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Šid (Serbia) – Violenza ed abusi nei confronti di migranti e volontari

La campagna Lesvos calling lungo la rotta balcanica

23 febbraio 2020 – Šid, il “collo di bottiglia” della Serbia, è un paesino a qualche chilometro dal confine con la Croazia dove tutto ricorda il passato socialista, tra campi sterminati e una rappresentazione dell’Occidente che si è fermata, inesorabilmente, agli anni Ottanta. Luogo ameno e quasi sconosciuto fino a qualche anno fa, rappresenta oggi uno dei passaggi quasi obbligati per centinaia di persone migranti che sono alla ricerca di una vita migliore verso l’Europa centro-meridionale.

Nonostante il flusso migratorio sia diminuito nell’ultimo periodo, oggi sono presenti decine di migranti che cercano, spesso senza successo, di passare in Croazia o che sono costrette a ripiegare in Bosnia. Ad aiutarli una sola associazione presente sul territorio e che fa base proprio a Šid, No Name Kitchen. Una decina di ragazzi da tutta Europa che cerca di prestare soccorso alle persone, principalmente afgani, preparando loro un pasto caldo e prestando le prime cure. Il tutto in mezzo alla campagna serba per non rischiare di essere visti dalla polizia e dalle associazioni cetniche locali che, oltre ad essere dichiaratamente nazionaliste e filo fasciste, spalleggiano il lavoro della polizia locale e intimidiscono gli unici volontari presenti. Proprio a inizio febbraio l’ultima aggressione, nella quale i volontari di NNK e i migranti erano stati attaccati con la benzina presso un accampamento informale.

Intervista a Selene Lovecchio di No Name Kitchen

Nel piccolo comune, proprio davanti la stazione ferroviaria, è presente uno dei tre campi di accoglienza gestiti dalle istituzioni serbe. E proprio qui le testimonianze dei migranti diventano agghiaccianti.

Yaser ha due bambini che sono con lui all’ “One day center” di Šid e come lui vengono da Kobane. Allo scoppio del conflitto Yaser ha deciso di fuggire: “In quel momento ho dovuto decidere se combattere o partire, non volevo lasciare i miei figli orfani e non me la sentivo di rendere orfani quelli di qualcun’altro“, spiega così la sua scelta. All’inizio voleva raggiungere l’Austria, ora qualsiasi paese dell’Unione Europea andrebbe bene. Yaser e i suoi figli si trovano al centro di Šid da ormai un anno e sanno di non avere speranza di fuggire dalla Serbia che, nel frattempo, ha blindato le frontiere.

Dentro il campo è alta la presenza di minori. Mohamed si presenta con la moglie e una figlia di 38 giorni, racconta una storia drammatica di espulsione sistematica da diversi paesi europei e respingimenti illegali dalla Slovenia prima e dalla Croazia poi.
Un effetto domino di pushbacks collettivi che colpisce, uomini, donne, nuclei familiari e minori che avrebbero tutto il diritto di fare ingresso e rimanere nei diversi paesi dell’UE per fare istanza di protezione internazionale. Ma che l’Unione europea fa finta di non vedere e invisibilizza, scaricando e sostenendo senza troppe remore il “lavoro sporco” dei paesi Ue dell’area balcanica.

Intervista a Jack Sapoch di No Name Kitchen (coordinatore per l’associazione dei rapporti di Border Violence Monitoring Network)

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
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