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Smantellare le multinazionali del petrolio: la sfida contro la crisi climatica che parte dall’Africa

Intervista di Alice Dal Gobbo a Nnimmo Bassey al Venice Climate Camp

Alice Dal Gobbo ha intervistato per Radio Sherwood Nnimmo Bassey – direttore del think-tank ecologico Health of Mother Earth Foundation, direttore esecutivo dell’ Environmental Rights Action – intervenuto nel focul-lab “Crisi climatica, neocolonialismo e migrazioni forzate” al Venice Climate Camp.
Nnimmo è stato eletto “eroe dell’ambiente” dal Times Magazine nel 2009, ma soprattutto è un attivista e poeta nigeriano, impegnato da anni nelle lotte contro l’estrazione del petrolio nel suo Paese e non solo.

Vorremmo iniziare parlando della crisi climatica, ma più in generale della crisi ecologica che stiamo vivendo oggi e della degradazione ambientale che oggi giorno si vive localmente, ma anche del tema emergente della crisi migratoria, che è già in atto e lo sarà sempre più nel futuro: le persone vengono allontanate dai luoghi in cui vivono perché la degradazione ambientale porta via le loro risorse per vivere. Puoi dirci qualcosa da questa prospettiva considerando anche la tua esperienza in Nigeria come attivista nelle lotte contro l’estrazione del petrolio e l’inquinamento?

In effetti, coloro che negano i cambiamenti climatici e i conseguenti impatti sul mondo, oggi dimostrano di essere al di fuori della realtà. Non importa chi essi siano, ma è effettivamente molto scioccante che vi siano persone oggi che, nonostante vedano gli impatti, dicono comunque che non esistono i cambiamenti climatici. I cambiamenti climatici sono qui, sono reali e gli impatti sono molto pesanti per le comunità che non hanno fatto niente per contribuire al surriscaldamento globale.

Questa è la questione che riguarda totalmente l’impatto climatico: quelli che non lo hanno causato lo stanno subendo e infatti tale politica ci rende infelicemente disturbati dalle azioni su quelle comunità vulnerabili che non hanno mai contribuito al riscaldamento globale. Questa è una questione di giustizia e necessita di essere affrontata. Gli impatti derivano specialmente dall’attività estrattiva poiché vi è un eccesso di estrattivismo di risorse acquee e petrolifere, di inquinamento derivante dal petrolio, di erosione delle coste causata dal movimento delle infrastrutture dell’industria estrattiva.

Alcuni di noi credono che le corporation transnazionali abbiano estratto abbastanza risorse. Dovrebbero smettere di estrarle, perché ora è il momento di investire nel ripristino dell’ambiente visti i danni enormi. L’attività estrattiva è costruita sul pensiero che la natura sia solo un oggetto da sfruttare, da trasformare, che sia merce di scambio per creare profitto e non qualcosa che deve essere rispettato, che noi siamo superiori alla natura. Si vuole rendere la natura più efficiente attraverso tutte le azioni e le attività degli esseri umani, che rappresentano un elemento a vantaggio del surriscaldamento globale.

Svolgere azioni di contrasto ai cambiamenti climatici significherebbe per esempio lasciare il carbone nel sottosuolo, lasciare il petrolio nel sottosuolo, perché nel momento in cui vengono estratti vengono conseguentemente bruciati. Tale processo rilascia CO2 nell’atmosfera e non sono sicuro che noi capiamo l’enormità del problema con cui ci stiamo confrontando.

Hai parlato di estrattivismo: puoi dirci qualcosa di più sulla relazione fra il sistema capitalista, l’estrattivismo e le migrazioni forzate in questo contesto?

La connessione fra le migrazioni forzate, estrattivismo e il sovrasfruttamento della natura è così reale, è una relazione diretta. Quando le comunità sono contaminate in modo così distruttivo da far sì che non possano costruirsi mezzi di sussistenza, non possano vivere per mezzo dei “doni” della natura, queste sono forzate a spostarsi. Troviamo istituzioni dove i poteri politici sono alleati con le compagnie estrattive e questo fa sì che le persone siano totalmente ignorate a causa del profitto.

Il capitalismo si fregia anche della convinzione di avere decisionalità politica: pensare a soluzioni rispetto ai cambiamenti climatici che seguano i meccanismi del mercato e l’ambientalismo dei mercati è uno dei problemi collegati alla mercificazione della natura, perché la natura si va a modificare quando è in diretta connessione con gli scambi fra beni naturali e capitale. Inoltre preservare il valore economico della natura per intensificare il sovrasfruttamento crea a sua volta un’intensificazione nel trascurare le comunità di persone.

Le persone sono totalmente svilite o eliminate a causa dell’accumulazione di capitale. C’è quindi una connessione diretta fra capitalismo e le spinte della globalizzazione, del profitto, dei beni, ma non degli esseri umani. Questi sono le questioni che realmente creano il problema delle migrazioni. Noi in Nigeria abbiamo due dimostrazioni chiave: una è il Lago Chad, un lago nella parte nord del paese, che si sta prosciugando a causa del surriscaldamento globale, oggi misura circa solo il 10% rispetto agli anni Sessanta, quindi i contadini e i pastori sono obbligati a migrare. L’altra è la fascia costiera dove l’estrattivismo, specialmente quello del settore del petrolio, estrazione del gas e in generale dei beni petroliferi, l’inquinamento ambientale, lo spostamento delle attrezzature ha portato a una massiva erosione della costa, quindi le persone sono state obbligate a migrare.

Sono state costrette a migrare sia dal sud che dal nord e di conseguenza ci sono stati molti conflitti nella parte centrale del paese e coloro che non hanno potuto permettersi di prender parte a quei conflitti hanno cercato una via di fuga dal paese, attraversando il deserto, attraversando il mar Mediterraneo: tutto ciò è causato dalle forze climatiche.

Vedi nuovi tipi di lotte che emergono da queste situazioni, ad esempio contro le compagnie estrattive?

Sicuramente sono nati movimenti di persone che lottano insieme contro i poteri che causano il surriscaldamento globale, abbiamo forze sociali che non ci saremmo mai aspettati che si potessero unite, che avessero camminato insieme.

Noi siamo coloro che svolgono campagne contro l’estrazione del petrolio e l’estrazione nei mari. Normalmente le persone pensano ai pesci come qualcosa legato esclusivamente all’acqua pulita, ma non legato al futuro, legato ai loro mezzi di sussistenza. Invece ci sono molto movimenti che si sono uniti per fare campagne in modi innovativi e fantasiosi, che non avevamo mai visto prima. Stiamo vedendo comunità disperate che stanno prendendo in mano il loro destino pretendendo che non vi sia degradazione e distruzione, perché vi è un diretto collegamento fra le due linee di lotta, c’è un legame fra i luoghi dove le risorse vengono estratte e quelli dove vengono utilizzate, e nel mezzo come le risorse sono trasformate; quindi le persone stanno attaccando queste forze da ambo le parti e così abbiamo la potenzialità per una solidarietà globale, da ambo le parti e nel mezzo delle lotte

Questo tipo di estrattivismo e degradazione ambientale è molto legato al colonialismo e al neocolonialismo. Di certo nei paesi che sono stati sottomessi al colonialismo si è iniziato a pensare alla società decolonizzante e sta nascendo una mentalità decolonizzante, attraverso il nostro modo di narrare altre forme di vita e attraverso la decostruzione dell’idea di sviluppo, provando a ricentrare il nostro modo di organizzare il mondo ecologicamente e socialmente.

Quali contributi potrebbero arrivare da un pensiero decoloniale?

Abbiamo avuto grandi leader nel movimento post coloniale che hanno teorizzato che dovremmo cambiare la mentalità delle persone, non soltanto nel basso della società, ma anche in coloro che occupano posizioni di potere, anche riponendo fiducia nelle corporation internazionali. Oggigiorno, tuttavia, il colonialismo è ancora vivo, il colonialismo non è finito: i governi stanno portando politiche che favoriscono le corporation e queste nuove modalità d’azione sui governi, ricreando una sorta di imperialismo formale.

La lotta quindi ora è di smantellare le multinazionali, fermare i rapporti tra queste e i governi, fermare la loro azione negli spazi globali multilaterali. Cosicché le persone possano pensare da esseri umani, possano pensare cosa nuoce alle altre persone. Questa è una grande sfida ed è la direzione che le campagne devono intensificare perché le corporation a volte dichiarano di essere umane, mostrano di avere a cuore i diritti degli esseri umani, ma non vogliono ricevere le punizioni che gli esseri umani ottengono quando commettono crimini.

Quindi abbiamo bisogno che crimini come l’ecocidio vengano riconosciuti allo stesso livello di quei crimini contro l’umanità, cosicché quando le corporation commettono crimini sociali possano avere ripercussioni e responsabilità per i disastri ambientalo. Oggi si nascondo dietro ai militari, dietro lo scudo della cooperazione internazionale e non accettano alcuna presa di responsabilità per i crimini che stanno commettendo. Una direzione della lotta è quindi quella di riformare e cambiare la struttura legale cosicché i responsabili delle multinazionali possano avere il conto dei grandi crimini che commettono nel mondo.

Ora è il momento di ripulire attraverso lo smantellamento delle miniere e dell’estrazione di petrolio, fermare la circolazione di gas, ripulire tutte le scene del crimine e il profitto che ne è derivato. Dobbiamo visitare tutti questi luoghi e dare il conto alle corporation dei crimini che hanno commesso .