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Sentenza Tar Lazio n.5556 del 19 giugno 2007

Ricorso su rinnovo del permesso di soggiorno

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO (Sezione II quater)

SENTENZA

sul ricorso n. 3671/2007 proposto da xxxxx, rappresentato e difeso dall’avv. Annunziata D’Andrea ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Crescenzio n. 9;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, nonchè la Prefettura di Roma, in persona del Prefetto in carica, e la Questura di Roma, in persona del Questore pro-tempore, non costituiti in giudizio;
per la dichiarazione dell’illegittimità ed il conseguente annullamento
del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente in data 23.1.2006 e per la conseguente condanna dell’amministrazione ad emanare un provvedimento espresso entro un termine non superiore a trenta giorni;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Primo Refendario Floriana Rizzetto;
Uditi, ai preliminari, l’avv. A. D’Andrea per il ricorrente e l’avv.to dello Stato Saulino per il Ministero dell’Interno;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso in trattazione il ricorrente agisce in giudizio contro l’inerzia serbata dall’amministrazione sull’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata in data 23.1.2007, chiedendo a questo Tribunale di ordinare all’Amministrazione di provvedere sulla predetta istanza entro un termine non superiore a trenta giorni;
Il ricorso è affidato al seguente motivo:
1)violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990, come modificato dal d.l. 35/2005.
Si è costituito in giudizio Ministero dell’Interno chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato nel merito.
All’udienza pubblica del 22 maggio 2007 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
L’art. 21 bis della legge n. 1034/1971 è stato modificato dall’art. 2, primo comma, della legge 11.2.2005 n. 15, il quale prevede che “il ricorso avverso il silenzio…può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente fin tanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 e 3” dello stesso art. 2 della legge 7.8.1990 n. 241, fissati per la conclusione del procedimento”.
Orbene, nella fattispecie in esame la domanda di rinnovo di permesso di soggiorno risulta presentata dal ricorrente in data 23.1.2006 e quindi avrebbe dovuto essere decisa con un provvedimento espresso entro il termine di venti giorni fissato dall’art. 5, comma 9, del D.Lgs. 25.7.1998 n. 286, secondo il quale “il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda”.
A tale stregua, il ricorso doveva essere notificato entro un anno dalla data del 12.2.2006, in cui veniva a scadere il termine di venti giorni per l’adozione del provvedimento dell’amministrazione e, quindi, entro il 12.2.2007.
Il ricorso risulta, invece, notificato in data 11.4.2007 e, pertanto, oltre il termine di scadenza sopraindicato, sicchè deve essere dichiarato inammissibile.
Né ha rilevanza la circostanza che il ricorrente, per il tramite del proprio difensore, con raccomandata r.r. trasmessa il 13.2.2007 abbia diffidato l’amministrazione alla conclusione del procedimento in questione, atteso che, come si è in precedenza evidenziato, secondo la nuova disciplina dettata dall’art. 2 della legge n. 15/2005, la diffida non solo non è più necessaria, ma non è neppure idonea ad interrompere o sospendere il termine annuale per la proposizione del gravame, in quanto di tale interruzione o sospensione non solo non vi è traccia nella richiamata disposizione, ma soprattutto sarebbe contraria alla finalità acceleratoria della norma. Vero è, infatti, che con l’art. 2 della legge n. 15/2005 il legislatore ha fissato una disciplina completamente diversa dal quella precedente, consentendo all’interessato l’impugnazione del silenzio dell’amministrazione anche senza la previa rituale notificazione della diffida, ma a condizione che l’impugnazione avvenga entro un anno dalla scadenza del termine per provvedere. Consentire, infatti, che detto termine possa essere procrastinato indefinitamente con la presentazione di diffide, rituali o irrituali che esse siano, sarebbe contrario sia al dato letterale della disposizione, sia alla sua “ratio” che è quella di fissare un termine ultimo per la proposizione del ricorso in applicazione del principio della certezza del diritto.
In conclusione, e per quanto sopra argomentato, il ricorso proposto dal ricorrente secondo la nuova disciplina dettata dall’art. 2 della legge n. 15/2005, deve essere dichiarato inammissibile.
Va, peraltro, precisato che il ricorso sarebbe comunque inammissibile anche secondo la precedente disciplina, non essendo stato il preteso silenzio-rifiuto formalizzato con un atto ritualmente notificato tramite ufficiale giudiziario, risultando la richiesta-diffida trasmessa alla Questura di Roma con semplice raccomandata postale.
Come si è già espresso questo Tribunale (cfr. sentenze n. 883 del 1.2.2005, n. 1276 del 11.2.2004 e n.1209 del 20.2.2002), in conformità alla giurisprudenza (cfr.CdS, V, 12.11.2003 n. 7220; id., 18.11.1997 n.1331; CGARS, 23.12.1999 n.665), condivisa dal Collegio, resa con riferimento alla disciplina vigente anteriormente alle modificazioni introdotte dalla legge n. 15/2005, in mancanza di regole speciali concernenti determinate materie che equiparano il silenzio al provvedimento espresso di rifiuto, il soggetto che intendeva reagire contro l’inerzia della pubblica amministrazione aveva l’onere di formalizzare il silenzio-rifiuto seguendo il procedimento ordinario di cui all’art. 25 del T.U. n. 3/1957, il quale prevede espressamente la notifica all’amministrazione, a mezzo di ufficiale giudiziario, di un atto di diffida ad adempiere entro il termine di trenta giorni. Né erano consentite forme di notificazione diverse da quella tramite ufficiale giudiziario.
Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II quater, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 22 maggio 2007 con l’intervento dei Magistrati:
Italo RIGGIO Presidente
Renzo CONTI Consigliere
Floriana RIZZETTO Primo Referendario, est.