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da Il Messaggero del 11 gennaio 2004

“Se il mare diventasse ghiaccio…” di Oliviero Stella

«Se il mare diventasse ghiaccio, tutti gli albanesi diventerebbero italiani». E’ un antico detto albanese che spiega con sintetica efficacia quanto il nostro Paese sia sempre stato, per l’Albania, un punto di riferimento. Sin dai tempi di Scanderbeg, l’eroe nazionale che – a metà del XV secolo – si batté contro gli Ottomani inseguendo il sogno di uno Stato albanese. Venne a Roma, Scanderbeg, a chiedere aiuto a papa Pio II.
Quella stessa sponda di salvezza l’hanno cercata gli undicimila profughi che nell’agosto del 1991 – dopo la caduta del regime comunista – sbarcarono a Bari, portati da una vecchia carretta del mare che si chiamava Vlora (Valona), e dietro a loro – negli anni successivi – l’ha cercata una moltitudine di uomini, donne, bambini nel tentativo di sfuggire alla povertà.
Povertà che diventò miseria, fame, difficoltà di sopravvivere, dopo il crollo delle ”piramidi” nel 1997: sedicenti società finanziarie, in realtà una sorta di ”catene di Sant’Antonio”, che truffarono buona parte del popolo albanese. E’ assai lunga la lista di coloro che sono morti in questi viaggi della speranza, nel Canale d’Otranto.
Ed ora altri venti nomi si aggiungono all’elenco.
La notizia della nuova tragedia coglie tutti di sorpresa, anche in Albania, perché si riteneva che il traffico di clandestini fosse stato ormai azzerato. Sì, certo, continua da parte di ben organizzate reti criminali la turpe industria del traffico di esseri umani, ragazze e bambini destinati alla prostituzione o all’accattonaggio, fenomeno di cui il nostro giornale si sta occupando in questi giorni.
Ma l’immigrazione clandestina di gente in cerca di lavoro – se questo è il motivo che ha spinto la trentina di disperati a imbarcarsi su quel gommone – si pensava che fosse finita: vuoi per l’opera di dissuasione esercitata dalla nostre forze di polizia e dalla Marina, in collaborazione con le autorità albanesi, vuoi per l’accordo sulla riammissione dei clandestini, vuoi per il controllo sui flussi di immigrazione.
La povertà, però, non è finita. Se, grazie agli aiuti internazionali e alle rimesse degli emigrati, l’Albania sta conoscendo una fase di intensa crescita economica, è anche vero che si tratta di uno sviluppo disomogeneo: ci sono aree del Paese e strati sociali che vivono ancora nella miseria.

Nei giorni scorsi eravamo a Elbasan, 70 chilometri da Tirana, una città dove il disagio economico e sociale è profondo dopo la chiusura di un gigantesco impianto siderurgico, costruito dai cinesi ai tempi del regime comunista di Enver Hoxha. Lì una organizzazione non governativa italiana, il Cefa di Bologna, ha creato e gestisce (insieme con associazioni e istituzioni albanesi) alcune strutture per l’assistenza alle donne sottoposte a violenza e ai bambini e ai ragazzi dei quartieri più poveri; e sta inoltre realizzando dei progetti di sviluppo agricolo.
I centri del Cefa sono una ”trincea sociale” in una zona di vera emergenza: la disoccupazione è in aumento, così come il numero dei senzatetto. Molti a Elbasan vivono con le modeste rimesse dei parenti che sono riusciti a emigrare. Tuttavia, anche in questa condizione l’emigrazione non è più vista come una fuga ma come un’esperienza. E l’Italia non è più Lamerica , il miraggio raccontato nel film di Gianni Amelio.
Ci spiegava un operatore albanese del Riemar , il centro giovanile del Cefa: «Sì, prima l’Italia era considerata l’America, un luogo in cui si poteva vivere alla grande senza lavorare. D’altronde, così ce la proponeva la tv italiana. Ora si sa che la realtà è ben diversa. Certo, gli albanesi vogliono ancora andarci, ma per imparare un mestiere, per tornare qui con un po’ di soldi, i ragazzi per studiare».
Marius, pelle ambrata e occhi scuri, vivacissimi, è fra questi. Tifoso dell’Inter, parla italiano come la gran parte dei giovani albanesi. Non va a scuola, ci ha detto, «perché qui è uno schifo, non funziona niente». Ma vorrebbe studiare in Italia. «E poi qui in Albania ci sposiamo troppo presto. Lì da voi è diverso».

Il centro giovanile del Cefa è in un vecchio cinema nel quartiere di Lagja Vullnetari, il quartiere più povero di Elbasan. Girando per quelle strade, colpisce la selva di antenne paraboliche sui muri esterni dei palazzi, mai intonacati. Catturano sogni di benessere e di riscatto diffusi dalla tv italiana. Fra i miti televisivi più popolari attualmente c’è quello di Kledi, un ballerino che ha ottenuto una relativa celebrità con alcune trasmissioni di Canale5: ”Buona domenica”, ”Saranno famosi”, ”C’è posta per te”. Era un ballerino classico dell’Opera di Tirana; è fuggito nel ’91 con gli undicimila del Vlora , è stato rimpatriato ma poi è riuscito a tornare in Italia. E ce l’ha fatta. Probabilmente era un mito anche per qualcuno dei naufraghi del gommone. Un sogno svanito nel Canale d’Otranto.