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da Il Messaggero del 13 aprile 2005

“Sono tipi sospetti”, in cella a tempo indeterminato due ragazzine musulmane

New York – PREOCCUPATO perché si è fatto tardi e la figlia non è ancora tornata a casa, un padre corre dalla polizia e chiede aiuto. Così, con un gesto di fiducia nei confronti delle autorità, è cominciata una vicenda che nell’arco di pochi giorni si è trasformata in un incubo giudiziario per il povero padre, per la figlia e l’intera famiglia. E non solo: anche un’amica della ragazza è rimasta intrappolata nella ragnatela. La giovane e la sua amica, due sedicenni di fede musulmana, sono chiuse in prigione, dallo scorso 24 marzo, sospettate di essere aspiranti terroriste. L’accusa lascia sgomenti familiari, amici e compagni di scuola delle ragazze, nonché vari giornalisti che si sono occupati dei due casi. Ieri il New York Times ha preso ufficialmente posizione sulla storia, dedicandole il fondo di apertura della pagina delle opinioni. Il titolo «Colpevoli, finché non saranno riconosciute innocenti» capovolgeva con ovvio sarcasmo quello che è da sempre il pilastro della giustizia anglosassone, e cioè che un accusato è innocente finché non sia stato riconosciuto colpevole.

Le due ragazze pare si conoscano appena. L’una, quella che aveva fatto tardi a casa, è figlia di un orologiaio del Bangladesh che vive da 13 anni a New York, da illegale. L’altra è figlia di clandestini della Guinea. A scatenare i sospetti dell’Fbi sarebbero state delle riflessioni che la ragazza del Bangladesh ha scritto nel suo diario sul tema del suicidio a scopi terroristici. Un argomento, spiegano i difensori dei diritti civili, che è naturalmente al centro delle discussioni di tanti ragazzi di fede musulmana, senza che questo significhi che lo approvino o intendano portare a termine un vero attentato kamikaze.

Nessuno avrebbe visto quegli appunti, nessuno avrebbe pensato di arrestare le due amiche, se il padre non fosse andato ingenuamente a chiedere aiuto. Poche ore dopo la sua visita alla polizia, la ragazza era rientrata, e la crisi familiare era bell’e superata. Tuttavia, alla porta di casa si erano presentati gli agenti, che hanno chiesto di parlare alla giovane. Venti giorni più tardi, un altro gruppetto bussava alla porta: erano agenti dell’immigrazione, accompagnati da agenti dell’Fbi. Hanno prelevato la ragazza, e l’hanno chiusa nel centro di detenzione di immigrati illegali. Poche ore dopo veniva arrestata anche la ragazza della Guinea. Due arresti effettuati in base alla legge sull’immigrazione clandestina, che permette di trattenere gli stranieri a tempo indeterminato, senza l’intervento dei giudici. Un funzionario ha detto al New York Post : «Era meglio rinchiuderle tutte e due piuttosto che aspettare e vedere se avrebbero deciso di diventare terroriste e di morire per la loro causa».

Un arresto “preventivo” dunque? Certo, è vero che dal 2001 gli Stati Uniti vivono con la costante paura che il terrorismo si ripeta, è vero anche che ci sono sospetti che Al Qaeda voglia usare agenti di sesso femminile, meglio se direttamente in terra americana. Ma sul capo delle due giovani sembrano pendere sospetti estremamente vaghi. Troppo vaghi per farle precipitare in un limbo giuridico senza veloci vie d’uscita, troppo vaghi anche per fare davvero paura, anche per un Paese che non riesce a uscire dallo stato di shock.