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di Vincenzo Bruno

Spagna – Siamo tutti temporeros!

Il governo di Josè Luis Zapatero alle prese con “ritorni volontari” e aperta recessione. Intervista a Sabri, capogruppo dei temporeros

Da una parte ci sono le centinaia di migliaia di vite umane che ogni giorno sfidano le reclusioni o i rimpatri dai CPT di Ceuta e Melilla. Dall’altra innumerevoli residenti stranieri con tanto di sfruttamento e paghe misere, o sin papeles che sfuggono le autorità e rivendicano diritti basici. Poi ci sono altre realtà poco conosciute che si assicura saranno maggiormente tutelate, come i lavoratori extracomunitari stagionali, i temporeros. Con un contratto di lavoro determinato – a seconda delle varie campagne di raccolta e per un massimo di 9 mesi annuali – ottenuto grazie a convenzioni stipulate tra Spagna e Paesi non comunitari come Senegal, Marocco, Mauritania, Capo Verde e Ghana, i temporeros sembrano anch’essi risucchiati da quei venti di crisi che spirano invasivi sulla tanto elogiata e invidiata economia spagnola. Non c’è tolleranza che regga a questo punto, mentre il nodo del cappio sembra stringersi per tutti.

Al principio si era provato a buttarla lì, una proposta senza arte né parte ma che poteva perlomeno alleggerire il peso della mongolfiera alla prima faglia visibile: il cosiddetto “Piano di Ritorno Volontario per Residenti Disoccupati”. Si trattava d’ invogliare quei residenti extracomunitari disoccupati che intendevano lasciare la penisola garantendo la copertura del contributo di disoccupazione e delle prestazioni assistenziali. In cambio suddetti residenti stranieri non avrebbero più potuto fare marcia indietro se non a distanza di tre anni, e perdendo contemporaneamente la residenza e il permesso di lavoro, diritti ottenuti grazie a immani sacrifici non solo da parte dei singoli ma d’intere famiglie e comunità private della loro storia e i loro affetti. Il “Piano” non ottenne gli effetti sperati e non più di 1400 extracomunitari hanno lasciato la Spagna dalla sua attuazione legislativa, l’11 novembre passato.

Poi è stata la volta di un’altra mossa del governo Zapatero. Il Ministro del Lavoro Celestino Corbacho, intervenendo sul cosidetto “contingente” di lavoratori stranieri – il tetto massimo di autorizzazioni dei contratti di immigrati stipulati coi Paesi d’origine che il Governo stabilisce ogni anno – aveva affermato di “approssimare a zero la contrattazione di immigrati in origine” suscitando con questo un polverone di critiche da parte di partiti, confederazioni agrarie e associazioni d’immigrati. Corbacho ha dovuto chiarire senza perder altro tempo che le misure adottate – numero di temporeros complessivo ridotto a 18.472 autorizzazioni, contro le 51.349 dell’anno passato – non si riferiranno ai temporeros bensì alle contrattazioni in origine stabili, cioè quelle annuali che riguardano “posti di lavoro di difficile copertura”. Ma il portale d’informazione online della radiotelevisione spagnola (www.rtve.es) precisa che, quasi certamente, anche il numero di temporeros diminuirà perché le offerte di lavoro a essi destinati verranno affisse negli uffici per l’impiego e solo dopo verrà comunicato il totale di temporeros autorizzati a recarsi in Spagna. Ossia in funzione del numero di posti lasciati vacanti dai lavoratori nazionali. Dovuto all’impatto della crisi economica, il Governo di Josè Luis Rodriguez Zapatero ha annunciato che il Paese è entrato ufficialmente in recessione e come indica Marta Rodriguez Tarduchy, direttrice generale del Dipartimento d’Immigrazione del Ministero del Lavoro, “la priorità del Governo si centra adesso sul ricollocamento interno” e che “c’è gente in Spagna che può coprire posti disponibili”.

Manovre antirecessione sfacciatamente restrittive, certo, ma velate anche da un nazionalismo d’altri tempi. Intanto, nonostante associazioni agrarie come ASAJA e COAG sono più che sicure che non ci sarà manodopera spagnola sufficiente a garantire le necessità del settore, l’Andalusia vuole temporeros a volontà: Huelva ne ha richiesti 5300, Cordoba 1020, Almeria 560. Lo scorso dicembre, a Jaen, almeno 5000 lavoratori stagionali immigrati vagarono senza sosta in cerca di lavoro, 15 mila andalusi avevano fatto esplicita richiesta di lavoro al SAE (Servicio Andaluz de Empleo) per la campagna delle olive, “soffiandolo” così agli immigrati. Nella stessa campagna, l’anno passato lavorarono 7000 temporeros. (EL Pais, 14 dicembre 2008). Una guerra tra poveri che priva di dignità migliaia di temporeros accorsi per questa campagna e che, sempre lo scorso dicembre, si erano visti costretti a dormire in strada o nei portoni, rovistare nei cassonetti per trovare qualcosa di commestibile a causa dell’inspiegabile chiusura dei centri d’accoglienza della città andalusa. Deficienze amministrative e altalene di responsabilità non accertate.

L’Andalusia non è certo nuova a fenomeni di carattere migratorio. La sua vicinanza al continente africano ne ha fatto da sempre una Terra promessa per migliaia e migliaia di migranti, e la società andalusa stessa si è andata adattando a quella che, apparsa a molti come una competizione sociale, culturale e economica verso quegli andalusi stessi in cerca di lavoro – così lontani dai ritmi produttivi del centro e nord del Paese – è risultata essere da diversi anni a questa parte l’elemento aggiunto di un’economia in forte crescita (1). Il biennio 1997 – 1999 è stato il testimone principale di questa inversione di tendenza tra manodopera nazionale e immigrati in determinati settori produttivi, come quello agrario o quello edile. Mentre da un lato l’ultimo decennio prendeva nota dei miracoli di un’economia rampante così simile a quella irlandese di ultima generazione, dall’altro la precarizzazione del lavoro stagionale diventava più selettiva a mano a mano che avanzava la regolamentazione giuridica delle sue condizioni.
Un po’ per l’instabilità insita nel lavoro dei campi – dovuta al forte carattere stagionale della domanda soggetta a periodi di scarsità alternati a periodi di plus offerta lavorativa – un po’ per il rifiuto massivo della popolazione locale verso le sacrificanti esigenze delle serre, gli immigrati, e dunque, i temporeros, diventavano una manna per sempre maggiori imprenditori agricoli che richiedevano manodopera ammansita sottoposta a overdosi lavorative a cambio di salari modestissimi. Dicono Antonio C. Ruiz e Maria Lucia N. Gomez in un loro studio che “gli immigrati, specialmente gli africani, sono quelli con più probabilità di contratti temporanei, ma anche quelli con meno alternative per accedere a contratti di formazione e interinali.” e concludendo, “gran parte del flusso d’immigrati arrivati nel nostro Paese si è istallato nel cosiddetto mercato secondario, caratterizzato da attività intensiva di manodopera, bassa produttività e salari, con alta temporalità e scarse possibilità di promozione.”

La crisi quindi si fa sentire, e le discrepanze gestionali tra temporeros contrattati in origine e la nuova ondata di disoccupati nazionali – la Spagna ha chiuso il 2008 con 3,13 milioni di disoccupati secondo il Ministero del Lavoro, 3,26 milioni secondo l’Inchiesta di Popolazione Attiva – e stranieri – il 21, 26 % della popolazione attuale, dieci punti percentuali in più rispetto agli spagnoli nazionali – potrebbero rappresentare un detonatore di conflitti sociali molto significativo. E intanto c’è chi si sfrega le mani con gusto e cupidigia, come commenta El Pais del 14 dicembre scorso: “Alcuni imprenditori agrari s’approfittano della disperazione di lavoratori sudamericani e dell’Est ai quali duplicano la giornata lavorativa per salari infimi: 45 euro per 6 ore e mezza en Jaen, 15 euro per 10 ore nella Vega del Guadalquivir”. La legge “naturale” dell’economia: la crisi è per tutti, ma non tutti sono in crisi.

Intervista:
“Oggi raccolgo lamponi, domani mostrerò le bellezze del Marocco ai turisti!”
La strada non è delle migliori, molte le buche che durante i violenti acquazzoni di queste ultime settimane si convertono in pozzanghere disseminate un po’ dappertutto. Qui la finca La Cañada sorge nel cuore d’immense distese di serre di fragole e lamponi. Pochi km ci separano dal centro turistico di El Rocio, méta di migliaia di fedeli ogni anno devoti alla Madonna e di amanti della natura che vengono qui da ogni dove della Spagna per visitare i meravigliosi acquitrini così ridondanti di vita e colorati al tramonto che prendono il nome di marisma. Questo scenario unico fa da cornice al Coto de Doñana, uno dei parchi naturali nazionali più famosi e protetti di Spagna.
Alla finca ho dato appuntamento a Sabri, un capogruppo di temporeros che mi ha rilasciato un’intervista in cambio di non premere troppo sull’acceleratore della critica (“Sai, visti i tempi che corrono, il lavoro io me lo tengo stretto…”) e Maria, da poco uscita dalla disoccupazione grazie al corso di spagnolo per donne temporeros promosso dal comune di Cartaya in collaborazione con l’AATT (Asociacion de Apoyo a los Trabajadores Temporeros). Al termine del corso alle donne, per la maggior parte maghrebine, verrà rilasciato un certificato di partecipazione.

Sabri, perché sei venuto dal Marocco in Andalusia?
R: Da tre anni lavoro in Andalusia come temporero. Ho 32 anni e in Marocco lavoravo in una fabbrica del latte, ma non era sufficiente quello che facevo, per niente…

Quanti lavorano nei campi e di cosa vi occupate precisamente?
R: Siamo 450 temporeros di cui all’incirca 200 marocchini. Cominciamo alle sette o otto del mattino, dipende dal clima, raccogliamo fragole e lamponi. Sai, tagliamo i germogli, li lasciamo asciugare, li laviamo per bene. Il campo si estende per 180 ettari, per metà coltivati a lamponi e per l’altra metà a fragole.

Quante ore lavorate? E chi vi gestisce?
R: Lavoriamo sei ore al giorno, con mezz’ora di stacco. C’è pure la possibilità di lavorare tutta la giornata, ma le ore te le pagano “normali”. Ci gestisce un incaricato, che è marocchino e vive in Spagna da parecchi anni ormai.

E nella finca La Cañada quanti siete? Come sono gli alloggi?
R: Nella finca (tenuta, nda) vivono 180, 190 persone, inclusi bulgari e rumeni. La casa non è niente di eccezionale; si divide in due alloggi da 6 persone ognuno, 1 bagno, una cucina, due docce e, naturalmente, il dormitorio. In questo periodo dell’anno fa molto freddo e non abbiamo riscaldamenti adeguati. Molto spesso quando piove viene a mancare la luce e il generatore non basta a fare in modo che ci riscaldiamo tutti. E i bagni, del resto, non funzionano come dovrebbero.

Quindi c’è più di una cosa che non va, vero?
R: Non siamo messi malissimo, intendiamoci. Forse qualcosa non va nell’amministrazione. Gli incaricati gestiscono la finca e il lavoro come fosse un affare di famiglia. Sono loro a decidere chi farà ore extra e generalmente sono fratelli o cugini o amici stretti. E sai quanto sono importanti le ore extra per ciascuno di noi benché pagate come ore normali? Alla fine del mese te ne accorgi… i soldi sul conto non compaiono regolarmente, dovremmo essere pagati ogni quindici giorni ma troppo spesso ci sono ritardi nei pagamenti o molti temporeros si ritrovano con molte ore extra non pagate.

Quanto dovrebbero pagarvi secondo contratto?
R: Dovrebbero pagarci 35 euro al giorno, ma troppo spesso analizziamo le paghe e ci accorgiamo che qualcosa manca. E ci chiediamo: saranno spese per la luce? Per l’acqua che consumiamo? Non lo sappiamo.

Il vostro contratto riporta per iscritto che le spese sono a vostro carico? Avete mai cercato chiarimenti dall’incaricato?
R: A dire la verità non lo so, non so cosa dice il contratto. Nella busta paga non c’è scritto niente. La maggior parte della gente che vive qui proviene dal mondo rurale, voglio dire, non sa né leggere né scrivere. Hanno paura a chiedere agli incaricati per quale motivo vengono pagati di meno o perché mancano soldi alla fine del mese. Non conoscono bene l’euro, non sanno esattamente quanto sia 10 euro e quanto 20. Quando devono prelevare chiedono a quelli che sanno leggere o quelli che sono qui da più tempo di farlo per loro. E ci chiedono poi quanto vale tutto quello.

Pensi dunque che ci siano diritti calpestati?
R: Non posso dire che i diritti umani di uomini e donne non siano rispettati. Mi piacerebbe che tutto fosse un po’ più onesto, ecco. Per esempio, molti di noi lavorano con gli extra quasi tutta la giornata. Non ci sono autobus per andare ad Almonte (il paese più vicino alla finca, Nda) a fare la spesa, e ogni volta andare e venire ci costa 5 o 6 euro. Quindi molti preferiscono farsela a piedi perché i soldi non bastano. Due anni fa il vecchio capo dell’azienda mandava l’autobus una volta alla settimana. Lo scorso novembre è morto e il figlio che gli è succeduto non si preoccupa di tutto questo. Vedi, sono piccolezze, ma importanti.

Ritorniamo alla selezione dei temporeros. Esiste qualche forma di sub-contrattazione e chi controlla le fasi del processo?
R: Tutto inizia nell’ufficio di collocamento in Marocco. Siamo tutti in lista. Quando l’ufficio si mette in contatto con noi ci dà tempo 10 o 15 giorni per presentare il visto valido per la Spagna, un certificato medico e un passaporto o la carta d’identità marocchine che siano in regola. Poi si è pronti per partire. Al nostro arrivo qui alloggiamo in finca come questa, di solito vicino ai campi, diciamo nessuno si permetterebbe di pagare un affitto con quello che costano gli affitti oggi!. Il contratto lo facciamo direttamente con il capo dell’azienda e ci dicono che è lui che paga i braccianti mentre a occuparsi della gestione dei campi sono gli incaricati, che nel nostro caso sono marocchini. Gli incaricati poi scelgono i capigruppo, quelli che hanno più esperienza perché magari sono venuti qui anche gli anni precedenti.

Quindi c’è la possibilità, per i più meritevoli, di ritornare a lavorare l’anno seguente?
R: Certo. Guarda me. É il mio terzo anno qui. Per due anni ho lavorato in una finca sotto incaricati spagnoli. Brava gente. Naturalmente le imprese sono quelle a indicare se il lavoro svolto da ognuno è stato buono e magari fanno i nomi di quelli che si sono dimostrati migliori, diciamo.

Mi lasci capire che spesso sia meglio lavorare e incassare, senza magari lamentarsi e far notare ciò che non va. Non è così?
R: Tu lo hai detto. Ci teniamo tutto per noi. Nessuno vuol perdere questa occasione. Tu lo faresti?

Oltre il lavoro, avete momenti per relazionarvi con la società andalusa in generale o ci sono impedimenti sociali?
R: Non abbiamo molto tempo per stringere relazioni. Al ritorno dai campi dobbiamo pulire il bagno, lavare la roba, aspettare che qualcuno si faccia la doccia, fare da mangiare. Non c’è tempo, e siamo lontani dal paese. A volte è festa in Marocco e chi non vive troppo lontano torna per una settimana. Questa settimana, ti ricordi, è la festa dell’agnello giù da noi, molti ne hanno approfittato per vedere amici e parenti (Sabri si riferisce all’Aid-al-Kebir, o “festa del sacrificio”, la più grande del mondo islamico che commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì con un montone il figlio che Abramo stava per offrirgli in sacrificio. La vigilia della festa gli uomini uccidono un agnello secondo le regole della religione islamica, nda).

Le amministrazioni comunali dei paesi circostanti si sono fatti vive in qualche modo?
R: Comuni? No, non è venuto nessuno. A parte voi eh eh eh (Sabri s’interrompe e mentre ci pensa su, scade in una gran risata). Anzi, quando s’interessa qualche associazione privata (come l’AATT, Asociacion de Apoyo a los Trabajadores Temporeros, nda), il comune collabora a dei progetti. Come quello dell’insegnamento dello spagnolo alle donne marocchine e il rilascio di un attestato di partecipazione al termine delle lezioni. E un altro è un corso di manipolazione alimentare, mi sembra.

E come ti sembrano le donne, soddisfatte?
R: Molte donne sono entusiaste dei corsi, basta poco per esserlo.
Immagina, lo ripeto, gran parte di esse hanno vissuto giorno e notte nei campi per tutta la propria vita, poche di loro hanno avuto la fortuna di frequentare la scuola dell’obbligo, pochissime.

Dopo la raccolta delle arance è il momento di quello delle fragole e lamponi. E poi? Chi vuol rimanere in Spagna, a cosa si dedica?
R: Noi marocchini ritorniamo a casa dopo il periodo di lavoro stagionale. Solo alcuni decidono di rimanere e vendere in strada cd, magliette, cappelli, come i manteros (i venditori ambulanti che espongono la mercanzia su teli, mantas appunto. Provengono per la maggior parte dall’Africa occidentale e non possono tornare a casa saltuariamente nda). Pochi seguono le rotazioni stagionali delle coltivazioni in giro per la Spagna. Altri temporeros, come i bulgari e i rumeni, questi sì che viaggiano, si spostano per cercare lavoro.

C’è qualche saharawi tra di voi?
R: Qualcuno è saharawi, intraprendono un lungo viaggio per venire sin qui. Il Marocco è rappresentato in tutte le sue provincie e città: Marrakesh, Fez, Agadir, Tanger, Casablanca. Da tutto il Marocco viene gente in Andalusia.

E le vostre famiglie al di là dello Stretto? Sono previste ricongiunzioni familiari, anche se temporanee?
R: Non ci vediamo mai con le nostre famiglie, a meno che qualcuno ritorni per brevi periodi di vacanza, come ho detto prima. Rumeni e bulgari credo di sì, perché fanno parte dell’Unione Europea. Per noi ciò non vale.

Sabri, lo scorso novembre migliaia di immigrati accorsi per la campagna delle olive a Jaén sono stati costretti a dormire in strada o nei portoni, rovistando nei cassonetti per trovare qualcosa da mangiare perché i centri di accoglienza non erano stati ancora aperti. Vi siete mai sentiti anche voi vittime di malfunzionamenti o oggetto di discriminazione?
R: Non avevo sentito nulla del genere riguardo agli immigrati di Jaen. Mi sembra incredibile, soprattutto per migliaia di gente così povera. Per quanto ci riguarda posso dire che fortunatamente non siamo mai stati vittima di discriminazione alcuna qui in Andalusia.

Progetti per il futuro: vorresti rimanere qui o tornare in Marocco?
R: Il mio sogno è comprare un furgone e fare la guida turistica nella mia città, Tanger. Il Marocco, ti giuro, è fantastico. Quando puoi guadagnare qui? In Marocco con un taxi puoi guadagnare bene, mio fratello è tassista, arriva a guadagnare intorno i 1500 euro al mese!
In queste condizioni sì che si può vivere una vita decente, ci si può comprare magari una casa mentre qui dovrei lavorare tutta la vita senza poterlo fare. Con un lavoro e qualche soldo in più si vive da re in Marocco!

Note:
(1) Si è calcolato che gli immigrati hanno apportato annualmente alle casse della Seguridad Social qualcosa come 8 milioni di euro e il prodotto interno lordo sarebbe stato dello 0,6% nella decada 1995-2005 se non ci fossero stati essi a far crescerli di due punti percentuali (2,6%).