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da Il Corriere della Sera del 21 giugno 2004

«Scienziato straniero? In coda!» di Stefano Righi

Una strada privilegiata per portare in Italia personale altamente qualificato da impiegare nelle imprese o nelle università. Una scorciatoia per aggirare i vincoli imposti dalla legge Bossi-Fini sulle quote di immigrazione extra-comunitarie e permettere a centri universitari di ricerca, ma anche a imprese di alto livello, di potere contare, per i propri profili più elevati, su professionisti stranieri. È il rovescio della medaglia. Se finora ci si è lamentati per la continua fuga di cervelli italiani verso le università e le aziende straniere, c’è anche chi non riesce a fare arrivare in Italia docenti o manager, perché le strade dell’immigrazione sono troppo tortuose.

«L’Italia è l’unico Paese al mondo – dice Riccardo Monti, partner di Value partners e presidente dell’associazione Italian Alumni della Columbia University di New York – che non considera una risorsa il personale altamente qualificato. E le norme esistenti rendono di fatto impossibile l’assunzione di personale qualificato. Noi stiamo parlando di una fascia molto ristretta di persone in possesso di un diploma post universitario, un master o un phd, che preveda almeno due anni di frequenza dopo la laurea, oppure che abbiano maturato una esperienza da senior manager di almeno tre anni. Persone che arriverebbero in Italia con già una occupazione e sulla cui scelta sarebbe pronto a garantire il datore di lavoro – azienda o università -. Teniamo presente che queste sarebbero persone di alto livello retributivo, che arriverebbero in Italia forti di contratti onerosi, per cui l’azienda, prima di esporsi nei confronti delle autorità pubbliche, avrebbe già effettuato una serie di controlli».

Sulla necessità di aprire ai cervelli stranieri cattedre e spazi nel top management delle aziende italiane sono in pochi ad aver dubbi. E sulla modesta internazionalizzazione delle imprese italiane è sufficiente vedere le aziende del Mibtel che hanno, nei posti di comando, pochissimi stranieri. «È necessario cambiare la normativa – sottolinea Monti – perché questo ci permetterebbe di agire su due leve importanti, il livello di innovazione e il livello di internazionalizzazione delle imprese italiane. Invece, l’attuale legge di fatto penalizza le imprese italiane. Il sistema rigido delle quote è una vera e propria aberrazione. Le quote devono esserci, è comprensibile la volontà di contingentare gli arrivi, ma non si può applicare il principio erga omnes. Invece oggi, in Italia, un ingegnere elettronico, uno scienziato aerospaziale e una badante sono considerati tutti sullo stesso piano. Così, mentre Francia, Germania, Gran Bretagna si contendono i migliori ingegneri indiani o cinesi o russi, un’azienda italiana è costretta ad aspettare 1 o 2 anni nella assoluta incertezza dei tempi».
A questo si aggiungano le difficoltà più prettamente burocratiche: il permesso di soggiorno, le assicurazioni obbligatorie, il codice fiscale.

«Quello che vogliamo fare – spiega Monti – è modificare il contenuto della legge, creando una corsia privilegiata di accesso in Italia per i lavoratori altamente qualificati». Secondo l’associazione degli ex studenti italiani della Columbia, i numeri in gioco sarebbero esigui: a fronte di una quota di 29 mila persone regolarizzate nel 2004, il personale altamente qualificato che potrebbe trovar posto nelle aziende e nei centri di ricerca italiani non supererebbe le 500 unità all’anno.
«Abbiamo avuto colloqui con i ministri Marzano e Moratti – dice Monti – che hanno espresso sostegno all’iniziativa: puntiamo a modificare, in particolare, l’articolo 27 della legge Bossi-Fini, quello che tratta gli “ingressi per lavoro in casi particolari”. Vorremmo permettere al personale altamente qualificato o a senior manager con almeno tre anni di esperienza al top di poter lavorare facilmente in Italia, consci del vantaggio competitivo che il Paese tutto potrebbe avere dalla presenza di queste persone. Si tratterebbe, è chiaro, di una eccezione alla regola delle quote, senza però stravolgere lo spirito della norma esistente e anzi assegnando alle aziende la funzione di filtro e di valutazione dei pre-requisiti di ammissione. I vantaggi, insomma, sarebbero superiori alle difficoltà…».
Per ora però tutto è fermo. E a farne le spese è, in qualche modo, l’Italia Spa.