Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sentenza della Corte di Giustizia CEE del 25 luglio 2002

Ingresso ed allo stabilimento in territorio CEE del coniuge extracomunitario di cittadino comunitario

1. Libera circolazione delle persone – Diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini degli Stati membri – Diritto di ingresso dei familiari – Coniuge cittadino di un paese terzo privo di documenti d’identità o di visto, ma in grado di provare la sua identità nonché il legame coniugale – Mancanza di motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica – Respingimento alla frontiera – Inammissibilità
(Regolamento del Consiglio n. 2317/95; direttive del Consiglio 68/360, artt. 3 e 10, e 73/148, artt. 3 e 8)

2. Libera circolazione delle persone – Diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini degli Stati membri – Diritto di soggiorno dei familiari – Coniuge cittadino di un paese terzo, in grado di provare la sua identità nonché il legame coniugale, entrato illegalmente nel territorio – Diniego del titolo di soggiorno e adozione di una misura di allontanamento basati su tale unico motivo – Inammissibilità – Adozione di misure di ordine pubblico o di pubblica sicurezza di cui alla direttiva 64/221 – Inammissibilità

(Direttive del Consiglio 64/221, art. 3, 68/360, artt. 4 e 10, e 73/148, artt. 4, 6 e 8)

3. Libera circolazione delle persone – Diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini degli Stati membri – Diritto di ingresso e di soggiorno dei familiari – Coniuge cittadino di un paese terzo entrato legalmente nel territorio – Diniego del titolo di soggiorno e adozione di una misura di allontanamento basati sull’unico motivo della scadenza del visto – Inammissibilità

(Direttive del Consiglio 64/221, art. 3, n. 3, 68/360, artt. 3 e 4, n. 3, e 73/148, artt. 3 e 6)

4. Libera circolazione delle persone – Deroghe – Decisioni in materia di polizia degli stranieri – Decisione di diniego del rilascio di un primo permesso di soggiorno – Decisione di allontanamento prima del rilascio di un permesso di soggiorno – Procedimento di esame e di parere dinanzi all’autorità competente – Ambito di applicazione – Decisioni adottate nei confronti del coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro privo di documenti di identità o di visto – Inclusione

(Direttiva del Consiglio 64/221, artt. 1, n. 2, e 9)

Massima

1. L’art. 3 della direttiva 68/360, l’art. 3 della direttiva 73/148, nonché il regolamento n. 2317/95, letti alla luce del principio di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non può respingere alla frontiera il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che tenti di entrare nel suo territorio senza essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi o, se del caso, di un visto, quando il coniuge può provare la sua identità nonché il legame coniugale e se non esistono elementi idonei a stabilire che egli rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sanità pubblica ai sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148.

Infatti, in tal caso, tenuto conto dell’importanza che il legislatore comunitario ha ricollegato alla protezione della vita familiare, il respingimento è, in ogni caso, sproporzionato e, dunque, vietato.
( v. punti 61-62 e disp. 1 )

2. Gli artt. 4 della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 devono essere interpretati nel senso che essi non autorizzano uno Stato membro a negare il rilascio di un permesso di soggiorno e ad adottare una misura di espulsione nei confronti del cittadino di un paese terzo che può fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel territorio del detto Stato membro.

Infatti, anche se il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di reprimere la violazione delle disposizioni nazionali relative al controllo degli stranieri con opportune sanzioni atte a garantire l’osservanza delle disposizioni stesse, purché tali sanzioni siano proporzionate, una decisione di diniego del permesso di soggiorno e una misura di espulsione che fossero motivate esclusivamente dall’inosservanza, da parte dell’interessato, di formalità di legge relative al controllo degli stranieri pregiudicherebbero la sostanza stessa del diritto di soggiorno e sarebbero manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità della violazione. Tale motivo non può neanche, di per sé, dar luogo all’applicazione delle misure di ordine pubblico e di pubblica sicurezza previste dall’art. 3 della direttiva 64/221.

( v. punti 77-80 e disp. 2 )

3. Gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, gli artt. 3 e 6 della direttiva 73/148 e l’art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non può negare il rilascio di un permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che è entrato legalmente nel territorio di tale Stato membro, né adottare nei suoi confronti una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo che il suo visto è scaduto prima che egli abbia fatto richiesta di un permesso di soggiorno.

Infatti, se gli artt. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 autorizzano gli Stati membri a richiedere, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, la produzione del documento in forza del quale l’interessato è entrato nel loro territorio, essi non prevedono che tale documento debba ancora essere valido. Inoltre, una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo della scadenza del visto costituirebbe una sanzione manifestamente sproporzionata in rapporto alla gravità dell’inosservanza delle prescrizioni nazionali relative al controllo degli stranieri.

( v. punti 89-91 e disp. 3 )

4. Gli artt. 1, n. 2, e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che il coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro ha il diritto di sottoporre all’esame dell’autorità competente di cui al detto art. 9, n. 1, una decisione di diniego di rilascio di un primo permesso di soggiorno o una decisione di espulsione prima del rilascio di un tale permesso, anche quando egli non sia in possesso di un documento d’identità o, essendo soggetto all’obbligo di visto, sia entrato nel territorio dello Stato membro senza visto o vi si sia trattenuto dopo la scadenza del visto.

Infatti, le disposizioni dell’art. 9 della direttiva esigono, rispetto al loro campo di applicazione ratione personae, un’interpretazione estensiva in quanto l’obbligo di prevedere un sindacato giurisdizionale su qualsiasi decisione di un’autorità nazionale costituisce un principio generale che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Inoltre, escludere il diritto al beneficio delle dette garanzie procedurali minime previste dall’art. 9 della direttiva in caso di mancanza di documento d’identità o di visto, o in caso di scadenza di uno di tali documenti, priverebbe sostanzialmente tali garanzie della loro efficacia pratica.

( v. punti 101, 103-104 e disp. 4 )

Parti

Nel procedimento C-459/99,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Belgio) nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Mouvement contre le racisme, l’antisémitisme et la xénophobie ASBL (MRAX)
e

Stato belga,

domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 1, n. 2, 3, n. 3, e 9, n. 2, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), degli artt. 3 e 4 della direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 13), degli artt. 3 e 6 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14), nonché del regolamento (CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (GU L 234, pag. 1),

LA CORTE,

composta dal sig. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, dalla sig.ra N. Colneric e dal sig. S. von Bahr, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, M. Wathelet, R. Schintgen e J.N. Cunha Rodrigues (relatore), giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:

– per il Mouvement contre le racisme, l’antisémitisme et la xénophobie ASBL (MRAX), dal sig. I. de Viron, avocat;

– per lo Stato belga, dai sigg. E. Matterne e E. Derriks, avocats;
– per il governo austriaco, dal sig. A. Längle, in qualità di agente;

– per la Commissione delle Comunità europee, dalle sig.re H. Michard, C. O’Reilly e N. Yerrell, in qualità di agenti,

vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali del Mouvement contre le racisme, l’antisémitisme et la xénophobie ASBL (MRAX), dello Stato belga e della Commissione, all’udienza del 29 maggio 2001,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 settembre 2001,
ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1 Con sentenza 23 novembre 1999, pervenuta alla Corte il 2 dicembre seguente, il Conseil d’État (Consiglio di Stato belga) ha proposto, in applicazione dell’art. 234 CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione degli artt. 1, n. 2, 3, n. 3, e 9, n. 2, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), degli artt. 3 e 4 della direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 13), degli artt. 3 e 6 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14), nonché del regolamento (CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (GU L 234, pag. 1).

2 Tali questioni sono state sollevate nel contesto di una controversia tra il Mouvement contre le racisme, l’antisémitisme et la xénophobie ASBL (movimento contro il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia, ente senza fini di lucro; in prosieguo: il «MRAX») e lo Stato belga riguardante una domanda di annullamento della circolare dei Ministri dell’Interno e della Giustizia 28 agosto 1997, relativa alle pubblicazioni matrimoniali e ai documenti che devono essere presentati al fine di ottenere un visto per contrarre matrimonio nel Regno o di ottenere un visto di ricongiungimento familiare sulla base di un matrimonio contratto all’estero (Moniteur belge del 1° ottobre 1997, pag. 25905; in prosieguo: la «circolare 28 agosto 1997»).

Contesto normativo
Normativa comunitaria

3 L’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), dispone:

«Ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad un’attività subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato».

4 L’art. 10 del regolamento n. 1612/68 precisa:

«1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:
a) il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;
b) gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.

2. Gli Stati membri favoriscono l’ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1.

3. Ai fini dell’applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri».

5 Ai sensi dell’art. 1° della direttiva 68/360, gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste da tale direttiva, le restrizioni al trasferimento ed al soggiorno dei cittadini di detti Stati e dei membri delle loro famiglie ai quali si applica il regolamento n. 1612/68.

6 L’art. 3 della direttiva 68/360 stabilisce quanto segue:
«1. Gli Stati membri ammettono sul loro territorio le persone di cui all’articolo 1 dietro semplice presentazione di una carta d’identità o di un passaporto validi.
2. Non può essere imposto alcun visto d’ingresso né obbligo equivalente, salvo per i membri della famiglia che non possiedono la cittadinanza di uno degli Stati membri. Gli Stati membri accordano a tali persone ogni agevolazione per l’ottenimento dei visti ad esse necessari».

7 L’art. 4, n. 1, della direttiva 68/360 prevede che gli Stati membri riconoscano il diritto di soggiorno sul loro territorio alle persone di cui all’art. 1, che siano in grado di esibire i documenti indicati all’art. 4, n. 3.

8 Ai sensi dell’art. 4, n. 3, secondo trattino, della stessa direttiva, tali documenti sono, per i membri della famiglia di un lavoratore:
«c) il documento in forza del quale sono entrati nel loro territorio;
d) un documento rilasciato dall’autorità competente dello Stato d’origine o di provenienza attestante l’esistenza del vincolo di parentela;
e) nei casi contemplati dall’articolo 10, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68, un documento rilasciato dall’autorità competente dello Stato d’origine o di provenienza, da cui risulti che sono a carico del lavoratore o che con esso convivono in detto paese».

9 L’art. 10 della direttiva 68/360 dispone:
«Gli Stati membri non possono derogare alle disposizioni della presente direttiva se non per ragioni d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».
10 Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 73/148:
«Gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente direttiva, le restrizioni al trasferimento e al soggiorno:
a) dei cittadini di uno Stato membro che si siano stabiliti o che desiderino stabilirsi in un altro Stato membro per esercitarvi un’attività indipendente, o che desiderino effettuarvi una prestazione di servizi;
b) dei cittadini degli Stati membri che desiderino recarsi in un altro Stato membro in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;
c) del coniuge e dei figli d’età inferiore a 21 anni dei cittadini suddetti, qualunque sia la loro cittadinanza;
d) degli ascendenti e discendenti dei cittadini suddetti e del coniuge di tali cittadini che sono a loro carico, qualunque sia la loro cittadinanza».

11 L’art. 3 della direttiva 73/148 riproduce in sostanza il contenuto dell’art. 3 della direttiva 68/360.

12 L’art. 4, n. 1, della direttiva 73/148 dispone:
«Ogni Stato membro riconosce un diritto di soggiorno permanente ai cittadini degli Stati membri che si stabiliscono nel suo territorio per esercitarvi una attività indipendente, quando le restrizioni relative a tale attività siano state soppresse in virtù del trattato.
Il diritto di soggiorno è comprovato dal rilascio di un documento denominato “carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee”. Tale documento ha una validità di almeno cinque anni a decorrere dalla data di rilascio; esso è automaticamente rinnovabile.
(…)».

13 L’art. 6 della direttiva 73/148 prevede:
«Per il rilascio della carta e del permesso di soggiorno lo Stato membro può esigere dal richiedente soltanto:
a) l’esibizione del documento in forza del quale egli è entrato nel suo territorio;
b) la prova che egli rientra in una delle categorie di cui agli articoli 1 e 4».
14 L’art. 8 della direttiva 73/148 riproduce in sostanza il contenuto dell’art. 10 della direttiva 68/360.

15 Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 64/221:
«1. Le disposizioni contenute nella presente direttiva riguardano i cittadini di uno Stato membro che soggiornano o si trasferiscono in un altro Stato membro della Comunità allo scopo di esercitare un’attività salariata o non salariata o in qualità di destinatari di servizi.
2. Tali disposizioni trovano applicazione anche nei riguardi del coniuge e dei familiari che rispondono alle condizioni previste dai regolamenti e dalle direttive adottati in questo settore in esecuzione del Trattato».

16 L’art. 2 della direttiva 64/221 dispone:
«1. La presente direttiva riguarda i provvedimenti relativi all’ingresso sul territorio, al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, o all’allontanamento dal territorio, che sono adottati dagli Stati membri per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
2. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici».

17 L’art. 3 della direttiva 64/221 precisa:
«1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.
2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l’adozione di tali provvedimenti.
3. La scadenza del documento d’identità che ha permesso l’ingresso nel paese ospitante e il rilascio del permesso di soggiorno non può giustificare l’allontanamento dal territorio.
4. Lo Stato che ha rilasciato il documento di identità ammetterà senza formalità sul suo territorio il titolare di tale documento, anche se questo sia scaduto e anche se sia contestata la cittadinanza del titolare».

18 Secondo l’art. 8 della direttiva 64/221:
«Avverso il provvedimento di diniego d’ingresso, di diniego di rilascio del permesso di soggiorno o del suo rinnovo, o contro la decisione di allontanamento dal territorio, l’interessato deve avere assicurata la possibilità di esperire i ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi».

19 Ai sensi dell’art. 9 della direttiva 64/221:
«1. Se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono intesi ad accertare soltanto la legittimità dei provvedimenti impugnati o se essi non hanno effetto sospensivo, il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno o quello di allontanamento dal territorio del titolare del permesso di soggiorno è adottato dall’autorità amministrativa, tranne in casi di urgenza, solo dopo aver sentito il parere di una autorità competente del paese ospitante, dinanzi alla quale l’interessato deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto paese.
La suddetta autorità deve essere diversa da quella cui spetta l’adozione dei provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso o di allontanamento dal territorio.
2. Il provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno e quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso, sono sottoposti, a richiesta dell’interessato, all’esame dell’autorità il cui parere preliminare è previsto al paragrafo 1. L’interessato è allora autorizzato a presentare di persona i propri mezzi di difesa a meno che non vi si oppongano motivi di sicurezza dello Stato».

20 Il regolamento n. 2317/95 è stato annullato dalla sentenza 10 giugno 1997, causa C-392/95, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-3213). La Corte ha tuttavia deciso che gli effetti del regolamento annullato siano mantenuti in vigore sino a quando il Consiglio dell’Unione europea non avrà emanato una nuova normativa in materia.

21 Secondo l’art. 5 del regolamento n. 2317/95:
«Ai fini del presente regolamento, per “visto” si intende ogni autorizzazione rilasciata o decisione presa da uno Stato membro, necessaria per l’ingresso nel suo territorio, per:
. un soggiorno previsto in tale Stato membro o in vari Stati membri per un periodo la cui durata globale non sia superiore a tre mesi;
. il transito nel territorio di tale Stato membro o di vari Stati membri, escluso il transito nella zona internazionale degli aeroporti e i trasferimenti tra aeroporti di uno Stato membro».

22 Il 12 marzo 1999 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 574, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (GU L 72, pag. 2). Tale regolamento è stato sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 15 marzo 2001, n. 539, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU L 81, pag. 1).

Normativa nazionale

23 La legge in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento ed allontanamento degli stranieri 15 dicembre 1980 (Moniteur belge del 31 dicembre 1980), come modificata dalla legge 15 luglio 1996 (Moniteur belge del 12 ottobre 1996; in prosieguo: la «legge 15 dicembre 1980»), dispone, nel suo art. 2, primo comma:
«E’ autorizzato ad entrare nel Regno lo straniero in possesso:

(…)

2° o di un passaporto valido o, in sostituzione, di un titolo di viaggio corredato di un visto o, in sostituzione, di un’autorizzazione, valido per il Belgio, apposto da un rappresentante diplomatico o consolare belga o da quello di uno Stato aderente ad una convenzione internazionale relativa all’attraversamento delle frontiere esterne, che vincoli il Belgio».
24 L’art. 3, primo comma, punto 2° , della medesima legge consente alle «autorità incaricate del controllo alle frontiere» di respingere lo straniero che «tenti di entrare nel Regno senza essere in possesso dei documenti richiesti dall’art. 2».

25 L’art. 7, primo comma, punti 1° e 2° , della detta legge consente al ministro competente o al suo delegato di ordinare l’espulsione dal territorio, entro una data determinata, dello straniero che non è né autorizzato né ammesso a soggiornare per più di tre mesi o a stabilirsi nel Regno:
«1° qualora egli resti nel Regno senza essere in possesso dei documenti richiesti dall’art. 2;
2° qualora egli resti nel Regno oltre il termine fissato ai sensi dell’art. 6 o non possa fornire la prova che tale termine non sia scaduto».

26 Ai sensi dell’art. 40, nn. 2-6, della legge 15 dicembre 1980:
«2. Ai fini dell’applicazione della presente legge, si intende per straniero CE ogni cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee che soggiorni o entri nel Regno e che:
1° ivi eserciti o intenda esercitarvi un’attività lavorativa subordinata o autonoma; oppure
2° ivi fruisca o intenda fruire di una prestazione di servizi; oppure
3° ivi fruisca o intenda ivi fruire del diritto di residenza; oppure
4° ivi fruisca o intenda ivi fruire del diritto di soggiorno dopo aver cessato un’attività professionale esercitata nella Comunità; oppure
5° ivi segua o intenda seguire, a titolo principale, un corso di formazione professionale in un istituto di insegnamento autorizzato; oppure
6° non appartenga a nessuna della categorie contemplate dai punti 1° -5° .
3. Salvo quanto altrimenti disposto nella presente legge, sono assimilati allo straniero CE, di cui al [n.] 2, punti 1° , 2° e 3° , a prescindere dalla loro cittadinanza, le persone qui di seguito indicate, sempre che vengano a stabilirsi o si stabiliscano con lui:
1° il coniuge;

(…)

4. Salvo quanto altrimenti disposto nella presente legge, sono assimilate allo straniero CE di cui al [n.] 2, punti 4° e 6° , a prescindere dalla loro cittadinanza, le persone qui di seguito indicate, sempre che vengano a stabilirsi o si stabiliscano con lui:
1° il coniuge;

(…)

5. Salvo quanto altrimenti disposto nella presente legge, sono assimilati allo straniero CE di cui al [n.] 2, punto 5° , a prescindere dalla loro cittadinanza, il coniuge e i figli o i figli del coniuge che sono a loro carico, sempre che vengano a stabilirsi o si stabiliscano con lui.
6. Sono altresì assimilati allo straniero CE il coniuge di un cittadino belga, che venga a stabilirsi o si stabilisca con lui, come pure i loro discendenti di età inferiore a 21 anni o a loro carico, i loro ascendenti a carico e il coniuge di tali discendenti o di tali ascendenti che vengano a stabilirsi o si stabiliscano con loro».

27 L’art. 41 della legge 15 dicembre 1980 dispone:
«Il diritto d’ingresso nel Regno è riconosciuto allo straniero CE su esibizione di una carta d’identità o di un passaporto nazionale validi.
Il coniuge e i familiari di cui all’art. 40, che non sono in possesso della cittadinanza di uno Stato membro delle Comunità europee, debbono essere in possesso del documento richiesto ai sensi dell’art. 2.
Il titolare di un documento, che è stato rilasciato dalle autorità belghe e che ha consentito l’ingresso e il soggiorno in uno Stato membro delle Comunità, sarà accolto senza formalità nel territorio belga anche se la sua cittadinanza sia contestata o se tale documento sia scaduto».

28 L’art. 42 della legge 15 dicembre 1980 prevede:
«Il diritto di soggiorno è riconosciuto agli stranieri CE alle condizioni e per la durata stabilite dal Re conformemente ai regolamenti e alle direttive delle Comunità europee.
Tale diritto di soggiorno è comprovato da un permesso rilasciato nei casi e secondo le modalità determinate dal Re, conformemente ai detti regolamenti e direttive.
La decisione relativa al rilascio del permesso di soggiorno è adottata immediatamente e, al più tardi, entro sei mesi dalla domanda».

29 L’art. 43 della legge 15 dicembre 1980 precisa:
«L’ingresso e il soggiorno possono essere negati agli stranieri CE solo per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, nel rispetto dei seguenti limiti:

(…)

3° la scadenza del documento che ha consentito l’ingresso ed il soggiorno nel territorio belga non può di per sé giustificare l’allontanamento dal territorio;
(…)».

30 Ai sensi dell’art. 44, primo comma, punto 1° , della legge 15 dicembre 1980:
«Possono dar luogo alla domanda di riesame prevista dall’art. 64:
1° qualsiasi diniego di rilascio di un permesso di soggiorno ad uno straniero CE al quale è riconosciuto un diritto di soggiorno conformemente all’art. 42, nonché qualsiasi decisione di allontanamento dal territorio prima del rilascio di un tale documento».

31 A termini dell’art. 64 della legge 15 dicembre 1980:
«Oltre alle decisioni di cui agli artt. 44 e 44 bis, possono dare luogo ad una domanda di riesame proposta al ministro e disciplinata in conformità alle disposizioni che seguono:
1° la decisione che, in applicazione dell’art. 11, nega il riconoscimento di un diritto di soggiorno;
2° il rinvio;
3° il rigetto di una domanda di autorizzazione di residenza;

(…)

7° la decisione che ordina allo straniero, ai sensi dell’art. 22, di non soggiornare in luoghi determinati, di dimorare lontano da essi o di risiedere in un luogo determinato;
8° la decisione che nega il permesso di soggiorno allo straniero che desideri seguire gli studi in Belgio».
32 L’art. 69 della legge 15 dicembre 1980 dispone:
«Avverso una decisione che nega il riconoscimento di un diritto previsto dalla presente legge può proporsi un ricorso di annullamento, disciplinato dall’art. 14 delle leggi sul Conseil d’État, nel testo coordinato il 12 gennaio 1973.
La presentazione di una domanda di riesame non impedisce la proposizione immediata di un ricorso di annullamento avverso la decisione di cui si chiede il riesame.
In tal caso, l’esame del ricorso di annullamento è sospeso fino a che il ministro non abbia deciso sulla ricevibilità della domanda».

33 La circolare 28 agosto 1997 è formulata come segue:
«Obiettivo della presente circolare è disciplinare alcuni problemi relativi alle pubblicazioni matrimoniali (…) che hanno recentemente dato luogo a discussione. Inoltre, essa fornisce chiarimenti circa i documenti che devono prodursi al fine di ottenere un visto per contrarre matrimonio nel Regno o di ottenere un visto di ricongiungimento familiare sulla base di un matrimonio contratto all’estero.

(…)

4. Presentazione della domanda di soggiorno dopo la celebrazione del matrimonio.

(…)

Tuttavia, per quanto riguarda il soggiorno, va ricordato che i documenti richiesti per l’ingresso nel Regno devono essere prodotti a sostegno della domanda di soggiorno presentata in base all’art. 10, primo comma, punti 1° o 4° , ovvero all’art. 40, [nn.] 3-6, della legge 15 dicembre 1980, in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento ed allontanamento degli stranieri.
Ciò significa in concreto che lo straniero deve essere in possesso di un passaporto nazionale valido o, in sostituzione, di un titolo di viaggio corredato, se del caso, di un visto o, in sostituzione, di un’autorizzazione, valido per il Belgio, apposto da un rappresentante diplomatico o consolare belga o da quello di uno Stato aderente ad una convenzione internazionale relativa all’attraversamento delle frontiere esterne, che vincoli il Belgio (art. 2 della legge 15 dicembre 1980).
Qualora lo straniero non produca questi documenti d’ingresso, la sua domanda di soggiorno, in linea di principio, dev’essere dichiarata irricevibile.

(…)».

34 La circolare del Ministro dell’Interno 12 ottobre 1998, relativa alla domanda di soggiorno o di stabilimento nel Regno proposta, dopo la conclusione di un matrimonio, sulla base degli artt. 10 o 40 della legge 15 dicembre 1980, in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento ed allontanamento degli stranieri (Moniteur belge del 6 novembre 1998, pag. 36360; in prosieguo: la «circolare 12 ottobre 1998»), è stata adottata al fine di precisare la norma enunciata al punto 4 della circolare 28 agosto 1997. I punti 1 e 2 della circolare 12 ottobre 1998 prevedono:
«1. Resta valida la norma generale secondo la quale una domanda di soggiorno o di stabilimento nel Regno a motivo del ricongiungimento familiare non sarà presa in considerazione se lo straniero non possiede validi documenti di ingresso, cioè un passaporto nazionale o, in alternativa, un valido titolo di viaggio, corredato, se del caso, di un visto valido, al momento della domanda.
2. In deroga a tale norma generale, la domanda di stabilimento proposta, sulla base dell’art. 40 della legge 15 dicembre 1980, da uno straniero (soggetto all’obbligo del visto) sposato con un cittadino belga o un cittadino di uno Stato membro dello SEE, che produce solo un passaporto nazionale, o, in alternativa, un valido titolo di viaggio, ma corredato di un visto scaduto, sarà tuttavia presa in considerazione sempre che i documenti relativi al suo legame di parentela o di affinità con tale cittadino belga o tale cittadino di uno Stato membro dello SEE siano prodotti al momento della domanda di stabilimento.

(…)».

Controversia principale e questioni pregiudiziali
35 Il 28 novembre 1997 il MRAX ha proposto dinanzi al Conseil d’État un ricorso diretto all’annullamento della circolare 28 agosto 1997.
36 Esso ha affermato, a sostegno del suo ricorso, che tale circolare, in particolare il suo punto 4, era incompatibile con le direttive comunitarie in materia di trasferimento e di soggiorno all’interno della Comunità.
37 Ritenendo che la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente avesse bisogno di un’interpretazione del diritto comunitario, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 3 della direttiva 15 ottobre 1968, 68/360, l’art. 3 della direttiva 21 maggio 1973, 73/148, nonché il regolamento 25 settembre 1995, n. 2317, letti alla luce del principio di proporzionalità, del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita familiare, debbano essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono respingere alla frontiera gli stranieri soggetti all’obbligo del visto, coniugati con cittadini comunitari, che tentino di entrare nel territorio di uno Stato membro senza disporre di un documento d’identità o di un visto.
2) Se l’art. 4 della direttiva 68/360 e l’art. 6 della direttiva 73/148, letti alla luce degli artt. 3 delle sopracitate direttive, nonché del principio di proporzionalità, del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita familiare, debbano essere interpretati nel senso che gli Stati membri possono rifiutare il permesso di soggiorno al coniuge di un cittadino comunitario, entrato irregolarmente nel loro territorio, ed adottare nei suoi confronti una misura di espulsione.
3) Se gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, l’art. 3 della direttiva 73/148 e l’art. 3, n. 3, della direttiva 25 febbraio 1964, 64/221, implichino che gli Stati membri non possono né rifiutare il permesso di soggiorno né espellere il coniuge straniero di un cittadino comunitario, regolarmente entrato nel territorio nazionale ma il cui visto sia scaduto al momento in cui chiede il rilascio di tale permesso.
4) Se gli artt. 1 e 9, n. 2, della direttiva 64/221, debbano essere interpretati nel senso che il coniuge straniero di un cittadino comunitario, sprovvisto di documenti d’identità, di visto o il cui visto sia scaduto, dispone della facoltà di adire l’autorità competente di cui all’art. 9, n. 1, qualora chieda il rilascio di un primo permesso di soggiorno o sia oggetto di un provvedimento di espulsione prima del rilascio di tale permesso».

Osservazione preliminare

38 Lo Stato belga fa valere che il legislatore nazionale ha assimilato il coniuge di un cittadino belga al cittadino di uno Stato membro, affinché egli non sia trattato in modo meno favorevole del coniuge o del familiare di un cittadino di un altro Stato membro. Tuttavia, secondo lo Stato belga, la Corte non è competente quando la questione concerne la posizione di un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino belga.

39 A tale riguardo si deve ricordare che la normativa comunitaria relativa alla libera circolazione dei lavoratori, alla libera prestazione dei servizi e alla libertà di stabilimento non è applicabile a posizioni che non presentano alcun elemento di collegamento con una qualunque delle posizioni considerate dal diritto comunitario. Di conseguenza, la detta normativa non può essere applicata alla posizione di persone che non hanno mai goduto di tali libertà (v., in particolare, sentenze 16 dicembre 1992, causa C-206/91, Koua Poirrez, Racc. pag. I-6685, punti 10-12, e 11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter, Racc. pag. I-0000, punto 28).

40 E’ alla luce di tali considerazioni che vanno risolte le questioni pregiudiziali per effetto delle quali la Corte è invitata a pronunciarsi sulla portata di varie disposizioni delle direttive 64/221, 68/360 e 73/148 nonché del regolamento n. 2317/95 rispetto a cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini di Stati membri.
Sulla prima questione

Osservazioni presentate alla Corte

41 Il MRAX fa valere che respingere alla frontiera di uno Stato membro un cittadino di un paese terzo, sposato con un cittadino di uno Stato membro, a motivo del fatto che egli non è in possesso di un visto rilasciato da tale Stato membro, costituisce una violazione degli artt. 3 della direttiva 68/360 e 3 della direttiva 73/148, del regolamento n. 2317/95, nonché dell’art. 8, n. 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «Convenzione»).

42 Inoltre, il MRAX ritiene che, per i cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini di Stati membri, l’esame delle condizioni per ottenere il visto debba avvenire in Belgio e non nel loro paese d’origine.

43 Per quanto riguarda il requisito di un documento di identità, lo Stato belga sostiene che spetta agli Stati membri verificare se i cittadini di paesi terzi che desiderano entrare nel loro territorio o che, essendovi già entrati, rivendicano un diritto di soggiorno possano o meno avvalersi del diritto comunitario. L’obbligo di presentare un passaporto valido all’ingresso nel territorio dello Stato membro sarebbe pertanto giustificato dalla necessità per il cittadino di un paese terzo di fornire la prova della sua identità e del suo legame familiare con un cittadino di uno Stato membro.

44 In merito al requisito di un visto, lo Stato belga afferma che l’obbligo di chiedere un visto anteriormente all’ingresso nel territorio di uno Stato membro fornisce agli Stati membri lo strumento per verificare nel contempo se il cittadino di un paese terzo, che desidera entrare nel loro territorio in qualità di coniuge di un cittadino di uno Stato membro, soddisfi le condizioni necessarie e se egli non rientri nella categoria delle persone che possono vedersi rifiutare l’ingresso per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica conformemente alla direttiva 64/221. Pertanto, gli artt. 3 della direttiva 68/360 e 3 della direttiva 73/148, che autorizzano gli Stati membri a richiedere un visto ai cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino di uno Stato membro, dovrebbero essere interpretati nel senso che, in mancanza di visto, gli Stati membri hanno il diritto di respingere tali persone alle loro frontiere.
L’interpretazione contraria priverebbe tali disposizioni di ogni efficacia pratica.

45 Lo Stato belga aggiunge che molte circostanze riguardanti il cittadino di un paese terzo possono essere chiarite solo dalle autorità di rappresentanza belghe nel paese d’origine di tale persona. Pertanto, sarebbe opportuno rilasciare il visto nel paese terzo piuttosto che alla frontiera del Belgio.

46 Il governo austriaco ritiene che l’obbligo per i cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini di Stati membri, di ottenere un visto non costituisca una discriminazione in quanto un obbligo del genere è previsto tanto dal diritto belga quanto dal diritto comunitario.

47 Invece, permettere l’ingresso nel territorio belga ai cittadini di paesi terzi che non si sono conformati all’obbligo di visto violerebbe il principio di uguaglianza a svantaggio dei cittadini di paesi terzi che si sono conformati a tale obbligo. Tuttavia, secondo il governo austriaco, alla luce dei principi di libera circolazione delle persone e di proporzionalità, uno Stato membro sarebbe autorizzato a introdurre deroghe all’obbligo generale di visto in situazioni eccezionali, come prevedrebbe in particolare l’art. 4 del regolamento n. 574/1999.

48 La Commissione sottolinea la situazione particolare del cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino di uno Stato membro, rispetto agli altri cittadini di paesi terzi che arrivano alla frontiera esterna della Comunità. Egli infatti, in forza del diritto comunitario, godrebbe del diritto di stabilirsi con il cittadino di uno Stato membro nella Comunità.

49 Secondo la Commissione, si può negare ad un cittadino di uno Stato membro l’ingresso in uno Stato membro se egli non sia in grado di provare la sua cittadinanza. Quindi, lo stesso ragionamento dovrebbe applicarsi al cittadino di un paese terzo che non possa dimostrare il suo legame familiare con un cittadino di uno Stato membro.

50 Se, invece, il cittadino di un paese terzo può provare tale legame familiare e, pertanto, i diritti derivantigli dal diritto comunitario, la mancanza di visto non dovrebbe pregiudicare tali diritti e non potrebbe in alcun caso giustificare una misura di respingimento alla frontiera. Una misura del genere costituirebbe infatti la negazione dei detti diritti e apparirebbe sproporzionata.

51 La Commissione ritiene che, nel caso di una persona che dimostri un legame familiare con un lavoratore comunitario migrante, il visto abbia solo un carattere formale e vada rilasciato dallo Stato membro tramite il quale tale persona entra nella Comunità in modo quasi automatico. In nessun caso il diritto dell’interessato di fare ingresso nella Comunità si fonderebbe sul visto, ma discenderebbe, in forza del diritto comunitario, dal solo legame familiare.

52 La Commissione aggiunge che il rilascio dei visti da parte dei consolati di uno Stato membro situati nei paesi d’origine dei cittadini di paesi terzi costituisce soltanto una misura organizzativa che non può ostacolare l’esercizio dei diritti derivanti dall’ordinamento giuridico comunitario.

Risposta della Corte

53 Si deve ricordare anzitutto che dai regolamenti e direttive del Consiglio relativi alla libera circolazione dei lavoratori subordinati e autonomi all’interno della Comunità deriva, in particolare, che il legislatore comunitario ha riconosciuto l’importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato (sentenza Carpenter, citata, punto 38).

54 Così, gli artt. 10 del regolamento n. 1612/68, 1 della direttiva 68/360 e 1 della direttiva 73/148 estendono, in termini identici, l’applicazione del diritto comunitario in materia d’ingresso e di soggiorno nel territorio degli Stati membri al coniuge di un cittadino di uno Stato membro soggetto a tali disposizioni (sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, Racc. pag. 497, punto 13).

55 Inoltre, conformemente agli artt. 3, n. 1, della direttiva 68/360 e 3, n. 1, della direttiva 73/148, che sono formulati in termini identici, gli Stati membri ammettono nel loro territorio i cittadini degli Stati membri e i loro familiari che rientrano nel campo di applicazione di dette direttive dietro semplice presentazione di una carta d’identità o di un passaporto validi.

56 Cionondimeno, ai sensi degli artt. 3, n. 2, della direttiva 68/360 e 3, n. 2, della direttiva 73/148, quando un cittadino di uno Stato membro si sposta all’interno della Comunità al fine di esercitare i diritti che gli sono conferiti dal Trattato e dalle dette direttive, gli Stati membri possono imporre un visto d’ingresso o un obbligo equivalente ai suoi familiari che non possiedono la cittadinanza di uno degli Stati membri. L’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri è stato fissato dal regolamento n. 2317/95, sostituito dal regolamento n. 574/1999, a sua volta sostituito dal regolamento n. 539/2001.

57 Poiché la normativa comunitaria non specifica le misure che uno Stato membro può adottare nel caso in cui un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, voglia entrare nel territorio comunitario senza essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi o, se del caso, di un visto, il respingimento alla frontiera non sembra escluso (v. in questo senso, in particolare, per quanto riguarda gli artt. 3, n. 1, della direttiva 68/360 e 3, n. 1, della direttiva 73/148, sentenza 30 maggio 1991, causa C-68/89, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-2637, punto 11).

58 Infatti, da una parte, in assenza di una carta d’identità o di un passaporto validi, documenti finalizzati a consentire al loro titolare di fornire la prova della sua identità e della sua cittadinanza (v. in questo senso, in particolare, sentenza 5 marzo 1991, causa C-376/89, Giagounidis, Racc. pag. I-1069, punti 14 e 15), l’interessato non può, in linea di principio, provare validamente la sua identità e pertanto i suoi legami familiari.

59 Dall’altra, benché, come sottolinea giustamente la Commissione, il diritto di entrare nel territorio degli Stati membri del cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, derivi, conformemente al diritto comunitario, dal solo legame familiare, ciò non toglie che, a termini stessi degli artt. 3, n. 2, della direttiva 68/360 e 3, n. 2, della direttiva 73/148, l’esercizio di tale diritto può essere subordinato al possesso di un visto. L’art. 5 del regolamento n. 2317/95 definisce peraltro il visto come ogni autorizzazione rilasciata o decisione presa da uno Stato membro, necessaria «per l’ingresso» nel suo territorio.

60 Tuttavia, gli artt. 3, n. 2, della direttiva 68/360 e 3, n. 2, della direttiva 73/148 precisano che «[g]li Stati membri accordano a tali persone ogni agevolazione per l’ottenimento dei visti ad esse necessari». Ciò significa che, a pena di disconoscere la piena efficacia delle disposizioni citate delle direttive 68/360 e 73/148, il rilascio del visto deve avvenire immediatamente e, nella misura del possibile, nei luoghi di ingresso nel territorio nazionale.

61 Tenuto conto dell’importanza che il legislatore comunitario ha ricollegato alla protezione della vita familiare (v. punto 53 della presente sentenza), il respingimento è, in ogni caso, sproporzionato e, dunque, vietato se il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, può provare la sua identità nonché il legame coniugale e se non esistono elementi in grado di stabilire che egli rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità pubblica ai sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148.

62 La prima questione pregiudiziale va quindi risolta dichiarando che gli artt. 3 della direttiva 68/360, 3 della direttiva 73/148 nonché il regolamento n. 2317/95, letti alla luce del principio di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non può respingere alla frontiera il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che tenti di entrare nel suo territorio senza essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi o, se del caso, di un visto, quando il detto coniuge può provare la sua identità nonché il legame coniugale e se non esistono elementi in grado di stabilire che egli rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità pubblica ai sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148.

Sulla seconda questione
Osservazioni presentate alla Corte

63 Il MRAX osserva che il cittadino di un paese terzo che si è sposato in Belgio durante il suo soggiorno illegale deve obbligatoriamente fare ritorno nel paese d’origine per ottenere il visto necessario al fine di poter reclamare il diritto di soggiorno. Tuttavia, lo Stato belga talvolta accetterebbe, con una decisione discrezionale, di regolarizzare il soggiorno del coniuge di un cittadino di uno Stato membro.

64 Pertanto, secondo il MRAX, a causa della prassi amministrativa dello Stato belga il coniuge di un cittadino di uno Stato membro non può contare su alcuna certezza del diritto e tale prassi può essere percepita come discriminatoria.

65 Il MRAX fa valere che la Corte non si è mai pronunciata sulla sanzione da applicare ad un cittadino di un paese terzo illegalmente entrato nel territorio di uno Stato membro, ma che essa ha tuttavia deciso che un cittadino di uno Stato membro che non sia in possesso del documento richiesto (passaporto) per poter risiedere nel territorio di un altro Stato membro non può essere oggetto di alcuna misura di espulsione ma può essere condannato al pagamento di una pena pecuniaria (v. sentenza 14 luglio 1977, causa 8/77, Sagulo e a., Racc. pag. 1495). Il MRAX si chiede se le misure che possono essere adottate nei confronti di un cittadino di uno Stato membro non debbano essere applicate per analogia al coniuge di un tale cittadino e se le infrazioni all’ingresso e al soggiorno nel territorio di uno Stato membro non possano essere punite con una sanzione pecuniaria amministrativa o penale, sanzione che sarebbe più conforme ai principi della libera circolazione e del diritto al rispetto della vita privata.

66 Lo Stato belga deduce che occorre interpretare gli artt. 4 della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 nel senso che essi consentono agli Stati membri di negare il permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che è entrato illegalmente nel loro territorio, e di adottare nei suoi confronti una misura di espulsione. Una diversa interpretazione svuoterebbe di significato e priverebbe di ogni efficacia pratica le disposizioni degli artt. 3 della direttiva 68/360 e 3 della direttiva 73/148.

67 Lo Stato belga sostiene che, in una situazione come quella considerata nella seconda questione pregiudiziale, l’espulsione non può essere considerata un provvedimento sproporzionato, tenuto conto degli interessi in gioco, ovvero, da un lato, le esigenze di ordine pubblico e, dall’altro, il rispetto della vita privata e familiare. A parere di tale Stato, il pregiudizio alla vita familiare sarebbe estremamente limitato se il cittadino del paese terzo venisse respinto o invitato a lasciare il territorio: la separazione dei coniugi sarebbe infatti di breve durata se l’interessato potesse provare di aver diritto a beneficiare delle disposizioni del diritto comunitario poiché, in tale ipotesi, un visto dovrebbe poter essergli concesso entro breve termine.

68 Il governo austriaco fa valere che, se il diritto primario e il diritto derivato prevedono che gli Stati membri possono porre termine al soggiorno nel loro territorio di cittadini di altri Stati membri qualora le condizioni per il prolungamento del soggiorno non siano o non siano più soddisfatte, uno Stato membro, a fortiori, deve potere espellere un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino di uno Stato membro (v. artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148).

69 La Commissione sostiene che, se, al momento del deposito della domanda di permesso di soggiorno, conformemente all’art. 4, n. 1, della direttiva 68/360, il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, fornisce la prova di tale vincolo familiare, non gli si dovrebbe negare un permesso di soggiorno per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nello Stato membro interessato.

70 La Commissione ricorda a tale riguardo che nella sentenza Royer, citata, la Corte ha dichiarato che la semplice omissione, da parte di un cittadino di uno Stato membro, delle formalità relative all’ingresso, al trasferimento e al soggiorno degli stranieri non è atta a costituire, di per sé, un comportamento che minacci l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica e non può pertanto da sola giustificare né un provvedimento di espulsione né l’arresto provvisorio in attesa di un tale provvedimento. A parere della Commissione, niente osta a che tale giurisprudenza si applichi per analogia al cittadino di un paese terzo, che beneficia del diritto comunitario a motivo del suo legame familiare con un lavoratore migrante comunitario.

71 La Commissione fa valere che, in forza della direttiva 64/221, il diniego di un permesso di soggiorno o l’espulsione dal territorio possono essere decisi solo per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica e devono essere basati esclusivamente sul comportamento personale dell’individuo da essi interessato. Orbene, l’ingresso illegale nel territorio di uno Stato membro non può costituire sistematicamente una minaccia per l’ordine pubblico atta a mettere in discussione lo stesso diritto di soggiorno.

72 La Commissione aggiunge che, nella sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75, Watson e Belmann (Racc. pag. 1185), la Corte ha precisato la sua posizione sulle sanzioni che gli Stati membri possono adottare in caso di inottemperanza a certe formalità previste dalla normativa comunitaria. Considerata tale giurisprudenza, gli Stati membri potrebbero prevedere sanzioni proporzionate in caso di ingresso illegale nel loro territorio, quali una sanzione pecuniaria (sentenza Sagulo e a., citata, punto 6). L’applicazione di tali sanzioni non dovrebbe tuttavia condizionare il rilascio del permesso di soggiorno.

Risposta della Corte

73 La seconda questione deve essere intesa come avente ad oggetto la posizione del cittadino di un paese terzo, entrato illegalmente nel territorio di uno Stato membro, che può fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro soggetto all’applicazione delle disposizioni delle direttive 68/360 e 73/148.

74 Il rilascio di un permesso di soggiorno ad un cittadino di uno Stato membro dev’essere considerato, come la Corte ha affermato ripetutamente (v., in particolare, sentenza 5 febbraio 1991, causa C-363/89, Roux, Racc. pag. I-273, punto 12), non come un atto costitutivo di diritti, ma come un atto destinato a comprovare, da parte di uno Stato membro, la posizione individuale del cittadino di un altro Stato membro nei confronti delle norme comunitarie. Lo stesso ragionamento deve valere per quanto riguarda il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, il cui diritto di soggiorno deriva direttamente dagli artt. 4 della direttiva 68/360 e 4 della direttiva 73/148, indipendentemente dal rilascio di un permesso di soggiorno da parte dell’autorità competente di uno Stato membro.

75 Le modalità applicative che regolano il rilascio del permesso di soggiorno sono disciplinate, per quanto riguarda i lavoratori subordinati e i loro familiari, dalla direttiva 68/360 e, per quanto riguarda i lavoratori autonomi e i loro familiari, dalla direttiva 73/148.

76 A tale riguardo risulta dagli artt. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 che gli Stati membri possono subordinare il rilascio del permesso di soggiorno alla presentazione del documento in forza del quale l’interessato è entrato nel loro territorio (v. sentenza Roux, citata, punti 14 e 15).

77 D’altra parte, si deve ricordare che il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di reprimere la violazione delle disposizioni nazionali relative al controllo degli stranieri con opportune sanzioni atte a garantire l’osservanza delle disposizioni stesse (sentenza Royer, citata, punto 42), purché tali sanzioni siano proporzionate (v., in particolare, sentenza 3 luglio 1980, causa 157/79, Pieck, Racc. pag. 2171, punto 19).

78 Al contrario, una decisione di diniego del permesso di soggiorno e, a fortiori, una misura di espulsione, che fossero motivate esclusivamente dall’inosservanza, da parte dell’interessato, di formalità di legge relative al controllo degli stranieri, pregiudicherebbero la sostanza stessa del diritto di soggiorno direttamente attribuito dal diritto comunitario e sarebbero manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità della violazione (v., per analogia, in particolare, sentenza Royer, citata, punto 40).

79 Certo, gli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148 non escludono che lo Stato membro possa derogare alle dette direttive per ragioni d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, mentre l’art. 3, n. 1, della direttiva 64/221 stabilisce che i provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati. Tuttavia, il fatto di non avere adempiuto le formalità di legge relative all’ingresso, al trasferimento e al soggiorno degli stranieri non può, di per sé, dare luogo all’applicazione delle misure previste dall’art. 3 della direttiva 64/221 (sentenza Royer, citata, punti 47 e 48).

80 Pertanto, la seconda questione pregiudiziale va risolta dichiarando che gli artt. 4 della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 devono essere interpretati nel senso che essi non autorizzano uno Stato membro a negare il rilascio di un permesso di soggiorno e ad adottare una misura di espulsione nei confronti del cittadino di un paese terzo, che può fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro interessato.

Sulla terza questione
Osservazioni presentate alla Corte

81 Il MRAX fa valere che l’art. 4 della direttiva 68/360 non richiede che il documento in forza del quale i familiari del lavoratore comunitario sono entrati legalmente nel territorio di uno Stato membro sia sempre valido nel momento in cui essi chiedono il rilascio di un permesso di soggiorno. Pertanto, il punto 4 della circolare 28 agosto 1997, ai sensi del quale la domanda di soggiorno del coniuge di un cittadino di uno Stato membro è irricevibile qualora essa sia proposta dopo la scadenza del documento, violerebbe il diritto comunitario.

82 Secondo lo Stato belga, dall’art. 3, n. 3, della direttiva 64/221 risulta che la scadenza del documento di identità che ha permesso l’ingresso nello Stato membro ospitante e il rilascio di un permesso di soggiorno non possono giustificare l’espulsione dal territorio. A contrario, se la detta scadenza interviene prima della domanda di permesso di soggiorno, lo Stato membro sarebbe legittimato a respingere tale domanda e ad espellere il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro. Così, il documento in forza del quale il detto coniuge è entrato nel territorio dello Stato membro, di cui all’art. 4, n. 3, della direttiva 68/360, potrebbe essere solo il passaporto munito di un visto ancora valido.

83 Il governo austriaco sostiene che la scadenza del visto all’interno dello Stato membro giustifica il diniego di rilascio di un permesso di soggiorno.

84 La Commissione ritiene che la terza questione pregiudiziale vada risolta affermativamente. Quando il coniuge di un cittadino di uno Stato membro giustifica tale legame familiare, le direttive 68/360 e 73/148 si applicherebbero e gli Stati membri avrebbero l’obbligo di rilasciargli un permesso di soggiorno, come risulta dalla giurisprudenza Royer, già citata. La Commissione ne deduce che la scadenza del visto, avvenuta dopo l’ingresso nel territorio, non giustifica, in linea di principio, il diniego del rilascio di un permesso di soggiorno. Infatti, la mancanza di tale requisito formale non potrebbe inficiare la validità del passaporto al fine del detto rilascio. Tale analisi sarebbe confermata dall’art. 3, n. 3, della direttiva 64/221, che dimostrerebbe la volontà del legislatore comunitario di far prevalere l’oggetto della domanda di permesso di soggiorno sui suoi aspetti puramente formali.

85 Inoltre, secondo la Commissione, il fatto di non proporre una domanda di permesso di soggiorno prima della scadenza del visto non può, di per sé, costituire un comportamento personale tale da minacciare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica, che possa giustificare, in quanto tale, il diniego del rilascio di un permesso di soggiorno o, a fortiori, una misura di espulsione.

Risposta della Corte

86 Per un cittadino di un paese terzo il fatto di restare nel territorio di uno Stato membro dopo la scadenza del suo visto costituisce una violazione della normativa di tale Stato relativa al soggiorno degli stranieri.

87 L’art. 3, n. 3, della direttiva 64/221, invocato nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, dispone che la scadenza del documento d’identità che ha permesso l’ingresso del cittadino di uno Stato membro o dei suoi familiari nello Stato membro ospitante e il rilascio del permesso di soggiorno non possono giustificare l’espulsione dal territorio.

88 La terza questione pregiudiziale riguarda tuttavia la posizione del coniuge di un cittadino di uno Stato membro, soggetto all’obbligo di visto, che è entrato legalmente ma non ha chiesto il permesso di soggiorno prima della scadenza del visto.

89 Occorre rilevare che gli artt. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148, benché autorizzino gli Stati membri a richiedere, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, la produzione del documento in forza del quale l’interessato è entrato nel loro territorio, non prevedono che tale documento debba ancora essere valido. Pertanto, nell’ipotesi del cittadino di un paese terzo soggetto all’obbligo di visto, il rilascio di un permesso di soggiorno a tale cittadino non può essere subordinato alla condizione che il suo visto sia ancora valido. Ciò vale a maggior ragione in quanto, come la Corte ha dichiarato ai punti 22 e 23 della sentenza Giagounidis, citata, gli Stati membri sono tenuti a riconoscere il diritto di soggiorno nel loro territorio ai lavoratori di cui all’art. 1 della direttiva 68/360 che possono esibire o una carta d’identità o un passaporto validi, indipendentemente dal documento in forza del quale sono entrati nel territorio di detti Stati membri.

90 Di conseguenza, uno Stato membro non può subordinare il rilascio di un permesso di soggiorno conformemente alle direttive 68/360 e 73/148 alla presentazione di un visto valido. Inoltre, come risulta dal punto 78 della presente sentenza, una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo della scadenza del visto costituirebbe una sanzione manifestamente sproporzionata in rapporto alla gravità dell’inosservanza delle prescrizioni nazionali relative al controllo degli stranieri.

91 La terza questione pregiudiziale va dunque risolta dichiarando che gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, 3 e 6 della direttiva 73/148 e 3, n. 3, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non può negare il rilascio di un permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che è entrato legalmente nel territorio di tale Stato membro, né adottare nei suoi confronti una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo che il suo visto è scaduto prima che egli abbia fatto richiesta di un permesso di soggiorno.

Sulla quarta questione
Osservazioni presentate alla Corte

92 Il MRAX fa valere che le disposizioni degli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221 sono state attuate nell’ordinamento belga dagli artt. 44 e 64 della legge 15 dicembre 1980. Tuttavia la prassi amministrativa attuale dello Stato belga negherebbe ai cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini di Stati membri, che sono privi di visto o il cui visto è scaduto, il diritto di proporre la domanda di riesame prevista agli artt. 44 e 64 della legge 15 dicembre 1980 qualora essi siano destinatari di una decisione di diniego di rilascio di un permesso di soggiorno o di una decisione di espulsione. Tali persone sarebbero autorizzate solamente a proporre un ricorso per la sospensione e l’annullamento delle dette decisioni dinanzi al Conseil d’État, il quale si limiterebbe a verificare la legittimità della decisione contestata, senza potere verificare la sua opportunità in relazione ai fatti e alle circostanze del caso. Pertanto, la prassi amministrativa belga non rispetterebbe gli obblighi imposti dal diritto comunitario.

93 Secondo lo Stato belga, le disposizioni degli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221, che prevedono la possibilità per il cittadino di un paese terzo di adire l’autorità competente dello Stato membro di cui al detto art. 9, n. 1, quando egli chiede il rilascio di un primo permesso di soggiorno o è destinatario di un provvedimento di espulsione prima del rilascio di tale permesso, non si applicano nell’ipotesi in cui l’interessato non è entrato legalmente nel territorio del detto Stato membro.

94 Infatti, l’art. 1, n. 2, della direttiva 64/221 limiterebbe il suo campo di applicazione ai familiari del cittadino di uno Stato membro che soddisfano le condizioni di cui ai regolamenti e alle direttive adottati in materia. Orbene, il coniuge di un cittadino di uno Stato membro privo di documento di identità o di visto, o il cui visto è scaduto, non soddisfarebbe le condizioni enunciate dagli artt. 3 e 4 della direttiva 68/360 e dal regolamento n. 2317/95.

95 Il governo austriaco ritiene che un provvedimento di espulsione dal territorio nei confronti di un soggetto tutelato dal diritto comunitario non possa essere eseguito, salvo in caso d’assoluta urgenza, prima che quest’ultimo sia stato in grado di esperire i ricorsi consentitigli dagli artt. 8 e 9 della direttiva 64/221 (sentenze Royer, citata, e 22 maggio 1980, causa 131/79, Santillo, Racc. pag. 1585).

96 Tuttavia, se l’ordinamento giuridico belga subordina l’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino di uno Stato membro, alla presentazione di un passaporto o di una carta d’identità validi nonché di un visto, sarebbe legittimo non riconoscere al familiare illegalmente entrato nel territorio del Belgio il diritto di rivolgersi all’autorità competente ai sensi dell’art. 9, n. 1, della direttiva 64/221.

97 Al contrario, alla luce dell’art. 3, n. 3, della direttiva 64/221, il familiare dovrebbe potersi avvalere del ricorso previsto dall’art. 9 della medesima direttiva qualora egli sia entrato legalmente nel territorio dello Stato membro, ma la carta d’identità o il passaporto che gli ha consentito l’ingresso e il rilascio del permesso di soggiorno sia scaduto. In un caso del genere, infatti, l’espulsione dal territorio non sarebbe giustificata.

98 La Commissione sostiene che l’art. 1, n. 2, della direttiva 64/221 si applica ai cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino di uno Stato membro, anche se essi sono privi di visto o se questo è scaduto. Una volta che il legame familiare sia accertato, non vi sarebbe dubbio che essi possono avvalersi dei diritti di ricorso previsti dall’art. 9, n. 2, della direttiva 64/221.

99 Al contrario, in mancanza di documenti d’identità, andrebbe adottata la soluzione proposta per la prima questione. Infatti, occorrerebbe che lo status di coniuge di un cittadino di uno Stato membro sia stato accertato al fine di applicare la tutela apprestata dal diritto comunitario.

Risposta della Corte

100 Occorre rilevare che l’art. 9, n. 2, della direttiva 64/221 ha lo scopo di attribuire un minimo di garanzie procedurali alle persone che si vedono negare un primo permesso di soggiorno o che sono colpite da una misura di espulsione prima del rilascio di un tale permesso in una delle tre ipotesi indicate al n. 1 dello stesso articolo. Nel caso in cui i ricorsi giurisdizionali contro gli atti amministrativi vertano solo sulla legittimità del provvedimento, l’intervento dell’autorità competente deve consentire di ottenere un esame dei fatti e delle circostanze, compresi i motivi di opportunità su cui si fonda il provvedimento considerato, prima che esso venga definitivamente adottato (v., in questo senso, sentenza 17 giugno 1997, cause riunite C-65/95 e C-111/95, Shingara e Radiom, Racc. pag. I-3343, punti 34 e 37).

101 Le disposizioni dell’art. 9 della direttiva 64/221, che sono complementari a quelle relative al regime dei ricorsi giurisdizionali di cui all’art. 8 della stessa direttiva e che sono destinate ad ovviare alle insufficienze di tali ricorsi (v., in particolare, sentenza 5 marzo 1980, causa 98/79, Pecastaing, Racc. pag. 691, punti 15 e 20), esigono, rispetto al loro campo di applicazione ratione personae, un’interpretazione estensiva. Infatti, nell’ambito del diritto comunitario, l’obbligo di prevedere un sindacato giurisdizionale su qualsiasi decisione di un’autorità nazionale costituisce un principio generale che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è sancito dalla Convenzione nei suoi artt. 6 e 13 (sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 14; 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione, Racc. pag. I-6313, punto 14, e 11 gennaio 2001, causa C-226/99, Siples, Racc. pag. I-277, punto 17).

102 Pertanto, contrariamente alla tesi sostenuta dallo Stato belga, qualsiasi coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro che sostiene di possedere le qualità richieste per rientrare nell’ambito della tutela accordata dalla direttiva 64/221 beneficia del minimo di garanzie procedurali previste all’art. 9 di tale direttiva, anche se egli non dispone di un documento d’identità o se, essendo soggetto all’obbligo di visto, è entrato nel territorio dello Stato membro senza visto o vi si è trattenuto dopo la scadenza del visto.

103 D’altronde, escludere il diritto al beneficio delle dette garanzie procedurali in caso di mancanza di documento d’identità o di visto, o in caso di scadenza di uno di tali documenti, priverebbe sostanzialmente tali garanzie della loro efficacia pratica.
104 La quarta questione pregiudiziale va dunque risolta dichiarando che gli artt. 1, n. 2, e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che il coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro ha il diritto di sottoporre all’esame dell’autorità competente di cui al detto art. 9, n. 1, una decisione di diniego di rilascio di un primo permesso di soggiorno o una decisione di espulsione prima del rilascio di un tale permesso, anche quando egli non sia in possesso di un documento d’identità o, essendo soggetto all’obbligo di visto, sia entrato nel territorio dello Stato membro senza visto o vi si sia trattenuto dopo la scadenza del visto.

Decisione relativa alle spese

Sulle spese

105 Le spese sostenute dal governo austriaco e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo

Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Conseil d’État con sentenza 23 novembre 1999, dichiara:
1) L’art. 3 della direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità, l’art. 3 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi, nonché il regolamento (CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317, che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, letti alla luce del principio di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non può respingere alla frontiera il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che tenti di entrare nel suo territorio senza essere in possesso di una carta d’identità o di un passaporto validi o, se del caso, di un visto, quando il detto coniuge può provare la sua identità nonché il legame coniugale e se non esistono elementi in grado di stabilire che egli rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità pubblica ai sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148.

2) Gli artt. 4 della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 devono essere interpretati nel senso che essi non autorizzano uno Stato membro a negare il rilascio di un permesso di soggiorno e ad adottare una misura di espulsione nei confronti del cittadino di un paese terzo che può fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro interessato.

3) Gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, 3 e 6 della direttiva 73/148 e 3, n. 3, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro non può negare il rilascio di un permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che è entrato legalmente nel territorio di tale Stato membro, né adottare nei suoi confronti una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo che il suo visto è scaduto prima che egli abbia fatto richiesta di un permesso di soggiorno.

4) Gli artt. 1, n. 2, e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che il coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro ha il diritto di sottoporre all’esame dell’autorità competente di cui al detto art. 9, n. 1, una decisione di diniego di rilascio di un primo permesso di soggiorno o una decisione di espulsione prima del rilascio di un tale permesso, anche quando egli non sia in possesso di un documento d’identità o, essendo soggetto all’obbligo di visto, sia entrato nel territorio dello Stato membro senza visto o vi si sia trattenuto dopo la scadenza del visto.