Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sierra Leone – Riconoscimento dello status di rifugiato per aver subito mutilazioni genitali femminili e per essersi opposta al matrimonio combinato

Tribunale di Bologna, decreto del 3 febbraio 2020

Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto lo status ad una richiedente della Sierra Leone, alla quale la Commissione territoriale aveva concesso solo la protezione umanitaria per aver lasciato il paese d’origine in minore età ed essere giunta in Italia quale minorenne nonché per aver subito violenze e soprusi durante il percorso migratorio, in particolare in Libia. L’Organo Ministeriale aveva considerato il racconto della ragazza circa i motivi per i quali aveva lasciato il paese d’origine vago e generico e, a tratti, non credibile.
La ragazza aveva raccontato e documentato di aver subito mutilazioni genitali femminili all’età di dieci anni e di essere stata in seguito obbligata dalla propria famiglia di entrare a far parte di una società segreta femminile diffusa in Sierra Leone, Bondo Society, ereditando il ruolo della nonna alla morte di quest’ultima. Aveva inoltre narrato che a tal fine avrebbe dovuto sposare un uomo anziano al quale era promessa già da tempo. La richiedente ha infine affermato di essersi opposta all’ingresso nella società segreta e al matrimonio combinato e di essere pertanto stata umiliata e maltrattata dai propri familiari.
Il Tribunale di Bologna, a differenza della Commissione Territoriale, ha considerato completamente credibile il racconto della richiedente e le ha riconosciuto lo status di rifugiata avendo la stessa subito atti persecutori nel proprio paese d’origine a causa della sua appartenenza ad un particolare gruppo sociale, quello delle donne.
Afferma il collegio emiliano: “ […] deve ritenersi che nel caso in esame la mutilazione subita rappresenti una grave violazione della vita umana e tale mutilazione e le altre violenze fisiche e morali subite dalla ricorrente, per la sua condizione di donna, siano da considerarsi una vera e propria forma di persecuzione e discriminazione, a cui la ricorrente correrebbe il rischio di essere nuovamente sottoposta nel caso di rientro in Sierra Leone, se non sotto il profilo della reiterazione della mutilazione (ormai già subita), certamente con riferimento alla reiterazione di condotte tese a costringerla ad assumere il ruolo della nonna materna e il matrimonio forzato, come già avvenuto in passato: rischio reso palese dalla pluralità delle condotte subite dalla ricorrente (mutilazione genitale, seguita dal tentativo dei genitori di costringere la ricorrente ad un matrimonio forzato e dalle successive condotte, reiterate nel periodo successivo, fino alla decisione della ricorrente di allontanarsi dal Paese di origine), conformemente alle previsioni di cui all’art. 3, comma 4, del D.L.vo 251/2007, ai sensi del quale “il fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi”.
E la vicenda narrata dalla ricorrente rientra pienamente nelle previsioni della Convenzione di cui si è detto nonché nella fattispecie di cui all’art. 7 del D.L.vo 251/2007, “essendo presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate” ed essendo stata la ricorrente vittima di una “persecuzione personale e diretta per l’appartenenza a un gruppo sociale (ovvero in quanto donna), nella forma di “atti specificamente diretti contro un genere sessuale” (cfr. Cass. 28152/2017). Responsabili della persecuzione possono, infatti, essere anche “soggetti non statuali” se “le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio ‘non possono o non vogliono fornire protezione’ adeguata ai sensi dell’art. 6, comma 2 (Cass. n. 25873 del 18/11/2013)” (cfr. sentenza sopra citata).
Ed è evidente come nella specie l’inadeguatezza della protezione possa desumersi proprio dalla diffusione dei fenomeni sopra decritti e dall’assenza di previsione normative incriminatrici di alcune condotte analoghe a quelle subite dalla ricorrente, che, peraltro, oltre ad avere subito la pratica di mutilazione genitale, ha subito l’ulteriore condotta tesa a costringerla a matrimonio forzato, da lei non voluto, e le ulteriori condotte pregiudizievoli proprio ad opera del contesto familiare di riferimento ”.

– Scarica il decreto
Tribunale di Bologna, decreto del 3 febbraio 2020