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Sentenza della Corte di Giustizia UE- Al riconosciuto carattere self executing della direttiva in relazione al reato di inottemperanza all’ordine del questore consegue l’assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

a cura dell'Avv. Giuseppe Onorato, Università di Sassari

Sentenza Corte Giustizia UE – Al riconosciuto carattere self executing della direttiva in relazione al reato di inottemperanza all’ordine del questore consegue l’assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

“Perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, con questa formula il Tribunale penale di Sassari, giudice dott.ssa Antonietta Crobu, all’udienza del 2.5.2011 ha assolto l’imputato senegalese Ndiaye C.M. dal reato di cui all’art. 14, comma 5ter, del D. Lvo 286/98.
La sentenza di assoluzione, adottata ai sensi dell’art. 129 cpp, è stata adottata su sollecitazione della difesa dell’imputato rappresentato dall’avv. Giuseppe Onorato del Foro di Sassari il quale ha richiesto l’acquisizione agli atti del procedimento di copia della sentenza della Corte di Giustizia UE dello scorso 28 aprile nella causa C-61/11/PPU producendone così copia. Il PM d’udienza, per parte sua, ha aderito alle sollecitazioni della difesa.

Nel corso della discussione, il difensore dell’imputato ha posto in evidenza come – a seguito della lunga querelle concernente la legittimità “comunitaria” dell’art. 14, comma 5ter – la Corte di Giustizia UE fosse stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale d’urgenza (PPU) espressamente sulla compatibilità della detta norma interna con le norme dell’ordinamento comunitario ed avesse statuito nel senso dell’incompatibilità proprio con la sentenza del 28 aprile.

Di fronte ad una tale decisione – che si collocava nel solco già tracciato con la sentenza 30 novembre 2009, causa C-357/09 PPU, Kadzoev, che aveva visto coinvolta la normativa della Bulgaria – con cui la Corte di Giustizia ribadiva il carattere self executing di alcune norme contenute nella direttiva del 2008, il Giudice nazionale – operante quale giudice comune dell’ordinamento comunitario – in forza del nuovo articolo 4 del Trattato UE per come modificato a Lisbona è tenuto ad applicare il diritto comunitario (rectius, dell’Unione europea) così disapplicando ogni norma interna in contrasto con questo, tanto che – poiché le sentenze della CGE hanno rango di diritto comunitario soprattutto ove si tratti di pronunce in via pregiudiziale, riservate alla sola Corte e non al Tribunale proprio per garantire quella finalità di uniforme applicazione del diritto UE che potrebbe essere invece persa con una disciplina diversa – il giudice deve considerare– nel caso di specie – non più previsto dalla legge il reato, dato che si è operata una “abolitio criminis” proprio perché “la legge” è – nel caso di specie – “integrata” dalle norme dell’ordinamento comunitario tra le quali, come si è detto, rientra il dictum della pronuncia pregiudiziale in commento.
Correttamente pertanto, a sommesso avviso di chi scrive, il giudice di merito ha ritenuto di assolvere l’imputato con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, e non – come da altre parti sollecitato – con la diversa formula “perché il fatto non sussiste”.

Sia consentita infine una breve digressione sul tema. Diversamente da facili e semplicistiche associazioni frequentemente riportate da stampa male informata (se non altro), la sentenza della Corte di giustizia UE in parola non incide direttamente sul reato di clandestinità (di cui all’art. 10bis del T.U.I.), ma solo sulla ben diversa ipotesi criminosa di cui all’art. 14, comma 5ter del D. L.vo 286/98 (Legge Turco-Napolitano, poi modificata dalla legge Bossi-Fini). Non viene infatti sancita l’illegittimità del “reato di clandestinità”, ma essenzialmente la sproporzionata sanzione della “reclusione” quale automatica conseguenza della condizione di irregolarità sul territorio nazionale. La sentenza di merito cui ci si riferisce in questo breve commento, concerne solo l’ipotesi dell’art. 14 cit., di gran lunga più diffusa nel nostro sistema giudiziario, soprattutto per la facilità con la quale venivano adottati i decreti di espulsione da parte delle prefetture – su solerte sollecitazione delle questure – e, soprattutto con la riforma del c.d. pacchetto sicurezza del 2009, per la reiterata apertura di procedimenti penali per la violazione della medesima norma contro il medesimo straniero che, inottemperante al medesimo ordine del questore, non lasciava il territorio nazionale, così che alcuni cittadini extracomunitari si trovavano sotto giudizio in innumerevoli processi sempre e solo per non aver lasciato l’Italia.

Pare possibile che nelle prossime settimane il Governo adotti delle misure – che proverà poi a far passare al Parlamento – con cui reintrodurrà un trattamento sanzionatorio alternativo rispetto a quello cassato dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo. Resterà da valutare la compatibilità di queste nuove norme non solo con specifici atti dell’ordinamento dell’Unione europea ma anche con quei principi generali dell’ordinamento comunitario che – propriamente citati anche dalla sentenza in parola – vanno ricercati tra l’altro nella luminosa giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo chiamata da molti decenni a rendere vivo e vivente in Europa il principale strumento di tutela dei diritti dell’Uomo, la CEDU appunto.

Sentenza della Corte di Giustizia Europea C-61/11/PPU del 28 aprile 2011