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Speciale AYS dalla Turchia: Panoramica dei diritti umani dei rifugiati durante la pandemia

Are You Syrious? - aprile 2021

Photo credit: Border crossing (febbraio 2020 al confine tra Grecia e Turchia)
Photo Credit: Bianet
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Dopo il primo caso di covid-19 a marzo 2020, la Turchia ha cominciato a mettere in atto misure di contenimento. Durante la pandemia le condizioni per i migranti sono diventate ancora più “precarie”, a causa della mancanza di politiche di supporto coordinate. I seguenti paragrafi riassumono alcuni degli sviluppi avvenuti nel Paese da allora.

Apertura del confine con la Grecia

Il 27 febbraio 2020, 33 soldati turchi hanno perso la vita a Idlib, in Siria. A seguito di questa vicenda, il governo turco ‘ha aperto’ il confine terrestre con la Grecia a Edirne-Pazarkule, come aveva già minacciato di fare in più occasioni.

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I migranti sono stati usati come asso nella manica: migliaia di persone provenienti da numerose città si sono recate al confine e sono state costrette a rimanere sul territorio turco per settimane, durante un inverno eccezionalmente freddo e in condizioni tali da ledere la dignità umana. Nel tentativo di superare il confine, hanno subito duri interventi delle autorità greche, che hanno mostrato ancora una volta la natura disumana delle politiche di frontiera dell’Unione Europea.

L’”apertura” del confine greco è un chiaro esempio dell’instabilità e della pericolosità della politica migratoria turca. Nonostante ciò, l’Unione Europea non ha preso alcuna iniziativa a favore della tutela dei diritti umani. Al contrario, ha avviato i negoziati per estendere l’accordo UE-Turchia.
Dopo i primi casi di Covid-19 in Turchia, le persone bloccate al confine sono dovute tornare nelle città in cui vivevano precedentemente.

Pandemia da Covid-19

In Turchia, così come in tutto il mondo, la pandemia da Covid-19 ha aggravato l’ineguaglianza, colpendo in maniera sproporzionata i gruppi più fragili, i poveri, le donne, i bambini e i migranti. Durante la pandemia non sono stati varati provvedimenti sulla questione specifica dei migranti nel Paese. Ciò significa, tra l’altro, che le persone sprovviste di documenti non hanno potuto avere accesso all’assistenza sanitaria gratuita.

La prima reazione delle aziende che hanno avuto difficoltà finanziarie a causa della pandemia è stata quella di licenziare i dipendenti rifugiati non registrati. In queste condizioni, è diventato impossibile mantenere o trovare un lavoro, ed è aumentata così la povertà e la precarietà della vita di queste persone.

La didattica è proseguita in modalità a distanza, ma per gli studenti privi di Internet o apparecchiature digitali è stato impossibile accedervi. Inoltre, la grave povertà ha reso difficile il proseguimento degli studi per molti bambini. Come numerose ricerche hanno dimostrato, i bambini in situazioni di povertà economica hanno lasciato presto la scuola per iniziare a lavorare.

Per i bambini migranti, l’impossibilità di accedere alla didattica a distanza, insieme alla povertà, alle barriere linguistiche e alle politiche discriminatorie, ha fatto sì che essi iniziassero la loro vita lavorativa prima dei loro coetanei. Durante la pandemia, il lavoro minorile sottopagato si è diffuso in maniera dilagante.

Per saperne di più, è possibile consultare il report “Gli effetti del Covid-19 sulla vita quotidiana dei rifugiati in Turchia” a cura di IFRC e The Turkish Red Crescent.

Centri di respingimento, accuse di stupro e di tortura

Col passare dei giorni i centri di respingimento, dove i rifugiati sono sottoposti a detenzione amministrativa, sono diventati delle prigioni. Le notizie riguardo le violazioni dei diritti umani perpetrate in questi centri sono aumentate, nonostante le organizzazioni non-governative non potessero monitorarli.

A luglio 2020 sono stati pubblicati dei report sullo stupro di una donna iraniana da parte delle guardie di sicurezza del CIE di Van, ma solo a novembre due guardie sono state accusate e arrestate per aggressione sessuale aggravata.

A febbraio 2021, un uomo afghano detenuto presso il CIE di Aydin si è impiccato dopo aver subito torture e abusi. Solo allora molti fascicoli sulle accuse di violenza e torture sono venuti alla luce. I detenuti hanno riferito di non avere accesso all’acqua e strutture igieniche e di essere stati picchiati dai funzionari.

Ali El Hemdan, un giovane ucciso dalla polizia

A causa del razzismo, della discriminazione e della mancanza di socialità e di integrazione, i rifugiati sono diventati il gruppo meno rispettato e più stigmatizzato in Turchia.
Le misure relative al coprifuoco sono state imposte solo alle persone sotto i 20 anni. A luglio 2020, il diciottenne Ali El Hemdan è uscito di casa per andare a lavoro, nonostante le restrizioni, perché aveva bisogno di lavorare. È stato fermato da una volante della polizia. Non voleva mostrare i suoi documenti perché era un rifugiato minorenne che non aveva rispettato le restrizioni. Quando ha iniziato a camminare indietro nella direzione opposta, un poliziotto lo ha seguito. Quando l’agente gli ha intimato di fermarsi, il giovane lo ha fatto e si è voltato verso il poliziotto, che gli ha sparato all’altezza del cuore.
Ali El Hemdan è morto sul colpo.

L’uccisione di Ali El Hemdan è incisa nella nostra memoria come emblematica della percezione dei migranti in Turchia.

Continui attraversamenti delle frontiere e continue morti

A causa alle politiche di frontiera finanziate e messe in atto dall’Unione Europea negli ultimi 5 anni, milioni di persone stanno cercando di sopravvivere in Turchia nonostante la sostanziale mancanza di diritti. Per le persone che non riescono ad immaginare il proprio futuro nel Paese, l’attraversamento illegale della frontiera è l’unica via di uscita.
Pur sapendo che gli attraversamenti sono sempre più rischiosi e che nelle isole greche le condizioni sono disumane, la disperazione li costringe in ogni caso a prendere questa decisione.

Photo credit: Mert Çakır
Photo credit: Mert Çakır

L’inasprirsi delle politiche di sicurezza contro i migranti in Turchia ha reso impossibile lo spostamento libero nel Paese, obbligando gli individui a ricorrere a trafficanti e percorsi pericolosi per spostarsi da una città all’altra. Tragicamente, nel luglio 2020, 18 persone hanno perso la vita quando la loro barca è affondata mentre attraversavano il lago Van, nella parte orientale del Paese.

Il caso Festus Okey

A marzo 2021 abbiamo assistito ad un caso che ha portato progressi in termini di responsabilità della polizia e di diritti dei rifugiati in Turchia: la condanna del poliziotto che ha ucciso il rifugiato nigeriano Festus Okey in una stazione di polizia nel 2007. La condanna è il risultato di una campagna degli attivisti per i diritti dei rifugiati durata 15 anni, e rappresenta uno sviluppo importante nell’ambito dei diritti dei migranti in Turchia.
Eppure, anche se è gratificante che l’assassino di Okey sia stato punito, il fatto che ci siano voluti 15 anni per avere giustizia, e che il caso sia stato portato avanti per così tanto tempo, ancora desta preoccupazioni riguardo i diritti dei rifugiati in generale. Se, alla fine, questa decisione avrà conseguenze positive in termini di diritti dei rifugiati in Turchia sarà chiaro solo quando vedremo i risultati di casi futuri.

A cura di Dilan Taşdemir, attivista per i diritti dei rifugiati. Co-fondatore e coordinatore generale della Media and Migration Association, impegnata nella lotta contro l’incitamento all’odio verso i rifugiati presente nei mezzi di comunicazione.