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da il Corriere del Veneto dell'8 marzo 2012

Sport – Il bomber è condannato a morte

La Porcenese, formazione di una piccola frazione del Feltrino, è la più multietnica d’Italia. E l'attaccante è fuggito dal Gambia, dove il regime lo vuole eliminare

Seren del Grappa (Belluno) – A entrare nel loro spogliatoio prima dell’inizio di una partita c’è da non credere, più che agli occhi, alle proprie orecchie. Tra scarpe, calzettoni, borsoni e divise nascono discorsi che partono in arabo e finiscono in un miscuglio di francese, italiano e dialetti vari. In campo, poi, si schierano con difesa a tre indio- albanese e centrocampo «di spinta» in salsa siculo-romena, il tutto a supporto della punta di diamante della squadra, Lamin Banjul – classe 1987 come Messi -, con in bocca sempre un gran sorriso e ai piedi un sinistro da far paura. Segni particolari: condannato a morte nel suo paese d’origine, il Gambia, e per questo fuggito dapprima in Libia e in seguito, allo scoppio dei tumulti di un anno fa, verso l’Italia, in un lungo viaggio che lo ha portato infine, un po’ per caso, a Porcen di Seren del Grappa, paesino di 350 anime alla falde del monte Tomatico. E’ lui il bomber della Porcenese, formazione «open» del campionato Csi bellunese composta da 14 stranieri su 28 tesserati.
Si tratta della formazione calcistica più cosmopolita d’Italia. Un progetto nato un anno fa quasi per caso, nel tranquillo paesino vicino a Feltre dove tre ragazzi, per sconfiggere la routine di tutti i giorni, hanno dato vita a una nuova squadra «assemblandola » con i giovani della frazione e di altri paesi vicini. Un reclutamento che ha dato come risultato finale l’adesione di giocatori di 12 diverse nazionalità – oltre all’Italia, Francia, Argentina, Romania, Polonia, India, Gambia, Marocco, Sudan, Macedonia, Libia e Albania -, diventando in breve motivo d’orgoglio per il presidente della piccola società, il 25enne Marzo Zanella, e i suo amici e soci cofondatori. «Abbiamo messo in campo un pezzo della società in cui viviamo – spiega Zanella -, niente più di questo. Man mano che abbiamo ricevuto adesioni al progetto ci siamo accorti poi che arrivavano giocatori da mezzo mondo ed è stato incredibile, poco a poco, vedere questi ragazzi integrarsi tra loro, imparare assieme le diverse lingue che parliamo e crescere sia nello sport che come persone». Molte le storie di vita vissuta fuse nel crogiolo della Porcenese. A partire da quella di Lamin Banjul, punta di diamante della formazione, che insieme a suo padre – oppositore del regime in Gambia e organizzatore di diverse manifestazioni di piazza – è stato condannato a morte nel suo paese e per questo è dovuto fuggire fino a Porcen.

«A gennaio – racconta il presidente della società di calcio – il suo permesso di soggiorno da rifugiato politico scadeva e per farglielo rinnovare – e non vederlo dunque costretto a rientrare in Gambia, dove verrebbe ucciso – abbiamo messo di mezzo amici avvocati, ottenendo il rinvio fino a ottobre di quest’anno ». Il problema di una nuova scadenza sta per essere risolto con l’assunzione di Banjul come operaio nell’impresa edile di Eduard Byku, altro calciatore della Porcenese di origine albanese, «perché ormai siamo talmente uniti da far squadra anche nella vita di tutti i giorni», sottolinea Zanella. Nella rosa c’è poi Sim Singh, di origini indiane, che con i familiari gestisce una stalla sociale con 200 bovini. E non mancano le storie difficili, come quella di Ibrahim Moussa, atleta sudanese di 32 anni scappato dalla guerra di Libia mache sta ora per lasciare la squadra e tornare nel suo Paese di origine, dove si ricongiungerà con la moglie e i loro 3 figlioletti. Quanto agli italiani, anche qui non mancano le sfumature: in squadra, oltre a 6 porcenesi, giocano 3 siciliani, un pugliese, un calabrese e un valdostano. In serbo per il futuro ci sono poi nuovi progetti «multiculturali » anche per atletica e ciclismo. E, infine, una provocazione: «Entro l’ultima giornata di campionato – promette Zanella – scenderemo in campo con 11 giocatori di altrettante nazionalità diverse. Un segnale forte, contro indifferenza e ignoranza di chi, ancora oggi, fa finta di non riconoscerci nella società multiculturale in cui viviamo ».

Bruno Colombo