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Sentenza TAR Veneto n. 6193/2003

Ricorso promosso contro il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Ric. n. 2625/2003 Sent.n.6193/03

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituito da:
Umberto Zuballi Presidente, relatore
Italo Franco Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

In forma semplificata ex art. 26, comma quarto, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come sostituito dall’articolo 9, comma primo, della legge 21 luglio 2000 n. 205
sul ricorso n. 2625/2003 proposto da ****, rappresentato e difeso dall’avv.to Michele Barzan con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;

CONTRO

Il MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, la Questura della Provincia di Venezia, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

per l’annullamento

del provvedimento n. 51/02/Div. Amm.va e Soc. cat. A11/2003/Uff. Imm., notificato il 16.10.2003, con il quale il Questore di Venezia ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. P 831975 rilasciato dalla Questura di Venezia il 20.8.2002;
Visto il ricorso, notificato il 12.11.2003 e depositato presso la Segreteria il 19.11.2003 con i relativi allegati;
Visti gli atti della causa;
UditI alla camera di consiglio del 16. 12.2003 (relatore il Presidente Zuballi) – l’avv.to Fiorini, in sostituzione di Barzan, per il ricorrente e l’Avvocato dello Stato Gasparini per la Pubblica Amministrazione;
Rilevata, ai sensi dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come integrato dall’articolo 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205, la completezza del contraddittorio processuale e ritenuto di poter decidere la causa con sentenza in forma semplificata;
sentite sul punto le parti costituite;
richiamato quanto esposto dalle parti nel ricorso e nei loro scritti difensivi;

F A T T O

Il ricorrente, cittadino albanese, fa presente che il permesso di soggiorno non gli è stato rinnovato sulla base della sua presunta pericolosità sociale. Osserva come l’episodio cui il provvedimento fa riferimento risale al 2001.
A sostegno del ricorso illustra i seguenti motivi:
travisamento dei fatti, carenza di presupposti, incongruenza e illogicità della motivazione, carenza di istruttoria.
Il ricorrente spiega nel dettaglio l’episodio in cui era stato coinvolto, insufficiente a suo avviso a farlo considerare socialmente pericoloso.
La motivazione sul punto risulta poi del tutto carente; cita a sostegno una copiosa giurisprudenza.
Come secondo motivo deduce l’erronea applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo del 1998 e dell’articolo 1 della legge 1423 del 1956 in quanto non ci sarebbero gli estremi per la pericolosità sociale.

D I R I T T O

Tra i requisiti che uno straniero deve possedere per ottenere e mantenere un permesso di soggiorno va annoverato, oltre a quelli ben noti dell’attività lavorativa e dell’alloggio, quello di tenere una condotta corretta.

I requisiti non devono essere posseduti unicamente al momento dell’ingresso in Italia e del rilascio del permesso di soggiorno, ma devono permanere anche durante il soggiorno nel nostro Paese e possono (e devono al momento della domanda di rinnovo) essere soggetti a verifica in ogni momento da parte dell’autorità, per cui, se vengono a mancare, provocano la revoca del permesso già in essere ovvero, se risultano carenti al momento della scadenza del permesso, giustificano il diniego di rinnovo.
Invero, ai sensi dell’art. 5 comma 5, del d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.
Tra gli elementi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero tali da giustificare la sua revoca, vi è la cosiddetta pericolosità sociale, prevista dall’art. 13 comma 2, del d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, laddove si contemplano i presupposti affinchè l’autorità prefettizia disponga l’espulsione dal territorio dello Stato e, segnatamente, nella lett. c), che menziona gli appartenenti a taluna delle categorie indicate nell’art. 1, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423, come sostituito dall’art. 2, l. 3 agosto 1988 n. 327, o nell’art. 1, l. 31 maggio 1965 n. 575, come sostituito dall’art. 13, l. 13 settembre 1982 n. 646.
A sua volta il giudizio di pericolosità sociale, riferisce il suo momento giustificativo a comportamenti o situazioni non ancora concretizzati in fatti o circostanze tali da rappresentare addebiti più puntuali e specifici, ed ha, quindi, riferimento ad una valutazione indiziaria fondata su circostanze di portata generale e di significato tendenziale e su contesti significativi nel loro complesso.
Va quindi tenuto presente come il giudizio di pericolosità sociale abbia contenuto meramente prognostico ovvero probabilistico, e non implica quindi un accertamento già intervenuto in sede penale, o meglio, ne può prescindere. In sostanza, qualora vi siano elementi di fatto, anche se concretatisi in un singolo episodio, sufficienti a generare un notevole allarme sociale, il giudizio di pericolosità deve ritenersi giustificato, anche tenendo presente che si tratta comunque di attività discrezionale della pubblica amministrazione, sindacabile unicamente in caso di illogicità, di carenza di presupposti, o di manifesta incongruità.
Per le stesse ragioni fin qui indicate i giudizi espressi in sede penale, ivi compresi quelli relativi alla concessione di alcuni benefici, quale gli arresti domiciliari, la condizionale o simili, non hanno rilievo diretto nel giudizio di pericolosità formulato ai fini del diniego di rilascio del permesso di soggiorno, che presenta diversi presupposti e parametri di valutazione.
Riassumendo, il riscontro va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita; d) insindacabilità dei giudizi discrezionali dell’amministrazione, se non per macroscopiche illogicità; e) indipendenza dai giudizi penali, ma possibilità di tener conto dei fatti emersi in detti giudizi.
Venendo al caso in esame, va innanzi tutto rilevato come l’episodio è unico, e risalente al 12 gennaio del 2001. Non risulta ancora un seguito in sede penale, se non una richiesta di rinvio a giudizio; inoltre, il reato commesso dal ricorrente, non ancora accertato in sede penale, riguardava la detenzione di sostanze stupefacenti in concorso con altri soggetti, ed è avvenuto quando il ricorrente era ancora minorenne.
In relazione a tali circostanze, manca nel provvedimento impugnato una valutazione dell’attualità della pericolosità sociale, oltre che una considerazione complessiva della personalità del ricorrente. In sostanza nel provvedimento impugnato si evince, alla luce dei principi sopra enunciati, una carenza di istruttoria e di motivazione, sufficiente per accogliere il ricorso e annullare il provvedimento impugnato, anche se le spese di giudizio si possono compensare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,
lo accoglie, come da motivazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 16 dicembre 2003.

Il Presidente estensore