Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sentenza del 14 novembre 2008 del TAR di Lombardia

Niente cittadinanza se manca continuità iscrizione anagrafica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 233 del 2005, proposto da:
Allushi Dhurim, rappresentato e difeso dall’avv. Caterina Bozzoli, con domicilio eletto presso l’avv. Giacomo Lombardi in Brescia, via Gramsci, 30 (Fax=030/3751921);

contro

Prefetto di Bergamo, Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distr.le dello Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6 (Fax=030/41267);

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

DEL DECRETO DEL PREFETTO DI BERGAMO IN DATA 5/2/2004 PROT. N. 12083/SUB, DI DINIEGO SULL’ISTANZA DI LEGALIZZAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Prefetto di Bergamo e del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13/11/2008 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con l’impugnato decreto il Prefetto di Bergamo si è pronunciato sfavorevolmente sulla richiesta presentata dal Sig. Vrioni Dashamir, diretta ad ottenere la legalizzazione del rapporto di lavoro instaurato con il cittadino albanese Allushi Dhurim. Il diniego si fonda sul parere negativo espresso dalla Questura di Brescia, la quale ha rilevato l’esistenza dei motivi ostativi previsti dall’art. 1 comma 8 del D.L. 9/9/2002 n. 195 convertito in L. 9/10/2002 n. 222.

Invero, il Sig. Allushi Dhurim risulta essere stato colpito da un provvedimento di espulsione emesso in data 8/10/2001 dal Prefetto di Bari (cfr. doc. n. 14 ricorrente), eseguito con accompagnamento alla frontiera in pari data dalla Questura di Bari (doc. 15).

Con il ricorso all’esame, il ricorrente deduce:

– l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 8 del D.L. 9/9/2002 n. 195 convertito con modifiche nella L. 9/10/2002 n. 222, in quanto verrebbe ingiustamente differenziata la posizione dello straniero espulso senza accompagnamento alla frontiera con colui che viceversa ha subito l’accompagnamento coattivo – per il quale non si consente la revoca della misura neppure in presenza di un positivo inserimento sociale – con conseguente irragionevole disparità di trattamento di situazioni identiche per il solo fatto della diversa modalità di esecuzione dell’espulsione.

– il difetto di motivazione, che si ridurrebbe ad una mero rinvio alla normativa;

– la violazione dell’art. 2 comma 6 del D. Lgs. 286/98 e dell’art. 3 commi 2 e 3 del D.P.R. 394/99 per omessa comunicazione del provvedimento al ricorrente, con traduzione in una lingua comprensibile.

Alla Camera di Consiglio dell’11/3/2005 (ord. n. 328/05) è stata accolta temporaneamente, in relazione alla pendenza di questione di legittimità costituzionale della norma, l’istanza di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame.

A prescindere dalla questione di inammissibilità per omessa impugnazione del provvedimento della Questura del 22/9/2006, di conferma del diniego di nulla osta alla regolarizzazione, il ricorso è infondato nel merito.

1. Come affermato ripetutamente da questa Sezione (sentenze 5/7/2006 n. 863; 20/7/2006 n. 917; 19/7/2008 n. 920; 30/10/2008 n. 1474; 31/10/2008 n. 1487), il primo motivo di gravame deve essere respinto alla luce della sentenza 26/5/2006 n. 206 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato infondate questioni analoghe a quelle proposte in questa sede.

In particolare ha rilevato la Corte che nel sistema vigente prima della legge n. 189 del 2002, la modalità abitualmente seguita per l’esecuzione dell’espulsione dal territorio dello Stato non era l’accompagnamento alla frontiera, bensì l’intimazione ad uscirne nel termine stabilito (art. 13 comma 6 del D. Lgs. 286/1998).

L’accompagnamento alla frontiera era previsto per chi fosse stato espulso dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o appartenesse a categorie soggette a misure di prevenzione, ed anche per chi non avesse ottemperato all’ordine di lasciare il territorio italiano nel termine stabilito, o vi fosse entrato sottraendosi ai controlli di frontiera, qualora fosse privo di documento d’identità e il Prefetto ravvisasse il pericolo di sottrazione alla misura.

Ad avviso della Corte “l’accompagnamento alla frontiera non era pertanto correlato a lievi irregolarità amministrative, ma alla situazione di coloro che avessero già dimostrato la pervicace volontà di rimanere in Italia in una posizione di irregolarità tale da sottrarli ad ogni normale controllo o di coloro che tale volontà lasciassero presumere all’esito di una valutazione dei singoli casi condotta sulla base di specifici elementi (sottrazione ai controlli di frontiera e mancanza di un documento d’identità)”.

Dopo avere ricordato che “la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione. E tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli”, la Corte ha concluso che “la scelta del legislatore di escludere la legalizzazione dei rapporti di lavoro dei cittadini extracomunitari colpiti da provvedimenti di espulsione con accompagnamento alla frontiera non è manifestamente irragionevole e la disposizione censurata, tenuto conto del complesso degli interessi da tutelare, non incorre nel vizio del trattamento normativo eguale per situazioni sostanzialmente difformi”.

Con riguardo poi all’art. 35, primo comma, della Costituzione, la Corte ha osservato che: “Nella materia del lavoro dei cittadini extracomunitari, rapporto di lavoro e regolarità della loro posizione in Italia sono situazioni che spesso s’intrecciano e si condizionano reciprocamente, ma ciò non significa che, per la tutela degli interessi pubblici di cui si è detto, il legislatore non possa subordinare la stessa configurabilità di un rapporto di lavoro al fatto che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno di quegli interessi sulla base di una valutazione condotta con criteri non arbitrari”.

Alla stregua di tali considerazioni deve affermarsi la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta, e la prima censura sollevata va respinta.

2. Devono essere respinti anche gli ulteriori due profili di gravame, in quanto da un lato il provvedimento impugnato costituisce esercizio di attività totalmente vincolata e si fonda su un preciso elemento ostativo, che peraltro è stato chiaramente indicato dalla Prefettura; sotto diverso punto di vista il ricorrente ha preso cognizione del provvedimento impugnato, a lui trasmesso dal datore di lavoro (cfr. pag. 3 ricorso introduttivo) e ha comunque avuto la possibilità di difendersi promuovendo azione in sede giurisdizionale.

3. Infine va sottolineato che la legittimità del provvedimento gravato in questa sede deve essere apprezzata secondo il canone “tempus regit actum”, a prescindere dal decorso del tempo e dall’avvenuto venir meno, in epoca successiva, degli effetti preclusivi dell’espulsione disposta nel 2001.

In definitiva, il ricorso è infondato deve essere respinto.

La natura della controversia, afferente all’interesse primario della persona a stabilirsi sul territorio nazionale, suggerisce di compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13/11/2008 con l’intervento dei Magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Referendario

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/11/2008

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO