L’ufficio stampa dell’Ufficio popolare della Gran Giamahria araba libica di Roma, in una lettera che il Manifesto ha pubblicato sabato 21 febbraio, ha duramente criticato i giornalisti di questo giornale che si erano occupati della Libia raccontando gli abusi subiti dai migranti in transito o residenti in quel paese. Alla fine della nota, pubblicata senza alcuna precisazione da parte dei giornalisti chiamati in causa, i rappresentanti libici si dichiarano” disponibili a fornire al giornale tutte le informazioni e a rispondere a tutti i quesiti perché ci teniamo a che il giornale il manifesto non si faccia trascinare dalla corrente delle forze ostili al diritto, alla giustizia e alla pace e che prosegua – invece – la propria strada riconosciuta a sostegno delle cause giuste nel mondo”.
Malgrado il tono apparentemente disteso e la dotta lezione sulle caratteristiche della democrazia popolare che caratterizza il regime libico, la nota assume oggettivamente un carattere intimidatorio contro chi ha tentato di squarciare il velo di menzogne e di omertà che copre la situazione dei migranti in Libia, mettendo in rilievo i costi e la inconsistenza operativa degli accordi bilaterali e dei protocolli firmati tra quel paese e l’Italia nel 2008 e nel 2007.
Quanto quegli accordi siano stati efficaci ad arginare il movimento dei clandestini lo si può ricavare dall’aumento esponenziale dei migranti che dalla Libia giungono in Sicilia, ancora in questi ultimi giorni, su percorsi che adesso vengono deviati da Lampedusa a porto Empedocle, dopo che il Ministro Maroni, con le sue scelte militari ha contribuito a fare esplodere una nuova emergenza rendendo di fatto inagibile il centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola trasformato frettolosamente in CIE. Nei prossimi mesi, per queste scelte demagogiche, se partirà il pattugliamento congiunto e si continueranno a “deviare” verso la Sicilia le imbarcazioni dirette a Lampedusa, si dovranno contare ancora altri morti ed altri dispersi.
Dalla Libia continuano ad arrivare in maggior parte migranti potenziali richiedenti asilo, minori non accompagnati e donne, molte delle quali raccontano di abusi e violenze anche da parte di agenti di polizia. Tutti riferiscono di avere dovuto pagare trafficanti ed agenti di polizia, con quello che avevano, o con rimesse di parenti tramite Western Union. Persino la Missione tecnica Frontex (Agenzia dell’Unione Europea per il controllo delle frontiere esterne) che si è svolta nel giugno del 2007, pur mettendo in evidenza la “calorosa accoglienza” ricevuta dalle autorità libiche, sottolineava la diffusa corruzione tra le forze di polizia di frontiera e l’assenza totale di controlli da parte dello stato in tale settore. Una situazione che è confermata ancora oggi dai migranti che giungono in Sicilia.
Sono fin troppo noti, basta cercarli su internet, i rapporti di Amnesty e di Human Rights Watch sugli abusi subiti dai migranti in Libia, soprattutto nei campi di detenzione dove sono soggetti al lavoro forzato ed a trattamenti inumani e degradanti. Malgrado questi documenti basati di prove inconfutabili, l’Italia non ha esitato a concludere accordi bilaterali con quel paese, per bloccare le partenze ed è prossima la fornitura di sei motovedette per avviare il “pattugliamento congiunto” ai limiti delle acque territoriali libiche per ricacciare indietro le imbarcazioni cariche di migranti dirette verso l’Europa.
Quando Gheddafi parla ai paesi del sud del mondo, afferma la libertà di emigrazione, conclude accordi con lo Sri Lanka per fare arrivare 100.000 lavoratori da quel paese, ma quando i migranti giungono in Libia vengono maltrattati, usati come arma di pressione sui governi europei per ottenere vantaggi economici e politici. Magari allo scopo di controllare meglio le frontiere meridionali, un compito per il quale adesso si sta affidando ad imprese italiane l’appalto per la installazione di servizi di sorveglianza. In pieno deserto ed in zone caratterizzate da conflitti endemici. Assai probabilmente altri milioni di euro ( italiani e comunitari) gettati al vento.
Negli accordi tra l’Unione Europea ed i paesi del Nord-Africa vanno inserite clausole che richiamano il rispetto dei diritti umani, e che sul rispetto di quelle clausole sono previsti appositi strumenti di monitoraggio.
Attendiamo che anche l’Italia dia lo stesso rilievo, imposto anche dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, al rispetto dei diritti umani nei paesi con i quali conclude accordi di riammissione o di collaborazione nel “contrasto dell’immigrazione clandestina”, o invia ufficiali di collegamento.
Vorremmo soprattutto conoscere dalle autorità libiche che fine faranno i prigionieri eritrei rinchiusi da mesi nel carcere di Misurata, come saranno garantiti i diritti delle donne e dei minori costretti ad attraversare quel paese, che destino sarà riservato alle migliaia di migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici, ed infine quali iniziative verranno adottate per contrastare la diffusa corruzione tra le forze di polizia. No sappiamo se queste “informazioni” ci saranno fornite, come promesso. Sono domande che le istituzioni comunitarie e le grandi agenzie umanitarie internazionali pongono da anni alla Libia, senza ottenere risposta. Attendiamo risposte precise e documentate e non generiche accuse rivolte ai giornalisti. Si vedrà così quali sono veramente le “forze ostili al diritto, alla giustizia ed alla pace”.