Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

di Alessandra Sciurba

Soli in mezzo al mare. Stranieri senza terra

Di chi è la colpa? Come è stato possibile? Quale potrebbe mai essere adesso il risarcimento, la punizione?

Difficile rimanere lucidi di fronte a quello che è appena accaduto. Certo, non è la prima volta e nemmeno, purtroppo, sarà l’ultima.
Le modalità, però, sono spaventose, così drammaticamente esplicite da lasciare senza fiato. Da anni i pescherecci hanno paura di soccorrere o di scortare fin nei porti le imbarcazioni dei migranti in difficoltà. La Cap Anamur nel 2004, le barche dei tre comandanti tunisini arrestati e rilasciati dopo mesi ad Agrigento nel 2007, la Pinar, pochi mesi fa, sono state eccezioni importanti e tutte le volte strumentalizzate dal governo italiano per lanciare il suo monito chiaro, inequivocabile: Voltatevi dall’altra parte.
E dall’altra parte, questa volta, si sono davvero voltati tutti.

È fondamentale parlare, e qualcuno più autorevole di chi scrive lo ha già fatto, di quante leggi e convenzioni siano state violate nel corso di questa allucinante storia di indifferenza e morte. Si potrebbero spiegare ancora le ragioni per cui Malta ha deliberatamente scelto di non permettere l’ingresso di nessun altro richiedente asilo, almeno non da vivo, su un territorio che la Convenzione di Dublino ha condannato a campo di concentramento ab aeternum di un’umanità senz’altro luogo in cui andare. Si potrebbe, infine, sottolineare come la guerra dell’Italia contro chi arriva dal mare abbia almeno una duplice ragione, in entrambi i casi strumentale: da una parte spettacolarizzare “l’invasione” e “la reazione”, per fortificare l’immagine costruita di uno Stato nazione ancora in grado di difendere i propri cittadini; e dall’altra impedire che a fare ingresso siano proprio quei migranti (una minima percentuale di quelli che raggiungono questo paese) che “costano”, perché da profughi di guerra e comunque da potenziali aspiranti all’asilo politico (circa l’80% di loro lo sarebbe secondo l’Unhcr), hanno dei precisi diritti, e sono molto più difficilmente “clandestinizzabili” e sfruttabili senza alcuna regola.
Si può e si deve ragionare su questi livelli e muovere considerazioni simili, ma, almeno per oggi, forse, bisogna parlare anche e soprattutto di altro.

Come ha scritto Mezzadra su questo stesso sito, la vicenda dei 73 eritrei morti dopo venti giorni alla deriva nel mar Mediterraneo riflette la storia della solitudine di tutti i migranti, adesso, di fronte al razzismo che ha preso le anime e i pensieri di parte importante di questo e di altri paesi europei.
La rabbia diventava incontenibile, ieri mattina, leggendo in rete i commenti della “gente comune” a quanto era avvenuto. Alle parole di sdegno e sconforto di alcune persone per bene si alternavano, molto più numerosi, messaggi quasi irripetibili. Uno per tutti, che si fa fatica a ricopiare, diceva così: “la vera tragedia? I cinque sopravvissuti”.
Viene allora da chiedersi come sia fatta la vita di chi ha scritto una frase del genere e di tutti quegli altri che magari non hanno il coraggio di mettere nero su bianco pensieri non troppo dissimili da questo. Quante sono queste persone? Tante, se si considera il consenso che la Lega raccoglie in Italia.
È ignoranza? Si tratta di una rinnovata cattiveria finalmente libera di esprimersi senza inibizioni e tabù ora che sulle poltrone del potere siede la volgare banalità del male senza più coperture e ipocrisie? È solo paura, infelicità, disperazione per un futuro che non si intravede nemmeno e per un’esistenza svuotata di ogni senso e di tutti i desideri? È tutto questo insieme? E come si combatte contro tutto questo?
Qual è oggi lo spazio politico realmente rimasto a chi è e vuole essere differente, a chi si indigna fino a sentirsi scoppiare di fronte a quei cadaveri recuperati tra le onde, a chi la sua comunità la vuole costruire sui sogni e sul coraggio di accettare i conflitti veri che sorgono tra le differenze, a chi non ne può più di sentire questo tifo da stadio che accompagna ogni passo compiuto verso la soglia del peggiore dei mondi possibili?
Immaginare un percorso che porti questa rabbia e questi sogni a generare un discorso e una pratica politica pubblici, che li leghi alle rivolte dei Cie di mezza Italia che hanno incendiato l’estate, che rinnovi i linguaggi sempre più inappropriati che sono stati utilizzati fino ad ora, che sostituisca la pietà e il dolore con il progetto. Questa sembra l’unica strada percorribile, anche se difficilissima perché inevitabilmente segnata da tragedie imperdonabili con milioni di colpevoli, come quella appena accaduta, e quindi da momenti di immensa frustrazione per il senso d’impotenza.