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Se la via della seta passa per Alfonsine

Intervista con Wu Rui Jun, commerciante di mobili cinesi

Tutti ne parlano. Fiumi di inchiostro si sprecano. Una cosa è certa: la Cina giocherà un ruolo determinante nel nostro futuro. Un miliardo e 300milioni di abitanti, una crescita economica stellare: minaccia o grande opportunità? E, soprattutto, cosa fanno le imprese italiane? Italiane, ma anche ravennati. Ci sono colossi, come la Cmc, che da ormai 20 anni hanno consolidati rapporti con la Cina, certo. Ma, più in generale, Ravenna sta andando in Cina? O è la Cina piuttosto a trovare un suo mercato anche a Ravenna? Senza alcuna pretesa di esaurire la complicata questione, abbiamo raccolto qualche testimonianza. Partendo da quella di un cinese: Wu Rui Jun (nella foto), commerciante di mobili. Che abita a Glorie di Mezzano.

È nato nel Nord della Cina, nella Mongolia interna, a circa 700 Km da Pechino. Ma Wu Rui Jun da 5 anni vive a Glorie di Mezzano. Un bel salto spazio-temporale, reso più semplice dal fatto che, anche in Mongolia interna, Wu Rui Jun non viveva in una grande città, ma in un piccolo centro: «a Pechino non ci vivrei mai, ci sono più di 20 milioni di abitanti ed è una città troppo caotica», dice Wu Rui Jun. 41 anni, laureato in economia e commercio in Cina, Wu Rui Jun da vent’anni fa il commerciante: prima di prodotti cosmetici e detersivi nel proprio paese, oggi di mobili cinesi in Italia. La sua impresa commerciale si chiama Heng Rui e ha sede ad Alfonsine, dove c’è il magazzino pieno dei mobili che Wu Rui Jun va a comprare in Cina e vende qui, in molti negozi di Ravenna, ma anche di Genova, Milano, Firenze. La vicenda di Wu Rui Jun è una storia antica: è la globalizzazione applicata, quella che spinse a costruire le Vie della Seta, quella del commercio. Che può essere uno scambio di culture e conoscenza: nei mobili del suo magazzino è racchiusa una storia affascinante e lontana, la storia di luoghi “altri”, differenti da noi. Per questo, la prima domanda da fare a Wu Rui Jun non può che riguardare i magnifici manufatti che vende.
Che tipo di mobili commercia?
«Sono mobili d’epoca, dei primi decenni del Novecento: quando Mao andò al potere, la gente in casa poteva tenere solo due bauletti e un mobiletto che faceva da credenza. Erano case molto spoglie, e non si dava molta importanza alla bellezza degli oggetti. Per questo, i mobili degli anni ‘20 sono più pregiati. Quelli che commercio, sono mobili di uso comune, che si trovavano nelle case del ceto medio. Provengono dalla zona di Pechino, dal nord della Cina, dalla Mongolia interna, oppure dal Tibet».
Com’è arrivato ad Alfonsine, dal nord della Cina?
«La causa principale è stata la mia famiglia. Mia nipote si è sposata con un ravennate e, visto che il commercio che avevo in Cina non andava più molto bene, io e mia moglie abbiamo deciso di venire in Italia pensando che fosse un’opportunità lavorativa. La nostra famiglia si è quindi trasferita ad Alfonsine, dove adesso vivono anche i miei figli».
Vorrebbe tornare in Cina?
«No. Per motivi di lavoro ci vado tre, quattro volte l’anno. Ho una casa a Glorie e una a Pechino, quindi non ho perso i contatti con la Cina. Però sto bene anche qui, sebbene in Italia il costo di cose essenziali come la casa, la benzina o l’elettricità, è troppo alto. A parte questo, qui la gente è gentilissima e civile e quella ravennate è una zona piacevole, tranquilla».
Qui si sente integrato?
«Sì, e frequento più italiani che cinesi. Anche perché lavoro con gli italiani. Però, anche se qui mi sento a mio agio, tutto è diverso dalla Cina. Non c’è proprio nulla in comune tra la vita qui e la vita in Cina! La mentalità, le abitudini, il modo di fare della gente… davvero non c’entra niente!»
Il Pil della Cina è in una crescita impetuosa, ma quando si parla di Cina, si parla anche di diritti negati, di povertà… cosa c’è di vero in questa descrizione?

«Dal punto di vista imprenditoriale c’è una fase di grande sviluppo, ma bisogna considerare che siamo davvero tanti! Il benessere non coinvolge tutti, ma in generale si sta meglio di qualche anno fa. Oggi in Cina non ci sono solo i ricchissimi e i poverissimi, esistono per la prima volta i ceti medi. E le campagne, in particolare quelle vicine alle grandi città, se la passano meglio di anni fa… io trovo un po’ esagerata l’immagine negativa della Cina che si vede qui. È vero che ci sono problemi politici, ma per quanto riguarda l’economia c’è la stessa libertà d’impresa che c’è qui… anzi, devo dire che l’Italia è molto più lenta e burocratica… è più indietro».
Cosa vuol dire?
«L’Italia è un paese avanzato, ma non capisco proprio perché gli italiani vendano così pochi prodotti e servizi da noi… l’Italia è un paese bellissimo, ma è un posto strano. Non coglie le opportunità. In Francia e in Germania sono molto più svegli».
In che cosa siamo indietro rispetto a questi paesi?
«Le Università cinesi sono piene di europei, ma non di italiani. Con Francia e Germania gli studenti cinesi fanno molti scambi: loro vanno a imparare il cinese e conoscono un nuovo mercato, e i cinesi imparano la tecnologia di quelle nazioni. Le scuole italiane non lo fanno, e davvero non capisco perché…»
Wu Rui Jun prende in mano una borsa di cuoio di marca italiana: «è vero che in Cina le imitiamo, ma le vostre sono meglio! Chi vende queste borse in Cina fa molti soldi, perché ci sono tantissimi ricchi e sempre più benestanti. Io conosco dei commercianti cinesi che comprano i vostri mobili qui e li vendono in Cina al doppio del prezzo: se gli italiani avessero più iniziativa lo farebbero loro! Il punto è che ancora non c’è l’Italia in Cina. Forse c’è più Cina in Italia!»

Di Elisa Battistini