primi affrontare il problema, di aprire anche un contenzioso giudiziario per (tentare almeno di) ottenere dalla magistratura quella che sarà la corretta interpretazione della legge, cosa che andrà a beneficio anche di chi arriverà dopo.
Ricordiamo che lo sportello Melting Pot è a disposizione sia per esaminare quesiti, fornire chiarimenti ed eventualmente per attivare cause pilota su questi problemi interpretativi. Non tanto per fare le cause a tutti i costi ma, anzi, per farne il meno possibile, cioè per cercare di stabilire principi interpretativi corretti che possano poi essere utilizzati anche a beneficio di altri, prevenendo il prima possibile una prassi amministrativa distorta che avrebbe dei risultati negativi anche sotto il profilo dell’ordine pubblico. Più clandestini andremo a produrre, più la presenza di immigrati irregolari nel territorio avrà dei riflessi sull’ordine pubblico e, per cosi dire, sulla pace sociale.