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Special Report: Covid-19 e violenza ai confini lungo la rotta balcanica

La traduzione integrale del rapporto di Border Violence Monitoring Network (Aprile 2020)

La copertina del rapporto

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In questo rapporto

Il combinarsi delle restrizioni sanitarie e della violenza ai confini ha portato ad un inasprimento delle misure contro i migranti nei Balcani occidentali e in Grecia.
Dall’inizio dei blocchi e dello stato di emergenza per il COVID-19, le disuguaglianze sono aumentate per le comunità di migranti, con la limitazione ulteriore dell’accesso all’asilo, all’assistenza sanitaria, ad un alloggio adeguato e alla protezione contro brutali espulsioni collettive. Gli argomenti trattati nel presente rapporto comprendono:

– Il dispiegamento di forze militari alle frontiere e nei campi è stato uno dei tratti fondamentali della risposta al COVID-19. Questo è analizzato attraverso le proposte fatte dal governo sloveno per aumentare l’autorità dell’esercito nella zona di confine e il presidio dei campi da parte di soldati armati in Serbia.

– Lo sviluppo delle pratiche di respingimento in paesi come la Croazia rivela uno scenario inquietante, con respingimenti transfrontalieri che persistono e si adattano alla situazione di lockdown, con l’utilizzo della pittura spray per marcare gruppi di migranti e con il tentativo di nascondere la diffusione del COVID-19 tra le forze di polizia a Topusko che ha messo i migranti a rischio diretto di infezione.

– Le espulsioni collettive dai campi sono presto diventate una nuova preoccupazione per le persone presenti nei centri in Grecia e Serbia. Le misure di blocco sono state utilizzate in più occasioni come scusa per eseguire respingimenti su larga scala dai campi cittadini e dai centri che ospitano i richiedenti asilo. L’aumento dei respingimenti negli spazi istituzionali è uno sviluppo estremamente preoccupante, che mette in luce l’impunità delle autorità che hanno mobilitato lo stato di emergenza per eseguire espulsioni illegali.

– Strutture ricettive inadeguate sono una preoccupazione continua per i gruppi di migranti, luoghi privi dei mezzi di base per rispettare i protocolli sanitari necessari. Attraverso la rotta balcanica e la Grecia, la chiusura dei centri ha condotto a privazioni sproporzionate della libertà e negligenza intenzionale nel rispetto delle norme igieniche.

Introduzione

La diffusione del coronavirus (COVID-19) durante la primavera del 2020 ha rappresentato una grande preoccupazione per le persone in tutto il mondo. Il tasso di vittime e la pressione sugli ospedali hanno messo a dura prova le comunità e le istituzioni pubbliche, impegnate a rispondere alla crisi. Tuttavia, l’emergere di questa malattia altamente infettiva ha avuto un impatto ancora più pronunciato sulle comunità vulnerabili, in particolare nella risposta di stampo securitario che ha messo in moto. Questo squilibrio riflette i modelli esistenti di violenza statale applicati specificamente ai migranti, ai rifugiati e alle comunità in transito. Il rapporto esamina in profondità la convergenza tra la politica sanitaria pubblica e la spinta securitaria del regime di confine nei Balcani occidentali e in Grecia per esaminare come la sospensione dei diritti che ha colpito i migranti sia stata modellata dalla pandemia.

Dal 2017 il Border Violence Monitoring Network (BVMN) 1 registra ed è testimone dei respingimenti illegali sulla rotta balcanica. Con una banca dati di oltre 700 rapporti, BVMN ha dimostrato che questi atti fanno parte di una politica condivisa dai paesi dell’UE e da altri Stati della regione. Da quando le misure di “blocco” sono entrate in vigore a metà marzo, BVMN ha continuato a monitorare e ricevere segnalazioni di violente espulsioni collettive, confermando che i respingimenti illegali non si sono fermati, nonostante la chiusura formale dei confini. Il presente rapporto mette in discussione la tesi che considera le misure di sanità pubblica come protocolli semplicemente diretti al contenimento della trasmissione virale, e riflette invece sulla loro combinazione con le pratiche di esternalizzazione delle frontiere e con la riduzione mirata dei diritti fondamentali dei migranti ai confini nazionali e europei.

Con un’analisi specifica delle pratiche di respingimento nei Balcani occidentali e in Grecia, il rapporto esamina il modo in cui i respingimenti transfrontalieri si sono evoluti, adattati e potenziati a seguito delle risposte istituzionali alla pandemia. Il lockdown, l’isolamento, il distanziamento sociale e i dispositivi di protezione personale evidenziano il contrasto tra le esperienze dei migranti e quelle della popolazione in generale.

Oltre a questa differenza, il modo in cui la cattura, la detenzione, il trasporto e l’espulsione si sono adattati al contesto della pandemia mostra che gli attori che gestiscono i regimi di confine e di asilo hanno acquisito nuovi poteri. In molti casi la pratica dell’espulsione collettiva è persistita in tutta la regione come strumento di esternalizzazione. Il periodo del COVID-19 ha visto anche l’utilizzo di nuove pratiche come quella di dipingere i migranti con vernice spray in Croazia, o dei respingimenti dai campi cittadini in Grecia e Serbia.

Considerando la situazione in corso su più confini, il rapporto evidenzia il fatto che le autorità applicano pratiche eccezionali ai migranti. Nell’ambito delle attuali restrizioni sanitarie, la proposta di militarizzazione del confine sloveno, il presidio dei campi in Serbia e le restrizioni di movimento in Bosnia-Erzegovina hanno eroso i diritti fondamentali lungo la rotta migratoria. Questa stretta securitaria in risposta al COVID-19 fa temere per il futuro, poiché le politiche emergenziali non tardano a consolidarsi come meccanismo duraturo di controllo. All’indomani del COVID-19, se e come tali trattamenti illeciti saranno eliminati è una questione aperta: “l’emergenza non finisce mai, diventa semplicemente un contesto naturale della vita quotidiana“.

Metodologia

BVMN è un gruppo di organizzazioni di base e ONG che lavorano con l’obiettivo comune di documentare, rendere noti e sostenere la cessazione di respingimenti illegali e pratiche di violenza ai confini. BVMN utilizza un database condiviso per pubblicare testimonianze di prima mano di respingimenti documentati tramite interviste. I volontari che lavorano lungo la rotta balcanica e la Grecia applicano una metodologia di intervista comune, registrando dati cartacei (geo-localizzazioni e date), e i racconti di individui o piccoli gruppi che subiscono respingimenti.
Nell’ambito delle misure contro il COVID-19, il contatto diretto e il lavoro sul campo sono stati interrotti e sono stati raccolti solo dati parziali delle violazioni avvenute durante il periodo di lockdown. In risposta a questo BVMN ha utilizzato mezzi alternativi per registrare e monitorare i respingimenti, ad esempio interviste tramite videochiamata, social media e la raccolta di testimonianze in forma più breve. Per presentare dati aggiornati il rapporto mette insieme le informazioni delle organizzazioni partner che lavorano su vari confini nei Balcani e in Grecia, raccogliendo i loro contributi sul supporto legale, il lavoro di integrazione, la documentazione e la difesa. Attraverso questo materiale e l’inquadramento di casi specifici, il rapporto esamina gli sviluppi politici, le notizie importanti e gli eventi relativi ai respingimenti e alle condizioni di migrazione.
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Telefono rotto dalle autorità locali di Patrasso, Grecia – (Fonte: No Name Kitchen)

Definizioni

I respingimenti (pushbaks) sono espulsioni informali (senza giusto processo) di individui o gruppi verso un altro paese. Ciò è in contrasto con il termine “deportazione” (o rimpatrio forzato (ndr.), che si svolge in un quadro giuridico, e “riammissione” che è una procedura formale regolata da accordi bilaterali e multilaterali tra gli Stati. Negli ultimi cinque anni i respingimenti sono diventati una parte importante, anche se non ufficiale, del regime migratorio dei paesi dell’UE e altrove.
Persone in movimento: un’ampia fascia demografica che comprende rifugiati, migranti e altre comunità che viaggiano verso i confini e le vie di transito.

Abbreviazioni

BiH – Bosnia Erzegovina
HR – Croazia
SRB – Serbia
SLO – Slovenia
UE – Unione europea
HUN – Ungheria
MNK – Macedonia del Nord
GRC – Grecia
TUR – Turchia

Sospensione dei diritti

I cambiamenti causati dal COVID-19 si sono manifestati in modi diversi per i migranti. Ci sono stati molti sviluppi a livello politico, attraverso i processi decisionali dello Stato e dell’UE, ed altri sono stati osservati nell’applicazione informale dei respingimenti e nelle terribili condizioni di transito che questi organismi finanziano. La stretta securitaria fa da sfondo a questi cambiamenti istituzionali e informali, che derivano dal considerare la pandemia e la sua trasmissione come un’invasione. Questa narrazione permette il ricorso statale alla violenza fisica, ed è stata favorita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha posto il COVID-19 alla pari del terrorismo. La successiva fusione di mandati istituzionali ha visto organismi, come il Ministero dell’Interno in Croazia, mescolare le responsabilità alla criminalità, alla migrazione e alla pandemia in modo preoccupante. In questo stato di emergenza, i governi hanno anche arruolato i militari per gestire le misure sanitarie. Mentre l’autonomia personale e il movimento devono essere necessariamente limitati per prevenire la diffusione del virus, l’applicazione di una politica securitaria ha preso di mira in modo sproporzionato le popolazioni in transito lungo la rotta balcanica.

L’applicazione di una politica securitaria ha preso di mira in modo sproporzionato le popolazioni in transito lungo la rotta balcanica.

È utile comprendere questa azione nell’ambito di diverse sospensioni dei diritti fondamentali relative al transito, ai confini e alla protezione internazionale. Le sospensioni dei diritti sono qui esaminate come violazioni delle leggi nazionali e internazionali che preservano i diritti dei rifugiati e di altre comunità in movimento. Accanto a questa lettura giuridica le sospensioni dei diritti sono anche una modalità di repressione che opera all’interno di una rete di altre pratiche inibitorie come la sanzione delle persone senza dimora, la dispersione delle comunità abusive, le pessime condizioni di vita nei campi e altre pratiche delineate in questo resoconto.

Accesso all’asilo

L’accesso all’asilo è cambiato drasticamente da quando sono entrate in vigore le restrizioni intensive nel mese di marzo. BVMN ha già segnalato una serie di diritti che sono stati erosi, ma il procedimento adeguato per le richieste di protezione internazionale è stato ulteriormente messo alla prova negli ultimi mesi durante l’emergenza sanitaria. In primo luogo, i persistenti respingimenti ai confini continuano a negare alle persone l’accesso alla rivendicazione della protezione internazionale, con gli stati che eseguono espulsioni collettive senza considerare i singoli casi dei richiedenti. In secondo luogo, la decisione del governo di mettere in pausa o chiudere gli uffici di asilo senza alternative efficaci ha posto i migranti e i richiedenti in un limbo, esponendoli al rischio di respingimento. Quindi lo sviluppo di misure contro il COVID-19 ha permesso a paesi come la Grecia, la Croazia e l’Ungheria di limitare ulteriormente l’accesso alla protezione imposto a livello internazionale.

Libertà di movimento

Il controllo del movimento, sia internamente che ai confini, è stato favorito con il pretesto delle restrizioni per il COVID-19. Ai sensi della Convenzione di Ginevra, una persona non può essere punita per aver attraversato un altro territorio se sta tentando di chiedere asilo, eppure le misure adottate nei mesi di marzo e aprile hanno continuato a violare questo principio, indicando i migranti come fattori di rischio per la salute pubblica. Privazioni parallele della libertà si sono verificate nei campi lungo tutta la rotta balcanica, ai migranti sono state imposte ulteriori restrizioni, molto più severe di quelle affrontate dalla popolazione in generale. Ad esempio tra le restrizioni troviamo la penalizzazione di migranti senza dimora e in cerca di beni di prima necessità mediante l’imposizione di multe.

Sicurezza e assistenza sanitaria

Nel contesto della pandemia virale i diritti dei migranti sono stati sospesi sia nei campi che durante gli attraversamenti di confine. Sono state ignorate le garanzie contro l’alloggio e la detenzione in condizioni disumane con il confinamento di massa di decine di migliaia di persone nei Balcani occidentali e in Grecia. Il presente rapporto esamina in particolare l’uso di militari, polizia e personale privato per intrappolare le persone in campi sovraffollati in regime di blocco completo o coprifuoco. In questi centri la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, ai servizi di base, e ai ricorsi per lasciare questi luoghi hanno violato più leggi e sollevato domande circa la discriminazione razziale alla base dell’applicazione di misure per il COVID-19 contro i migranti. Durante i respingimenti la mancanza di screening sanitari effettivi, insieme all’uso sommario di misure detentive e trasporti di gruppo destano profonda preoccupazione.
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Fonte: No Name Kitchen

Misure UE e Schengen

Nel bel mezzo dell’escalation dell’epidemia di COVID-19, l’UE ha lanciato il piano d’azione congiunto per i diritti umani. Tuttavia, ci sono enormi differenze tra l’intenzione di questa misura e la realtà sul campo. In particolare continuano le violazioni dei diritti fondamentali da parte degli stati membri dell’UE e di paesi terzi che hanno varato accordi con l’UE in materia di migrazione, asilo e sicurezza dei confini, mentre contemporaneamente viene finanziato il sistema dei campi. Invece di assistere le comunità di migranti vulnerabili in questo periodo precario, la politica ha permesso alla maggior parte degli stati membri di erodere ulteriormente il diritto all’asilo, le procedure dovute e i diritti umani.

Il 16 marzo 2020 la Commissione aveva già formulato raccomandazioni e attuato misure riguardanti la reintroduzione dei confini interni, la chiusura di quelli esterni e la gestione comunitaria della sanità pubblica. Ciò mirava apparentemente a fermare tutti i viaggi non essenziali verso l’UE come tentativo di limitare la trasmissione virale. Anche se questo provvedimento doveva in teoria esonerare “chi ha bisogno di protezione internazionale o chi per altri motivi umanitari rientri nel principio del non refoulement“, i respingimenti ai confini esterni dell’UE hanno mostrato scarso rispetto per tali linee guida.

Gli orientamenti COVID-19 della Commissione hanno inoltre permesso ulteriori violazioni, consentendo ai funzionari di confine di “rifiutare l’ingresso a cittadini non residenti di paesi terzi quando presentano sintomi rilevanti o sono stati particolarmente esposti al rischio di infezione“. Invocare questo stato di emergenza ha legittimato controlli più severi alle frontiere durante il periodo di marzo, in particolare nei confronti delle persone che escono dagli stati di transito dove ci sono stati casi di coronavirus confermati. Inquadrando gli attraversamenti di confine come una “minaccia per la salute pubblica“, la Commissione è andata contro le sue stesse linee guida, pensate per promuovere comportamenti “non discriminatori“, implicando indirettamente che i migranti sono portatori della malattia.

Simili linee di azione sono state emanate in materia di asilo e per le procedure di rimpatrio e reinsediamento, ma ancora una volta c’è ritrosia nei confronti di richieste di iniziative di più ampio respiro, come quella della campagna “No-one Behind“, che chiede l’evacuazione delle persone rimaste bloccate in campi sovraffollati in Grecia. La Commissaria per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic ha espresso preoccupazioni per i crescenti rischi per le persone detenute o a rischio di allontanamento. Ha esortato a “rivedere la situazione dei richiedenti asilo respinti e dei migranti irregolari detenuti e a rilasciarli quando possibile“. Sebbene esistano alcuni esempi divergenti e più positivi, come la concessione dello status di cittadinanza temporanea per i richiedenti asilo in Portogallo, altrove in UE, come in Croazia e lungo le rotte greco-balcaniche, ci si è mossi verso la messa in sicurezza dei confini piuttosto che tendere alla protezione di coloro che vi sono rimasti bloccati.
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Dentro il nuovo campo di Lipa, in Bosnia Erzegovina, appena aperto e finanziato dall’UE. (Fonte: Transbalkanska solidarnost).

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Cambio governo

Marzo ha portato un doppio cambiamento in Slovenia. Oltre alle restrizioni pandemiche generali, un nuovo governo di estrema destra ha preso il potere. Il cambio di governo è stato accompagnato da cambiamenti radicali del personale in posizioni chiave. Il nuovo governo si è formato sotto la guida di Janez Janša il cui partito, SDS (Partito democratico sloveno) è strettamente allineato con il governo Fidesz d’Ungheria. Oltre ai legami politici, l’Ungheria sta anche sovvenzionando un consorzio di media conservatori dedicati alla propaganda di estrema destra e sotto il controllo diretto del partito SDS. Il nuovo Ministro dell’Interno Aleš Hojs era il direttore di NOVA24, un’organizzazione mediatica specializzata nel diffondere la paura, le teorie cospirative del tipo “Soros & ONG hanno sostenuto l’invasione dell’Europa“, e la demonizzazione generale e la criminalizzazione di migranti, attivisti e organizzazioni che lavorano sul campo. Mentre era ancora sotto il controllo di Hojs, NOVA24 ha inventato e pubblicizzato pesantemente una fake news, sostenendo che il primo paziente di COVID-19 in Italia era una persona pakistana giunta nel paese attraverso la rotta balcanica. Questo ha un peso nella narrazione dei respingimenti come misura sanitaria necessaria contro il COVID-19, giustificando la pratica di respingere gruppi in Croazia (che a sua volta espelle le persone verso la Bosnia-Erzegovina). Inoltre il governo sta usando la scusa dei tagli alla spesa per togliere fondi a organizzazioni che operano nel campo della protezione internazionale, come le ONG che forniscono assistenza legale nei campi di asilo. Si è inoltre annunciato di ridurre sostanzialmente i finanziamenti per i progetti connessi all’integrazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
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Respingimenti: Slovenia – Croazia, data: 19 aprile 2020
Tre persone richiedenti asilo in Slovenia sono state catturate nella zona di Koper dalla polizia, a un membro del gruppo ferito è stato amputato un dito. Nonostante avessero richiesto la protezione internazionale, il gruppo è stato rimandato a Bih, dove la vittima è stata medicata.

[Leggi il post di InfoKolpa].

Panoramica amministrativa

Marzo e aprile hanno registrato una diminuzione del numero di attraversamenti irregolari dei confini rispetto ai primi due mesi di quest’anno e allo stesso periodo del 2019. Il numero di persone detenute nelle stazioni di polizia a causa di attraversamenti irregolari delle frontiere a marzo e nella prima metà di aprile nel 2019 è diminuito rispettivamente del 40% e del 75%.

La tendenza alle deportazioni verso la Croazia, tuttavia, rimane costantemente elevata. Delle 1835 persone detenute tra gennaio e marzo di quest’anno, 1246 sono state riammesse dalla polizia croata. Ciò dimostra chiaramente che all’inizio del 2020, durante l’epidemia di COVID-19 e le relative restrizioni, la Slovenia ha continuato la negazione sistematica dei diritti di asilo e ha utilizzato l’accordo di riammissione con la Croazia per deportare un gran numero di persone attraverso il confine, come osservato in precedenza. Secondo questo accordo bilaterale di riammissione, una persona può essere restituita alla polizia croata dalla Slovenia se vi sono prove che abbia attraversato illegalmente il confine nelle ultime 48 ore.

Nonostante la Pandemia di COVID-19, la Slovenia continua a rimandare le persone in Croazia con piena conoscenza dell’alto rischio di tortura e di ulteriori respingimenti illegali in Bosnia Erzegovina. In questo senso, i limiti posti alle autorità che effettuano riammissioni illegali sembrano irrisori rispetto alle più ampie restrizioni sanitarie imposte alla popolazione.

Allo stesso tempo il Ministero degli Interni ha sospeso le procedure di asilo fino al primo luglio. I funzionari del ministero non accettano nuove richieste di asilo, né conducono colloqui con i richiedenti asilo o prendono decisioni nei singoli casi di asilo. Il numero di persone nei campi è nel frattempo cresciuto. A causa delle misure contro il COVID-19, il movimento nei campi è stato limitato e i richiedenti asilo possono uscire solo uno ad uno; un ulteriore riduzione della libertà di tutti quelli che sono rimasti in una situazione precaria durante la chiusura degli uffici di asilo.

Il caso di M. dal Marocco

Il caso di M. dal Marocco è un esempio del tentativo della polizia slovena di sfruttare le restrizioni per il COVID-19 per violare ulteriormente i diritti dei richiedenti asilo. Sabato 2 aprile 2020, dopo due richieste di asilo respinte, la polizia è arrivata al campo di asilo di Lubiana – Vič per portare M. al confine e deportarlo in Croazia. InfoKolpa, che sta gestendo il caso, riferisce che i funzionari non sono riusciti ad espellere M., ma sulla via del ritorno al campo, uno degli agenti di polizia lo ha tirato fuori dall’auto e ha cominciato a picchiarlo. Poiché i funzionari del campo si sono rifiutati di denunciare l’incidente, la stessa notte c’è stata una protesta di 20 richiedenti asilo. La stazione di polizia Cerknica ha presentato un’ordinanza per la detenzione di M. sulla base del fatto che “è entrato illegalmente nel paese due volte“, e quindi è a “rischio di fuga“.
La polizia ha eseguito l’ordine quattro giorni dopo. Questa azione costituisce un nuovo precedente, una criminalizzazione retroattiva per l’attraversamento, depositato entro 48 ore dal primo contatto di polizia.

Nel centro di detenzione M. ha iniziato uno sciopero della fame. Con l’aiuto di un avvocato ha presentato una denuncia a un tribunale amministrativo che ha deciso che la detenzione era effettivamente illegale, e ha ordinato che la stazione di polizia Cerknica riconsideri la detenzione. La polizia ha risposto presentando un secondo ordine di detenzione. L’ordine è stato modificato per includere che M. ha rappresentato una minaccia per la sicurezza pubblica durante la pandemia, partendo dal presupposto che ha violato il decreto sulla restrizione del movimento. Attualmente M. è ad alto rischio di espulsione in Croazia o Marocco, soprattutto perché il tribunale ha recentemente respinto il suo ricorso. Il suo caso mette in luce l’utilizzo delle misure contro il COVID-19 per demonizzare i migranti

Articolo 37a per utilizzare i militari

Nonostante la diminuzione degli attraversamenti illegali dei confini nel mese di marzo, il nuovo governo sloveno ha annunciato l’attivazione dell'”Articolo 37a” della legge sulla difesa. L’atto ha lo scopo di concedere all’autorità di polizia militare di processare i civili al confine. L’esercito è presente al confine dal 2015, quindi la priorità dell’articolo al culmine della pandemia è stata accolta con ampia preoccupazione da parte dell’opinione pubblica, soprattutto perché il nuovo governo ha apportato ampie modifiche al personale di polizia, militare e alla magistratura. L’articolo non ha ricevuto la maggioranza dei due terzi richiesta nel Comitato delle relazioni estere, a causa di un’ampia protesta pubblica, tra cui una lettera alla Commissione europea scritta da organizzazioni slovene e firmata da BVMN.
Il dispiegamento militare è già una caratteristica della rotta balcanica, a partire dal confine di Evros in Grecia. La mossa attuata dalla Slovenia per aumentare i poteri militari durante il COVID-19 è stata abbinata al posizionamento dell’esercito intorno ai campi in Serbia, elevando il ruolo delle forze di difesa come agente primario nella gestione sanitaria.

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Respingimenti: dalla Croazia alla Bosnia-erzegovina data: 6 aprile 2020
“Abbiamo bisogno di aiuto, il nostro amico è ferito”… “Ci siamo consegnati alla polizia croata”.
16 afghani sono stati respinti vicino a Basara (HR). Il gruppo ha cercato aiuto medico per un amico svenuto ma è stato espulso in Bosnia con manganelli e con il fuoco, che ha bruciato alcuni vestiti.

[Leggi il report]

I respingimenti continuano lontano dagli schermi

L’emergenza COVID-19 sta influenzando la routine quotidiana, rendendo la vita pubblica e privata radicalmente diversa da prima. Purtroppo alcune cose, come il regime di respingimenti della Croazia, rimangono le stesse. L’unica differenza è che queste violente espulsioni collettive operano in un maggiore silenzio, con l’attenzione globale preoccupata per la pandemia, e gli osservatori dei diritti umani che non sono in grado di fare monitoraggio sul campo a causa delle restrizioni sanitarie. I respingimenti e la violenza alle frontiere rimangono, come si è visto nel caso di studio sopra, con un gruppo di migranti che includeva una persona gravemente ferita e un minore espulso in Bosnia. Gli ufficiali croati hanno bruciato i loro vestiti e usato i manganelli per picchiarli, come in centinaia di casi documentati prima da BVMN. Questi atti sono andati avanti nel mese di marzo durante il culmine delle restrizioni, e c’è stato un caso nella vicina zona di Poljana documentato da un video su Facebook, che mostra un uomo ferito portato via dal confine e i poliziotti croati sullo sfondo che controllano l’area.

Queste violente espulsioni collettive operano in un maggiore silenzio, con l’attenzione globale preoccupata per la pandemia e gli osservatori dei diritti umani che non sono in grado di fare monitoraggio sul campo a causa delle restrizioni sanitarie.

Uno sviluppo relativamente nuovo nelle pratiche di respingimento è l’utilizzo di vernice spray arancione per marcare i migranti. Il monitoraggio in corso a Velika Kladusa da parte di No Name Kitchen ha raccolto nella prima settimana di maggio due casi di gruppi di migranti tornati con marcature di vernice spray.

Uno sviluppo relativamente nuovo nelle pratiche di respingimento è l’utilizzo di vernice spray arancione per marcare i migranti.

Sono proseguiti anche i respingimenti a catena dalla Slovenia attraverso la Croazia. All’inizio di marzo una famiglia, che aveva rischiato la morte nascosta sotto un carico di argilla su un treno merci, è stata trasferita da Dobova (SLO) ad Harmica (HR) dalle forze di polizia. È stata trattenuta insieme ad altre famiglie in condizioni anguste dalle autorità croate prima di essere rimandata in Serbia, senza tener conto del distanziamento fisico richiesto:

Non riuscivamo a respirare a causa della moltitudine di persone che erano lì, ed eravamo tutti sdraiati sul pavimento“.

La crescita della brutalità durante i respingimenti è preoccupante a causa della maggiore autonomia che le autorità statali si sono arrogate durante il corso della pandemia. I respingimenti sono illegali e la diffusione del COVID-19 non è una scusa per affrontare le persone vulnerabili con ancora più violenza.
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Marcature di vernice spray arancione sui gruppi di migranti respinti da HR a BiH (Fonte: NNK)

Rischio sanitario proveniente dalle guardie di frontiera

Al di là del confine della Croazia con la Serbia e la Bosnia continuano ad arrivare notizie di espulsioni violente e indiscriminate verificatesi durante l’epidemia di COVID-19 e che non mostrano alcuna preoccupazione per la salute delle persone o i diritti fondamentali. Questa negligenza è stata evidenziata anche da severe accuse di informatori della polizia di frontiera che si sono rivolti ai giornalisti dell’ONG croata Are You Syrious (AYS) – un membro chiave di BVMN. Gli incidenti in questione riguardano la diffusione del COVID-19 in una divisione di polizia ospitata in una struttura alberghiera di Topusko e incaricata di arrestare i migranti irregolari.

Sono andati a lavorare con i migranti. Sono stati in hotel per 10 giorni, utilizzando il ristorante e altre strutture insieme. Uno aveva un caso diagnosticato di COVID-19 e i suoi contatti più stretti sono stati messi in auto-isolamento, ma gli altri no. Ci sono 200 agenti in quell’hotel. Gli altri hanno continuato ad operare (con i migranti) e sono tornati successivamente alle loro stazioni di polizia. Gli ufficiali hanno paura di parlare perché hanno paura di perdere il lavoro“, ha detto un informatore.

Secondo le informazioni analoghe di un operatore sanitario interessato, e confermate dalle informazioni raccolte da un giornalista croato fidato, AYS ha contattato il difensore civico croato con una richiesta di indagine.
È risaputo che per supportare l’apparato di respingimento illegale della Croazia, gli alberghi nella zona di confine (come la contea di Lika-Sinj) vengono impiegati come caserme improvvisate per centinaia di ufficiali arruolati da tutto il paese. Le nuove accuse relative a un sito simile a Topusko mostrano una grave condotta, con i migranti costretti nel Cantone Una Sana in Bosnia Erzegovina a rischio enorme di contrarre il COVID-19.
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Topusko (HR) contrassegnato dal quadrato rosso, gli altri punti indicano le posizioni di respingimento (Fonte: BVMN)

Asilo, detenzione e status precari

Le prime misure restrittive in Croazia relative al COVID-19 sono state attivate all’inizio di febbraio 2020, come il distanziamento fisico di due metri e le regole di disinfezione di base. I centri di accoglienza per i richiedenti asilo, che si trovano a Zagabria e Kutina hanno temporaneamente limitato l’accesso alle strutture, aumentato i segnali sui pavimenti e le forniture igieniche, e hanno messo i residenti sotto controllo medico. Solo la Croce Rossa e Medicine du Monde possono continuare a lavorare all’interno e informare le persone sulla situazione attuale della pandemia. Nel frattempo tutte le altre attività sono state sospese o spostate online. Il Centro per gli studi sulla Pace e Are You Syrious continuano a lavorare a distanza insieme ad altre organizzazioni che sostengono i bambini con i compiti a casa tramite whatsapp; forniscono assistenza legale gratuita e sostegno psicosociale tramite telefonate ed e-mail.

Un caso proveniente dal centro d’asilo di Zagreb riguarda un rifugiato siriano rimpatriato dall’Austria in Croazia secondo la normativa Dublino, e poi isolato come potenzialmente malato di COVID-19. Di conseguenza è stato messo in quarantena nel centro di detenzione di Ježevo. Secondo organizzazioni che hanno riportato la faccenda all’Agenzia per i diritti fondamentali (FRA), tutto è successo perché non esistevano adeguate misure di isolamento e l’individuo non aveva autodisciplina per quanto riguarda l’autoisolamento. Il suo caso è stato riportato con due articoli media xenofobi e solleva preoccupazioni circa l’uso della detenzione come risposta predefinita all’infezione all’interno della comunità dei rifugiati. Mentre il Ministro della Salute Vili Beroš ha confermato che il trattamento ospedaliero per tutti i pazienti di coronavirus in Croazia sarà gratuito, altri sviluppi hanno messo in luce un sistema a due livelli continuo per quanto riguarda i rifugiati e i migranti durante il COVID-19.

Un esempio eloquente è la recinzione perimetrale fissa allestita a Zagreb, fuori dal centro di asilo di Porin, nel mese di marzo. Come riportato dall’iniziativa Welcome! la recinzione era stata pianificata in precedenza (ed è costata 693.000 HRK). Eppure, considerando il panico psicologico e una miriade di informazioni diffuse sul COVID-19, questa recinzione, e il momento in cui è stata costruita, ha creato ancora più confusione, divisione e intolleranza.
Sul sito web komunal.org, i residenti di Porin hanno pubblicato una lettera in cui si afferma: “la minaccia per la salute ha stabilito uno stato di emergenza, un’opportunità ideale per distrarre dalle politiche repressive e restrittive attuate sullo sfondo“.

Il Ministero dell’Interno ha annunciato, con la legge sugli stranieri, la decisione di sospendere le misure contro gli stranieri con soggiorni a breve termine. Tuttavia, lo status non è chiaro per i gruppi più vulnerabili coinvolti nella situazione attuale: le persone le cui rivendicazioni di protezione internazionale sono state negate e a cui è stato ordinato di lasciare la Croazia, le persone che hanno risieduto in Croazia in base alle quote di lavoro o ai permessi di soggiorno e di lavoro e si trovano ora in uno status irregolare e senza lavoro. Queste persone non hanno la possibilità di lasciare la Croazia, ma non hanno neppure un tetto garantito sopra la testa, l’assistenza sanitaria o un’esistenza assicurata. Un’ulteriore incertezza la affrontano quelle persone la cui richiesta di protezione internazionale è stata respinta. Da un lato essi hanno ricevuto l’ordine di lasciare il paese, e dall’altro sono bloccati in Croazia senza un posto dove alloggiare per la durata della pandemia. Queste e molte altre situazioni critiche sono state sollevate contro il Ministero degli Interni, che deve ancora mostrare la sua responsabilità al riguardo.

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Polizia che espelle persone che dormono in uno stadio di calcio a Bihac (Fonte: USKinfo.ba).

Restrizioni al movimento e LIPA

Il 16 marzo 2020, “una completa restrizione alla circolazione dei migranti al di fuori dei centri temporanei” è stata ordinata dal personale di crisi del Ministero della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali del Cantone di Una Sana (USK). Alla fine di aprile sono stati confermati in BiH 1.531 casi di COVID-19 e 60 decessi. Tuttavia, secondo i funzionari dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e del Danish Refugee Council (DRC) intervistati da BVMN, non sono stati registrati casi confermati nei centri di accoglienza di richiedenti asilo o migranti. Sono state però isolate 45 persone che presentavano sintomi, e 24 che presentavano sintomi “simil” COVID-19 (in Bira e Lipa). Più di 700 persone in totale sono state messe in isolamento preventivo per essere monitorate, tra cui 500 persone appena registrate o respinte.

Il COVID-19 ha portato a ulteriori restrizioni sui diritti, in particolare per i migranti bloccati in Bosnia, come accennato in questo articolo di Biltern:
Più di 5.000 persone sono state trattenute nei centri temporanei di accoglienza per rifugiati. Tra questi ci sono circa 500 minori non accompagnati e diverse centinaia di bambini con famiglie. Anche persone bisognose di cure speciali, pazienti, vittime di torture, membri della popolazione LGBTQ, persone con disturbi mentali, vittime di violenza domestica sono stati rinchiusi nei campi finanziati dall’UE“.

I ministeri dell’Interno cantonali si assicurano il rispetto delle misure di contenimento, con agenti di polizia distaccati di fronte a ciascun centro. Lo stato di emergenza dà a questi ufficiali “il diritto di costringere fisicamente le persone che cercano di lasciare i centri a tornare dentro“, con un aumento del livello di coercizione, usata sempre in misura maggiore dalla polizia dell’USK.

All’inizio di aprile la polizia di Sarajevo ha annunciato misure parallele per quanto riguarda l’allontanamento delle persone dalle strade. Nel frattempo in USK le prime centinaia di persone che vivevano abusivamente e in alloggi improvvisati sono stati trasportati al campo di nuova costruzione di Lipa 2. Gli arrivi devono essere isolati per 14 giorni come misura preventiva. Sfratti e rimozioni dai luoghi pubblici non sono un nuovo modello in USK, ma secondo il sindaco di Bihac, Suhret Fazlic, “spostare queste persone nel nuovo centro permetterà di monitorare meglio la loro salute e la sicurezza“.
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Tuttavia BVMN ha ricevuto segnalazioni di trasferimenti meno accomodanti, come sostenuto da un uomo afghano ancora bloccato all’interno del campo di Lipa: “All’inizio due agenti di polizia ci hanno portato in un piccolo furgone, poi hanno iniziato a picchiarci con un bastone, poi ci hanno tirati su e picchiati di nuovo, ma questa volta con una maschera sul volto e ci hanno portato al furgone più grande dove c’era l’esercito. Alla fine ci hanno portato col furgone vicino Lipa“.

Sembra che l’obiettivo citato non sia coerente con le misure adottate, esponendo le persone a ulteriori danni e violenze piuttosto tendere alla salvaguardia della loro salute. La mancanza di supervisione nelle zone di isolamento a Lipa, a causa dell’insufficiente aumento del personale, impedisce anche un adeguato monitoraggio in quelle aree, secondo il personale che lavora per la RDC.

La difficoltà di seguire quelli per cui è previsto l’isolamento preventivo o sintomatico è anche una conseguenza dei continui trasferimenti di massa di persone da luoghi disparati in un unico campo, e questo mostra come misure presumibilmente preventive aumentino effettivamente il rischio di trasmissione. I campi stanno ora “dando alloggio a quasi il 20 per cento in più di migranti e rifugiati rispetto a prima dell’epidemia di coronavirus” secondo InfoMigrants.

All’interno dei campi già sovraffollati le condizioni sanitarie richiedono ulteriori investimenti: “Secondo i volontari che ricevono richieste di aiuto ogni giorno, ai centri mancano prodotti alimentari e per l’igiene“, così come “l’accesso all’acqua corrente“. Se sono stati apportati miglioramenti in termini di impianti idrici e igienico-sanitari a Lipa, visto che l’OIM ha aumentato il numero di docce disponibili, c’è ancora bisogno di migliorare l’approvvigionamento di acqua calda e di garantire una distribuzione regolare di kit per l’igiene, così come di vestiti puliti. Poiché molte persone sono state trasferite da edifici abbandonati e da altri luoghi all’aperto, dove non avevano accesso a tali servizi, questa è una necessità urgente evidenziata dalle ONG internazionali che vi lavorano. In questo periodo, la maggior parte delle ONG locali e internazionali ha il divieto di entrare nei campi.

L’isolamento forzato e l’inattività privano molti residenti dei campi di informazioni e sostegno. Médecins du Monde’s Minds on the Move Integral Support Center continua a fornire accesso virtuale tramite Facebook e linee telefoniche in arabo, farsi e urdu. In un momento in cui molti servizi sono forniti da remoto, c’è una grande necessità di migliorare la connessione internet nelle strutture del campo, come a Sedra, dove l’accesso rimane carente o insufficiente.

Per le persone che vivono al di fuori dei campi la situazione indotta dal COVID-19 è resa ancora più difficoltosa a causa delle barriere del sistema sanitario in Bosnia Erzegovina – come esemplificato in un recente caso di respingimento in cui non erano disponibili ambulanze per aiutare un gruppo ferito nella zona di Trzac della USK. In questo contesto i respingimenti destano ancora più preoccupazione per il transito e l’accoglienza di cui Croazia e Slovenia sono fortemente responsabili. Le persone rimpatriate con questi mezzi violenti e informali affrontano condizioni di alloggio precarie, come testimoniano la situazione a Lipa e i respingimenti a catena dalla Slovenia del 25 marzo 2020, dove gruppi di migranti sono dovuti salire al campo di Miral a causa del sovraffollamento. I respingimenti incontrollati fanno da sfondo all’attuale conflitto in Bosnia Erzegovina, dove le condizioni dei migranti sono ulteriormente peggiorate durante l’epidemia di COVID-19.

Tensioni e messa in sicurezza nei campi

Il deterioramento della situazione nei campi accresce inevitabilmente le tensioni, una reazione naturale al confinamento, all’isolamento e alla mancanza di comunicazione. Di conseguenza, la limitazione della circolazione ha indotto relazioni più conflittuali in quelli che oggi sono alloggi immensamente sovraffollati. Nel campo di Blazuj il 13 aprile 2020 è scoppiata una massiccia rivolta che ha coinvolto circa 400 persone, molti sono rimasti feriti, e hanno richiesto assistenza medica. Nel mese di marzo sono scoppiate proteste più lievi nella sezione minori di Bira, mettendo in mostra come le condizioni di vita imposte a migliaia di persone in movimento in Bosnia siano del tutto insostenibili.

Dall’inizio del digiuno del Ramadan le persone aspettano diverse ore per ricevere la cena, il loro primo pasto della giornata, e proprio questo è stato uno degli elementi chiave che ha innescato il conflitto a Bira. Secondo la ONG italiana IPSIA, altre frustrazioni includono l’incapacità delle persone “di acquistare il cibo che piace loro o ricaricare i crediti telefonici o acquistare sigarette“.

Anche i bambini (il numero selezionato di minori che ricevono l’istruzione) hanno difficoltà ad adattarsi alle modalità di istruzione, già limitata a piattaforme online che sono a malapena accessibili a causa dei problemi con la connettività Internet. Nel frattempo tutti i gruppi nei campi sono influenzati dalla mancanza di accesso all’esterno, che causa profonda tensione mentale e fisica.

Le rivolte a causa del confinamento in corso sono terminate con la morte di un uomo che risiedeva nel campo di Ušivak a Sarajevo, sollevando preoccupazioni importanti circa l’uso della sicurezza privata per mantenere quelle che sono effettivamente delle prigioni. Quello che Peter Van der Auweraert, capo regionale dell’OIM, ha descritto come “una lotta tra due gruppi nazionali“, è stato contestato da rapporti della famiglia del defunto che dichiarano che egli è stato attaccato da una guardia di sicurezza.

Questa non è la prima accusa del genere ad essere rivolta alle società di sicurezza private presenti nei campi dell’OIM 3.

Mentre le notizie si concentrano sui tassi di mortalità legati al COVID-19, poco si dice delle condizioni potenzialmente fatali che le persone nei campi affrontano a causa della presenza di personale armato con manganelli e taser. L’analisi dell’aumento della violenza domestica durante il COVID-19 si lega in modo intuitivo con questa minaccia di aggressione a porte chiuse, ed è ora una realtà quotidiana per i residenti del campo in tutta la Bosnia Erzegovina.

Sebbene la Commissione Europea abbia annunciato di voler destinare altri 4,5 milioni di aiuti umanitari per far fronte all’epidemia di COVID-19, sembra che sia troppo tardi per le migliaia di persone bloccate in Bosnia. Inoltre dovranno essere sollevate domande sulla responsabilità dei partner attuatori destinatari di tali fondi alla luce delle cattive condizioni e del comportamento violento della sicurezza privata nelle strutture gestite dall’OIM.
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Respingimenti: Serbia – Grecia, Data: 3 aprile 2020
“Dicono: ‘Andate, andate’, con le pistole”
Un gruppo di 16 persone è stato preso dal campo di Tutin dalla polizia che gli ha detto che sarebbero stati trasferiti in un nuovo campo per ragioni di prevenzione dal virus. Nove ore dopo sono stati espulsi collettivamente oltre il confine vicino a lojane. (MNK).
[Leggi rapporto]

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Due poliziotti perquisiscono i residenti del campo, Serbia. (Fonte: BVMN)

Respingimenti continui

I respingimenti verso la Serbia e i continui rischi posti dalle rotte di transito precarie fuori dal paese sono perdurati durante tutta la pandemia. Al confine con la Croazia sono stati segnalati respingimenti nella zona di Tovarnik/Sid, e nel frattempo al confine orientale con la Romania l’annegamento di un gruppo che tentava di attraversare il Danubio è un promemoria appropriato dei rischi fatali affrontati dai migranti.

Oltre alle espulsioni sono andati avanti anche i respingimenti dalla Serbia alla Macedonia del Nord. È particolarmente preoccupante che questi vengano eseguiti durante lo stato di emergenza dichiarato dallo Stato serbo.

Un caso esemplare pubblicato da BVMN in aprile dimostra come il pretesto delle misure sanitarie sia usato come mezzo per effettuare repressioni violente. Gli intervistati hanno raccontato come solo poche settimane prima si trovassero nel centro di Tutin (SRB) con carte del campo valide. Il 3 aprile 2020 sono arrivati dei poliziotti con le maschere e hanno ordinato un trasferimento di massa, informando il gruppo che sarebbero stati portati a Preševo come misura di precauzione sanitaria. Sono stati spinti verso l’area di Preševo, ma invece che al campo, il gruppo è stato portato al confine con la Macedonia del Nord e mandato indietro a colpi di pistola – “ci siamo ritrovati al confine“.

Durante lo spostamento, i migranti, tra i quali vi era un minore, raccontano che gli ufficiali li hanno stipati in un furgone per nove ore senza alcuna sosta, andando contro ogni protocollo di distanziamento sociale. Oltre alle implicazioni per la salute, è significativo che le persone ospitate a Tutin possano essere respinte, visto che il campo in questione è uno dei cinque centri di alloggio per i richiedenti asilo in Serbia.

I respingimenti, che tradizionalmente si sono rivolti a comunità abusive informali, hanno trovato un punto d’appoggio sempre maggiore all’interno degli spazi istituzionali, illustrando il crescente stato di eccezionalità che devono affrontare le persone in Serbia, sempre più a rischio di violente espulsioni collettive.
In questo caso recente, il gruppo è stato poi arrestato dalle autorità macedoni del Nord e successivamente rimandato in Grecia, il che rispecchia esperienze già osservate in precedenza. Alcune delle persone che sono finite in Grecia e in Macedonia non erano mai state nel territorio da quando erano arrivate in Serbia attraverso la Turchia e la Bulgaria.

Gli avvocati di Klik.Activ notano che l’utilizzo di circostanze eccezionali per “giustificare” i respingimenti è una tendenza simile al comportamento portato avanti dallo stato serbo durante la chiusura apparente della rotta. Essi sostengono che l’applicazione di respingimenti come meccanismo per alleggerire la capacità nei grandi centri si sovrappone all’attuale tendenza legata al COVID-19.

Violenza e messa in sicurezza nei campi

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Autorità serbe in attrezzatura antisommossa nel campo di krnjaca (Fonte: APC)

Da quando il presidente serbo Vucic ha emesso lo stato di emergenza in Serbia il 15 marzo 2020, i rifugiati e i migranti non sono stati autorizzati a uscire dai centri di transito e di asilo a meno che non abbiano bisogno di richiedere cure mediche o posseggano un permesso speciale. Il divieto si applica anche a coloro che entrano nei campi, quindi la maggior parte del personale delle organizzazioni per i diritti umani e delle ONG non può entrare nelle strutture. Nel caso in cui una certa persona riesca a lasciare il campo senza un permesso, vi è il rischio di illecito o responsabilità penale.

La ricerca di rifugiati e migranti che vivono in alloggi informali si è intensificata dopo questa dichiarazione, con persone arrestate e poi portate in diversi campi in tutto il paese. La dichiarazione dello stato di emergenza ha portato anche ad una maggiore presenza militare nei campi di tutto il paese.

In Serbia la limitazione del movimento nei centri di transito e di asilo ha provocato un deterioramento della situazione caratterizzata dall’isolamento delle comunità in transito, da una maggiore spinta securitaria da parte dello Stato e da un aumento degli incidenti violenti all’interno dei campi ora in stato di blocco.

In risposta alla crisi imposta dal COVID-19, da marzo il governo serbo ha anche temporaneamente istituito o riaperto tre campi – Morović, Subotica e Miratovac. Questi campi sono stati rapidamente affollati dai nuovi arrivi e da migranti che il governo serbo ha trasferito da altri campi per gestire il sovraffollamento e contenere i “piantagrane“.

Simile alla tendenza che si osserva in Bosnia, in Serbia la limitazione del movimento nei centri di transito e di asilo ha provocato un deterioramento della situazione caratterizzata dall’isolamento delle comunità di migranti, da una maggiore spinta securitaria da parte dello Stato e da un aumento degli incidenti violenti all’interno dei campi ora in stato di blocco. Il 10 aprile 2020 le Forze Speciali sono state dispiegate nel campo di Krnjača fuori Belgrado e, secondo quanto riferito, hanno spostato diversi autobus pieni di persone nel campo di Morovia, nella parte occidentale del paese.

Le riprese video dall’interno di Krnjača, che mostrano persone ferite in questi attacchi, sono un promemoria chiave dei poteri aggiuntivi esercitati dalle autorità durante le misure di blocco. Altrove, nel mese di aprile, il personale militare ha sparato colpi di avvertimento durante momenti di agitazione nei campi di Obrenovac e Adasevci.

Ulteriori disordini causati dalle frustrazioni per il contenimento e la mancanza di servizi sono stati segnalati a Preševo e Principovac. Il presidio dei siti di alloggio e l’uso della violenza da parte della polizia, che ha allontanato le persone verso luoghi che non sono stati resi noti, evidenzia l’approccio armato del governo serbo alla crisi sanitaria. Mentre la Serbia lavora per alleggerire i controlli sanitari avviati nel mese di marzo, rimangono punti interrogativi sul persistere di questa ondata di violenza estrema, anche dopo la conclusione dello stato di emergenza il 6 maggio 2020.
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Respingimenti da Salonicco

Le pratiche di respingimento in Grecia sono già ben sviluppate, compresa la militarizzazione del confine terrestre di Evros e l’attività della guardia costiera ellenica nel Mar Egeo. Tuttavia, da quando sono iniziate le restrizioni per il COVID-19 a metà marzo, le autorità greche hanno intrapreso ulteriori ed espansive espulsioni collettive dai siti all’interno nella terraferma, andando ben oltre le pratiche comuni di sicurezza dei confini che prendono di mira le persone in transito (viaggi a piedi e in veicolo attraverso il confine).

BVMN ha recentemente pubblicato diversi casi che hanno evidenziato la rimozione e l’espulsione collettiva dei residenti nel campo profughi di Diavata vicino a Salonicco. Queste comunità, accampate in una sezione extra a causa della mancanza di spazio nel sito, descrivono come gli ufficiali greci li abbiano allontanati con la promessa di emettere documenti per regolare temporaneamente il loro soggiorno. Invece, più testimonianze parlano dell’uso della detenzione e della violenza, ad esempio di attacchi con i manganelli, e del respingimento attraverso il fiume Evros da parte dell’esercito greco in Turchia.

In un video proveniente da Diavata e pubblicato per la prima volta da Are You Syrious, si può vedere la polizia che preleva delle persone dal campo con un furgone bianco.

Secondo i rapporti di BVMN, almeno 194 persone sono state espulse in autobus da fine marzo dal campo di Diavata e dal Centro di pre-rimozione di Drama Paranesti. Parlando con le persone respinte, che ora si trovano a Istanbul e Erdine (TUR), i giornalisti hanno scoperto che molti avevano documenti temporanei. Spesso questi erano scaduti, ma avrebbero dovuto essere rinnovati dalla polizia, visto che i richiedenti non possono fare domanda di asilo a causa della chiusura prolungata del Servizio greco di asilo alla luce delle restrizioni per il COVID-19.

Gli stessi respingimenti sono intrinsecamente illegali per la loro applicazione sommaria, l’uso della violenza e la mancanza di una cornice legale che regoli le riammissioni 4. Tuttavia, l’espulsione di persone con documenti temporanei che consentono il loro soggiorno in Grecia, e il rifiuto della polizia di rinnovare i loro documenti una volta scaduti quando le domande di asilo non possono essere presentate, aggiunge un altro livello di pratica illecita. Ciò legittima la critica rivolta allo stato greco relativa all’utilizzo delle misure per il COVID-19 come un’opportunità per estendere gli attuali modelli di repressione osservati all’inizio di marzo.

L’espansione dei respingimenti alle comunità dei centri urbani ha preso di mira molti nuovi arrivati che hanno raggiunto città come Salonicco quando l’accesso all’asilo era stato formalmente sospeso dal governo greco. Il respingimento di questi gruppi disegna un collegamento preoccupante tra l’assalto ai diritti fondamentali iniziato durante lo stallo vicino a Erdine (TUR) e l’avanzamento dei respingimenti transfrontalieri durante la pandemia.
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Respingimenti: Grecia – Turchia, Data: 16 aprile 2020.
Un giovane afghano, uno dei 50 individui respinti dal campo di Diavata vicino a Salonicco, è stato portato all’area di confine, trattenuto dal personale militare greco e picchiato coi manganelli. Dopo l’attacco, i migranti sono stati caricati su dei gommoni e portati in Turchia attraverso il fiume.
[Leggi rapporto]

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Documento temporaneo valido di una delle persone respinte. (Fonte: BVMN)
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Infortunio ai polsi subito in un attacco con manganello da parte delle autorità greche (Fonte: BVMN)

Multe imposte ai migranti

Una serie di misure relative al COVID-19 sono state imposte ai rifugiati e ai migranti in Grecia. Quelli nei campi della Grecia continentale e ospitati nelle aree urbane dovevano seguire le stesse misure della popolazione locale: spostamenti controllati per motivi specifici (ad esempio la spesa, visite mediche, esercizio fisico), giustificati attraverso forma scritta o un messaggio di testo.

Gruppi di migranti senzatetto nell’area urbana di Salonicco o accampati fuori dal campo di Diavata si sono trovati nella situazione impossibile di dover soddisfare le loro esigenze mentre allo stesso tempo rischiavano di essere multati. Numerosi senzatetto hanno ricevuto multe di 150 euro, alcuni più volte, per non aver scritto un messaggio adeguato. Tra loro c’erano anche senzatetto che sono stati multati per non aver indicato un indirizzo di residenza, nonostante avessero spiegato la loro situazione agli agenti.

Numerosi senzatetto hanno ricevuto multe di 150 euro, alcuni più volte, per non aver scritto un messaggio di testo adeguato.

Né il governo né i comuni locali hanno intrapreso azioni in merito alle ammende inflitte ai senzatetto in tutta la Grecia, né nella zona di Salonicco. Mentre il pagamento delle multe non può essere applicato a persone senza un codice fiscale, caso che riguarda la maggior parte dei gruppi interessati, una volta che avranno presentato una domanda di asilo e saranno in possesso di un’identificazione valida, avranno il diritto di avere un codice fiscale e quindi saranno soggetti all’ammenda.

Detenzione durante la pandemia

Un certo numero di importanti organizzazioni di salvaguardia dei diritti umani e attori del settore hanno invitato gli Stati membri dell’UE a rivedere le loro politiche in materia di detenzione dei migranti alla luce della pandemia del COVID-19.

Tuttavia, in Grecia la tendenza sembra muoversi nella direzione opposta. La relazione di febbraio di BVMN includeva un briefing sugli aumenti degli arresti di massa, indipendentemente dalla fase del processo di asilo, in particolare mirato alle popolazioni di senzatetto delle città. Questa pratica è diventata incontrollata durante il periodo del blocco nazionale e, con essa, c’è stata una maggiore repressione dei gruppi di migranti.

Negli ultimi mesi ci sono stati aggiornamenti dall’interno del Centro di detenzione pre-respingimento di Drama Paranesti e dal centro di detenzione di Amygdaleza ad Atene che documentano il peggioramento delle condizioni per i detenuti. Gli intervistati all’interno di entrambe le strutture descrivono la mancanza di servizi di base come acqua corrente, docce o sapone. Condizioni anguste e sovraffollate, fino a 13 detenuti ospitati in una roulotte con una toilette, di solito non funzionante.

Le richieste di servizi migliori sono accolte con violenza da funzionari e polizia antisommossa. Inoltre, ci sono state lamentele sul fatto che non vengano prese precauzioni speciali per il COVID-19; i residenti hanno condiviso con i giornalisti di BVMN che le persone malate non vengono isolate e vengono etichettate come aventi “l’influenza“. Questi racconti sono in linea con le notizie che giungono dalle isole: condizioni sovraffollate a Moria, 1.300 residenti, condizioni sanitarie e alimentari fortemente limitate. Uno sciopero della fame dei detenuti a Paranesti in risposta alla mancanza di disposizioni di base è stato accolto con il brutale intervento della polizia antisommossa greca, che simboleggia chiaramente la risposta istituzionale al bisogno materiale delle comunità dei rifugiati e dei migranti.

È chiaro che, a differenza della risposta del Portogallo di trattare tutti i migranti privi di documenti come normali cittadini durante questo periodo, l’approccio greco rappresenta un’intensificazione dei modelli ben consolidati di repressione e violenza in mare e nelle regioni terresti. Ci sono state persino notizie che informano di grandi gruppi prelevati dai centri di detenzione pre-respingimento, in particolare Paranesti, e respinti collettivamente attraverso il confine turco. Piuttosto che azioni prese nonostante i rischi per la salute pubblica, la combinazione tra la repressione dei diritti e i respingimenti mostra una traiettoria intenzionale seguita durante il COVID-19, nella quale lo Stato greco ha permesso restrizioni più ampie per gestire con ulteriore impunità il sistema di detenzione.

Le isole Egee

Nei mesi di marzo e aprile le misure per il COVID-19 hanno avuto un impatto osservabile sugli hotspot delle isole dell’Egeo e sull’esercizio dei respingimenti in mare. Mare Liberum, una nave di monitoraggio nella zona di Lesbo ha riferito che il campo di Moria, come molti altri campi sulle isole, è sovraffollato. Le condizioni igieniche sono terribili e le misure di prevenzione contro il COVID-19 insufficienti per impedire la trasmissione.

L’evacuazione di una piccola minoranza è stata effettuata troppo lentamente, e la maggior parte dei residenti e dei nuovi arrivati viene lasciata esposta al virus dall’incuria del governo greco, soprattutto perché l’assistenza esterna di ONG e attivisti è stata limitata.

Nessuna nave di controllo civile è ammessa nel Mar Egeo durante le attuali restrizioni. In base a questa sospensione forzata, la copertura ufficiale delle statistiche sugli arrivi ha sollevato preoccupazioni di sparizioni e respingimenti. Funzionari greci non hanno registrato sbarchi nel periodo da metà aprile alla prima settimana di maggio, un’impresa discutibile, che secondo Mare Liberum non si verificava dal 2015.

Nonostante questo offuscamento, sono stati girati filmati di due barche con migranti arrivati a Samos, ‘scomparsi‘ dopo l’arrivo: questo ha sollevato domande sulla loro possibile detenzione e respingimento illegale in Turchia.

Si presume che altre persone scomparse abbiano subito un respingimento illegale per mano della Guardia costiera ellenica il 30 aprile 2020. Almeno dieci persone sono arrivate a Chios e sono state poi mandate in un luogo sconosciuto. Più tardi, un numero simile di persone è stato soccorso dalla Guardia costiera turca.

Questi sviluppi si adattano a un modello coerente applicato durante il periodo del COVID-19 e si collegano ai respingimenti e alle sparizioni di persone provenienti da Diavata e Paranesti sulla terraferma. L’intensificarsi dei respingimenti irregolari è stato accelerato dallo stallo con la Turchia nel periodo di marzo, ma da allora le autorità greche hanno utilizzato le misure di blocco per nascondere al pubblico ulteriori espulsioni.

Frontex

Il ruolo di FRONTEX durante la pandemia di COVID-19 è un esempio eloquente dei poteri concessi agli organismi di sicurezza che lavorano nelle zone di confine esterne.
L’Agenzia europea delle frontiere aveva già accresciuto le sue forze, aggiungendo altre 100 guardie di frontiera nella regione greca di Evros all’inizio di marzo, in risposta al movimento di migliaia di persone al confine turco-greco. In aprile, nel bel mezzo delle misure generali di blocco, l’Agenzia si è impegnata a prolungare i suoi dispiegamenti in Grecia, sostenuta dalla maggior parte degli stati che hanno inviato le forze armate e che ora hanno all’attivo 624 funzionari.

L’invio di ulteriore personale nel mese di marzo è stato organizzato attraverso un intervento rapido alle frontiere (RABIT), il meccanismo di risposta rapida di FRONTEX. Questo è stato elogiato dal direttore esecutivo Fabrice Leggeri come un esempio chiave di come gli stati membri potrebbero mobilitare le forze di polizia, un potere riflessivo che è stato rafforzato dalla formazione di un nucleo permanente di 10.000 agenti.

Anche se l’implementazione di RABIT sarebbe dovuta scadere il 3 aprile 2020, a causa del COVID-19 questa misura temporanea è stata radicata, segnando una transizione graduale tra l’azione di emergenza e una politica duratura. FRONTEX ha recentemente rilasciato la sua analisi dei rischi per il 2020, collocando il suo impegno più intenso nel periodo dell’epidemia.

Questo crescente impegno di forze è andato avanti nonostante le molteplici relazioni di BVMN e di organizzazioni come Amnesty International, che indicano che nel mese di marzo ci sono state gravi violazioni dei diritti umani all’interno delle aree operative di FRONTEX al confine terrestre e marittimo greco. È stato proprio durante questo periodo che sono state dispiegate 100 guardie di frontiera supplementari a Evros e sono state intraprese iniziative nel Mar Egeo.

In aprile BVMN è stato avvisato di un possibile coinvolgimento dei funzionari di FRONTEX; i giornalisti hanno parlato con una persona che è stata respinta dalla Grecia alla Turchia. Ha dichiarato di aver subito sette respingimenti attraverso questo confine negli ultimi mesi. In particolare ha anche fatto riferimento alla presenza della “polizia italiana e tedesca” durante uno dei respingimenti. Ciò è importante in quanto gli ufficiali di FRONTEX indossano l’uniforme nazionale del loro stato di invio quando sono in servizio.

In un momento in cui l’Agenzia è implicata in casi di sospensioni dei diritti al confine di Evros, la sua presenza in Grecia fornisce un inquietante resoconto dell’azione dell’UE durante la pandemia. FRONTEX descrive l’assistenza alla Grecia come un’azione di sostegno attuata “nonostante le difficoltà causate dall’epidemia di COVID-19“.

Tuttavia, in linea con la militarizzazione in corso e le violazioni dei diritti osservate lungo la rotta balcanica, il dispiegamento continuato potrebbe essere meglio inteso come intimamente legato alla pandemia. Nell’ambito dell’invito dell’UE e delle istituzioni internazionali a rendere i confini più rigidi, l’installazione permanente di organismi come FRONTEX è stata realizzata attraverso il pretesto del COVID-19.
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Ufficiali tedeschi e danesi arrivano ad aprile in Grecia (Fonte: FRONTEX)

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Respingimenti: Macedonia del nord – Grecia, Data: 22 aprile 2020
“Vogliono ucciderci, vogliono ucciderci” il testimone è stato medicato in Grecia per una frattura al braccio dopo un severo pestaggio dalla polizia macedone. Agenti mascherati li hanno colpiti con manganelli e spinti indietro forzatamente attraverso il confine.
[Leggi rapporto]

Il 17 marzo 2020 la Macedonia del nord ha annunciato la chiusura di tutti i suoi valichi di frontiera in risposta allo scoppio del COVID-19. Due giorni dopo il presidente Stevo Pendarovski ha dichiarato lo stato di emergenza, provvisorio per 30 giorni e successivamente prorogato per un altro mese. Queste misure comprendono orari rigorosi di coprifuoco e l’uso obbligatorio di mascherine in luoghi pubblici in cui non è possibile mantenere una distanza di sicurezza di due metri. Queste norme sono particolarmente difficili da rispettare per i migranti, in quanto essi hanno accesso limitato alle mascherine ed è quasi impossibile per loro rispettare il coprifuoco non avendo una dimora fissa.

Nonostante le chiusure dei confini, BVMN ha registrato quattro casi di respingimenti dalla Macedonia del nord alla Grecia nel mese di aprile, alcuni dei quali facevano parte di una più ampia rete di espulsioni dalla Serbia.

Il primo ministro Oliver Spasovski ha annunciato il proseguimento dell’approccio di “tolleranza zero” della Macedonia del nord nei confronti dei migranti che attraversano i confini, mentre continuerà a collaborare con paesi di tutta la regione durante questo periodo; ha affermato che:
“Indipendentemente dalla crisi stiamo monitorando da vicino la situazione, ma soprattutto non c’è differenza nel nostro atteggiamento”.
Questo atteggiamento si riflette nel trattamento riservato ai migranti da parte degli agenti che lavorano nelle regioni frontaliere della Macedonia. In due casi gli agenti sono stati violenti, con il risultato che un intervistato non è ora in grado di camminare senza stampelle (vedi rapporto dell’11 aprile 2020) e un altro ha un braccio fratturato (vedi rapporto del 22 aprile 2020). In quest’ultimo incidente l’intervistato si è sentito così minacciato dagli agenti da affermare:

“Vogliono ucciderci”.

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Il 3 marzo 2020, quando la pandemia ha cominciato a colpire l’Europa, ma prima che un singolo caso fosse segnalato in Ungheria, il governo ungherese ha deciso di chiudere i “campi di transito a Röszke e Tompa a eventuali nuovi arrivi 5. Questi campi sono l’unico punto di ingresso dei migranti al sistema di asilo ungherese.

La chiusura dei campi fa parte di una narrazione più ampia del governo ungherese che afferma che il COVID-19 è stato portato dagli stranieri. Laos Kosa, presidente della Commissione parlamentare per la difesa, ha affermato che le popolazioni migranti provengono da paesi con “condizioni sanitarie non sicure“, collegando così la crisi sanitaria alla retorica anti-rifugiati del governo ungherese.

Sostenendo che degli studenti iraniani erano responsabili della prima epidemia del paese, il governo di Orban è arrivato persino a deportare il gruppo in questione nonostante gli stessi studenti avessero residenza legale. Da marzo non sono stati più ammessi rifugiati nei campi di transito; in questo modo si è chiuso di fatto il sistema di asilo ungherese in palese violazione del diritto dell’UE.

A differenza di altri paesi, in cui le misure sempre più severe contro i migranti sono andate avanti in gran parte senza problemi o richiami durante la pandemia di Covid-19, l’Ungheria ha recentemente ricevuto notevoli critiche per il trattamento dei richiedenti asilo da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea (CJEU).
Anche prima della chiusura dei campi, la possibilità de facto di ricevere protezione internazionale in Ungheria era estremamente bassa, sia perché l’accesso ai campi era gravemente limitato (l’anno scorso, meno di 500 persone sono riuscite a presentare domanda di asilo in Ungheria) e sia perché quasi tutti i casi sono stati ritenuti automaticamente inammissibili.

L’inammissibilità delle domande di asilo si basava su una modifica alla legge ungherese sull’asilo introdotta nel 2018, che afferma che le richieste sono inammissibili se un richiedente arriva da un “paese di transito sicuro“.

Sebbene tale avvertimento sembri simile al concetto dell’UE di “paese terzo sicuro“, la differenza fondamentale è che l’Ungheria mantiene l’inammissibilità di un caso anche se il paese di transito si rifiuta di riammettere il richiedente. Secondo il diritto dell’UE, un paese deve riconsiderare il caso se un paese terzo sicuro rifiuta la riammissione. Quasi tutti i richiedenti asilo in Ungheria arrivano dalla Serbia, che è considerata un “paese di transito sicuro” dall’Ungheria e che negli ultimi anni ha rifiutato la riammissione (questo esclude i respingimenti, che sono andati avanti senza sosta e sono stati ampiamente documentati da BVMN).

A causa dell’incongruenza tra il diritto ungherese e quello dell’UE, è in corso una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ungheria, e il 19 marzo 2020 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata su un caso che dichiara l’emendamento ungherese in violazione del diritto dell’UE. Questa sentenza sarà un precedente importante per una serie di casi in corso.

In un secondo caso, ancora in corso, l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che le condizioni del campo di Rözke rendono la detenzione illegale. L’avvocato generale ha basato il suo ragionamento sull’isolamento fisicamente imposto anche tra i settori del campo (attraverso fili spinati e recinzioni), la necessità di autorizzazione prima di contattare un avvocato, e l’assenza di un modo pratico per lasciare il campo. Mentre è teoricamente consentito lasciare il campo per dirigersi verso la Serbia, la Serbia non consente il rientro dei richiedenti, e coloro che se ne vanno perdono il loro status di richiedenti asilo nel sistema di asilo ungherese.

È importante sottolineare che l’Avvocato generale sostiene che la Corte di Giustizia dovrebbe andare oltre la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che in precedenza aveva stabilito che i campi ungheresi non costituiscono una violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza.

Si tratta di un segnale di speranza, soprattutto nel contesto delle recenti decisioni della CEDU a scapito dei migranti, come documentato nella relazione di febbraio di BVMN. Infine, è importante notare che la classificazione di Röszke come luogo di detenzione illegale non è ancora una decisione giuridicamente vincolante, ma i giudici della Corte di Giustizia Europea probabilmente seguiranno il parere dell’avvocato generale.

L’Ungheria si impegna da anni per limitare illegalmente i diritti dei migranti, e ha riconosciuto nella crisi del COVID-19 un’occasione per chiudere del tutto il suo sistema di asilo. A destare ulteriore preoccupazione è il fatto che il governo ungherese ha il potere di governare per decreto a tempo indeterminato. Le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE sfideranno quindi un governo non più vincolato da alcuna necessità di controllo ed equilibrio. Il fatto che la Corte sia in grado o meno di rovesciare le disumane leggi ungheresi in materia di asilo sarà un’importante prova del potere giudiziario dell’UE, e avrà effetti profondi sulla vita dei migranti imprigionate a Röszke.

Conclusioni

Questo rapporto speciale sul legame tra il COVID-19 e i regimi di confine ha messo in luce caratteristiche comuni in termini di violazioni eccezionali, di mobilitazione delle forze di sicurezza alle frontiere e nei campi, e di inasprimento delle condizioni di vita dei migranti.

La gestione della migrazione nell’ambito delle restrizioni pandemiche ha avuto un duplice impatto. In primo luogo, confrontare l’esperienza della popolazione in generale con quella dei migranti ha rivelato l’effetto sproporzionato delle restrizioni per il COVID-19, in particolare per quanto riguarda la libertà, la sicurezza fisica e i bisogni di base come l’alloggio e l’assistenza sanitaria.

L’osservanza delle misure pertinenti, come i protocolli di distanziamento sociale e le norme igieniche, rimane una sfida per coloro che si trovano ad affrontare attraversamenti precari ai confini, difficoltà nell’accesso alle procedure di asilo e una netta mancanza di alloggi stabili. I migranti hanno subito, e continuano ad affrontare, chiusure dei campi, controlli aggiuntivi sui loro movimenti, e il rischio continuo di espulsioni collettive.

In secondo luogo l’applicazione di misure per il COVID-19 è servita anche come giustificazione per l’attuazione di un’ulteriore sospensione dei diritti, dimostrando come i governi stiano puntando sullo stato di emergenza per attuare violazioni dei diritti più massicce contro i rifugiati e le comunità migranti. Questo si è visto in particolare con l’implementazione massiccia di polizia e personale militare nei campi e negli spazi di detenzione. In molti casi ciò ha comportato la rimozione e il respingimento di grandi gruppi, anche quelli che detenevano carte del campo o documenti temporanei, come in Serbia e Grecia. Oltre a ciò, nuove pratiche ai confini, come l’uso della vernice spray da parte della polizia croata, mostra come la risposta sanitaria venga reinterpretata in modo perverso da coloro che avrebbero il compito di rappresentare la legge.

Invece di garantire protezione in un momento di estrema necessità, i sistemi di accoglienza sono diventati più restrittivi, utilizzando le eccezionali circostanze del COVID-19 per erodere ulteriormente gli accessi e le dovute procedure.

Questi effetti sproporzionati e l’estensione della sospensione dei diritti sono segni distintivi di un regime opportunistico di respingimento e di asilo. Invece di garantire protezione in un momento di estrema necessità, i sistemi di accoglienza sono diventati più restrittivi, utilizzando le eccezionali circostanze del COVID-19 per erodere ulteriormente gli accessi e le dovute procedure.

BVMN solleva preoccupazioni circa la riflessività di un tale sistema di confini e le modalità con cui i diritti e un trattamento equo possano essere ripristinati per i migranti durante e dopo la pandemia.

Strutture e contatti

BVMN finanzia il suo monitoraggio attraverso sovvenzioni e fondazioni di beneficenza e non sta ricevendo fondi da nessuna organizzazione politica.

Le spese riguardano i contributi per gli spostamenti dei volontari sul campo e quattro figure retribuite. Per saperne di più dai un’occhiata al nostro sito web o cercaci su Twitter @Border_Violence e su Facebook. Per ulteriori informazioni su questo rapporto o su come partecipare, inviaci un’e-mail a [email protected]. Per richieste di stampa e media si prega di contattare: [email protected]

  1. BVMN è una rete di organizzazioni di controllo attive in Grecia e nei Balcani occidentali che comprende No Name Kitchen, Rigardu, Are You Syrious, Mobile Info Team, Wave Salonicco, Infokolpa, Escuela con Alma, Centre for Peace Studies, Mare Liberum, InfoPark, Collective Aid e Fresh Response. Il presente rapporto è il risultato di uno sforzo congiunto avviato da queste associazioni.
  2. Lipa è un sito di nuova costruzione 25 km a sud di Bihac (USK) aperto con finanziamenti dell’UE attraverso l’attuazione dell’OIM il 21 aprile 2020.
  3. Il 21 aprile 2020, un video è emerso sui social media di una guardia di sicurezza del campo Miral che lancia cibo, che accampa residenti avevano ricevuto privatamente da una persona locale, in un torrente vicino al campo. realtà quotidiana per i residenti del campo in tutta BiH
  4. Le riammissioni nell’ambito della dichiarazione UE-Turchia sono state sospese dalla fine di febbraio 2020
  5. I respingimenti dall’Ungheria, tuttavia, sono proseguiti durante questo periodo. L’UNHCR segnala almeno 50 respingimenti dall’Ungheria alla Serbia nel mese di aprile.

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
Contatti: [email protected]

Border Violence Monitoring Network (BVMN)

Border Violence Monitoring Network (BVMN) è una rete indipendente di ONG e associazioni con sede nella regione dei Balcani e in Grecia. BVMN monitora le violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell'UE e si impegna per mettere fine ai respingimenti e alle pratiche illegali. Il network utilizza un database condiviso per raccogliere le testimonianze delle violenze subite da chi transita sulla rotta dei Balcani.
In questa pagina trovate le traduzioni integrali dei rapporti mensili curati da BVMN.