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Siracusa: esclusa Senza Confine come parte civile al processo per il naufragio di Natale ’96

Difficilmente potranno ottenere giustizia le famiglie delle quasi 300 vittime pakistane , tamil e indiane. Partito già orfano della maggioranza degli imputati, il processo ha già perso per strada “per motivi procedurali” il più noto e principale imputato, il capitano della Yohan Youssuf El Hallal, il quale in un’intervista pubblicata da Repubblica il 13 maggio 2003 aveva dichiarato fra l’altro: “Non voglio essere il solo a pagare per un’attività che coinvolge centinaia di persone potenti: armatori, diplomatici, dirigenti di polizia di tutti i paesi del Mediterraneo. Quel naufragio è stato un incidente tragico avvenuto durante un business riconosciuto e tollerato dai governi”. La posizione dell’unico imputato rimasto, il pakistano Touraib oggi naturalizzato maltese e ufficialmente nullatenente, era apparsa da subito più sfumata: nonostante fosse l’armatore della nave, non era a bordo della Yohan quella tragica notte.

Prendiamo atto con amarezza della decisione del Presidente della Corte d’assise di Siracusa, che ha negato la possibilità all’associazione Senzaconfine di costituirsi parte civile e financo di intervenire come associazione partecipante nel processo in corso a Siracusa: non si è voluto considerare – appellandosi a pretestuosi motivi territoriali – che è stato anche grazie all’apporto determinante del lavoro di inchiesta svolto da Senza Confine che è stato possibile aprire il processo. Dino Frisullo accompagnò il giovane pakistano Shakur, sopravvissuto alla catastrofe saltando dalla nave F174 poi affondata, aggrappandosi ad una corda lanciata da altri migranti dalla Yohan, al porto di Reggio Calabria, dove il giovane confermò che quella ancorata al porto era proprio la Yohan; sempre Dino Frisullo insieme ai familiari pakistani delle vittime consegnò un dossier che individuava le catene del traffico di esseri umani ricostruito grazie alle testimonianze dei migranti stessi alla Procura di Reggio Calabria, prima titolare dell’inchiesta, contribuendo all’istruzione del procedimento.
In seguito consegnò questa documentazione anche alla Procura di Siracusa, dove il processo fu trasferito per competenza.

Perché non si è proceduto contro le “persone potenti” di cui parla El Hallal, individuate già nel ’97 dall’inchiesta di Zabiullah Basha, padre e zio di due vittime pakistane, insieme ai rappresentanti di Senza Confine e dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia? Ed infine perché – a causa delle leggi restrittive sull’immigrazione – ancora oggi continuano a morire persone davanti alle nostre coste, costrette ad affidarsi ai trafficanti di uomini dall’impossibilità di migrare regolarmente?

Proseguiremo comunque, come società civile siciliana ed italiana, la campagna per la verità e giustizia “Per non dimenticare”” affinchè riprendano le indagini anche sull’omissione di soccorso e di atti d’ufficio da parte delle autorità italiane, così come da tempo denunziato ed inoltre si sostenga il recupero del relitto per garantire così una umana sepoltura alle vittime del “naufragio fantasma” affinchè non ci siano mai più nel Mediterraneo altri fantasmi, vittime della “fortezza Europa”.

Se viene oggi impedito a chi si è battuto in questi anni per togliere dall’oblio la vicenda della Yohan di parlare in questo processo, non potrà essere impedito di parlare – a partire dalla prossima udienza fissata per il prossimo 13 luglio – ai testimoni di quella tragedia, e ai parenti delle vittime: a loro andrà tutto il nostro supporto, per fare in modo che la memoria di quel naufragio emerga dal fondo del mare.