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Sanatoria: dalla prefettura al centro di detenzione, il caso di Milano

Arrivano le prime notizie allarmanti per quanto riguarda le risposte negative alle domande di regolarizzazione. Si tratta di quelle situazioni in cui, sulla base della valutazione della domanda, si ritiene che non ci siano i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno.

Abbiamo già dato notizia della segnalazione che giungeva da Milano di persone che sono state convocate presso l’U.T.G. e che, direttamente da lì, sono state portate di forza con la polizia nel centro di detenzione di Via Corelli per eseguire l’espulsione. Questo senza che sia stato adottato nessun formale provvedimento di comunicazione del diniego.
Questa procedura è stata definita da qualcuno una sanatoria-trappola. Un articolo di Luca Fazio – giornalista – da Milano disegna molto chiaramente la situazione.

Nell’articolo si scrive: “Se non fosse una specie di trappola, sarebbe la lettera che tutti gli stranieri sperano di trovare nella casella della posta. Comincia cosi: «Invito a presentarsi per la stipula del contratto di soggiorno per lavoro e il contestuale ritiro del permesso di soggiorno da parte del lavoratore straniero». Come il formaggio per i topi. Said Z., marocchino di 30 anni, in Prefettura, a Milano, ci è andato con il suo datore di lavoro. Adesso è nel centro di detenzione di via Corelli, in attesa di essere espulso. A Said nessuno ha notificato un regolare rifiuto di rilascio del permesso (come previsto da una comunicazione del ministero dell’interno) e il suo avvocato, Paolo Oddi, si è visto anche rigettare il ricorso senza spiegazioni. «Nulla blocca l’espulsione di Said – spiega – e l’unica cosa da fare contro questo provvedimento abnorme è ricorrere in Cassazione, magari tra un anno ci daranno ragione”.

Certo, non consola molto la possibilità di avere ragione. È chiaro che tra un anno Said sarà gia stato allontanato dal territorio italiano con l’espulsione coattiva.

Nel provvedimento emesso dal Tribunale di Milano con cui è stato rigettato il ricorso fatto dall’avvocato di Said si legge che il giudice ha convalidato il trattenimento nel cpt non tenendo conto del fatto che la legge in materia di regolarizzazione (L. 222/2002) prevedeva espressamente che nessun provvedimento di espulsione può essere adottato fino alla fine della definizione della procedura di regolarizzazione.
Una sorta di “moratoria” di cui avevamo già parlato. Si era detto: “La legge è chiarissima da questo punto di vista”. Anche coloro che in precedenza sono stati colpiti da un provvedimento di espulsione non possono e non potranno essere espulsi fino a quando non si sarà perfezionata la regolarizzazione. Se si conclude con esito positivo l’espulsione viene revocata. Se invece si conclude con esito negativo perché mancano i requisiti si riapre la possibilità di eseguire il vecchio provvedimento di espulsione. Può esserci, in questo caso, anche la possibilità di emanare un apposito decreto di espulsione.

L’interessato però in questo caso (sembra che per la Questura di Milano sia proprio un metodo) non ha ricevuto nessuna comunicazione in merito alla sua domanda di regolarizzazione. Molto semplicemente è stato invitato in prefettura con una ambigua comunicazione e da lì rinchiuso all’interno del centro di permanenza temporanea.

Sempre nel provvedimento si legge che non si ravvisa la sussistenza di alcun obbligo in capo all’Amministrazione di procedere alla comunicazione all’istante, che inoltra richiesta di legalizzazione del lavoro irregolare, degli atti di verifica della procedura e dell’atto relativo all’accertamento della esistenza di motivi che impediscono di perfezionare la regolarizzazione”.
Quindi secondo il Tribunale di Milano si può passare dall’attesa di perfezionamento della procedura direttamente all’espulsione nel caso in cui ritenga che non ci siano le condizioni per regolarizzare. Tutto questo senza alcun provvedimento scritto e motivato.
A questo punto sorgono alcune domande.

Qual è la possibilità per l’interessato di fare ricorso?

Contro che cosa può ricorrere?

Come può venire a conoscenza dei motivi in base ai quali l’amministrazione ha ritenuto di rifiutare la domanda di regolarizzazione?

È un principio costituzionale quello in cui ad ogni cittadino (senza distinzione tra stranieri e italiani) è concesso il diritto a ricorrere all’autorità giudiziaria e questo dovrebbe essere effettivo non certo, come commenta l’avvocato di Said, un ricorso alla Corte di Cassazione che potrà servire a qualcosa fra qualche anno soltanto a chi arriverà dopo. Non certo a questo signore che nel frattempo sarà stato espulso.

Invito gli utenti dello sportello a segnalare questo tipo di prassi per mettere in condizione chi sta attendendo la definizione della regolarizzazione di capire com’è la situazione e cosa eventualmente stanno rischiando.