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Sprar, dove i rifugiati diventano cittadini

Fabio Grandinetti, L'Espresso - 20 settembre 2016

C’è un’accoglienza buona e una cattiva. Quella cattiva, anzi, vergognosa, l’ha raccontata “l’Espresso” con il reportage nel Cara di Borgo Mezzanone, dove i richiedenti asilo vivono in condizioni di disagio estreme, mentre i manager della consorziata bianca “Senis Hospes” e gli sfruttatori delle campagne foggiane si riempiono le tasche. Quella buona si chiama Sprar, “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati”: una rete composta da enti locali e associazioni non governative diffusa su tutto il territorio nazionale (unica regione esclusa è la Valle d’Aosta). Due estremi di un sistema dell’accoglienza confuso e frammentato.

Il paragone scricchiola un po’, se si pensa che i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) si occupano di prima accoglienza, mentre i centri Sprar dovrebbero garantire la “seconda accoglienza”, favorendo l’integrazione delle persone già titolari di protezione internazionale. Ma spesso, soprattutto in passato, l’aumento improvviso dei flussi migratori ha indotto le autorità ad inviare i migranti direttamente in queste strutture, senza passare neanche dai Cas (Centri di accoglienza straordinaria) che oggi ospitano oltre il 70% dei richiedenti asilo. Chi ha seguito questo percorso può ritenersi fortunato.

Nel 2015, il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (Fnpsa) ha finanziato 430 progetti Sprar, di cui 348 destinati a richiedenti asilo e 52 a minori non accompagnati. Un modello d’accoglienza silenzioso ma in costante crescita, come racconta il rapporto 2015 (.pdf): dai 3mila posti finanziati nel 2003 ai quasi 30mila dello scorso anno. I migranti ricevono assistenza sanitaria e psicologica, vengono ospitati in piccole strutture o in appartamenti e coinvolti, poi, in percorsi di istruzione e inserimento socio-lavorativo. Un accompagnamento che può durare fino a 6 mesi dopo la risposta delle commissioni territoriali alle richieste d’asilo. Il tutto sotto la supervisione dei Comuni (nel 2015 hanno aderito 800 amministrazioni) che rispondono direttamente dei progetti. «Le strutture governative (Cpsa, Cda e Cara, ndr) rispondono a logiche emergenziali, le gare d’appalto non sono sempre chiare e può capitare che l’ente gestore non abbia alcuna esperienza in materia di accoglienza», spiega Stefano Bleggi, coordinatore del progetto Melting Pot Europa. «Il problema è che i posti Sprar sono ancora pochi, soprattutto per volontà politica. A qualcuno conviene gestire i flussi in situazione di emergenza».

La differenza tra i Cas e lo Sprar ce la spiega Alberto Mossino. La sua onlus attiva nella cintura di Asti, il Piam (Progetto integrazione accoglienza migranti), ospita 65 richiedenti asilo con fondi Sprar, altri 80 (all’interno del consorzio Co.Al.A.) in regime di Cas. «Le linee guida dello Sprar ci impongono un controllo della spesa, con un rigido sistema di rendicontazione a cui possiamo apportare modifiche solo motivando le richieste; per il Cas, invece, la Prefettura ci chiede solo un registro presenze». La differenza sta tutta qui. Nel controllo della spesa e nella discrezionalità che contraddistingue il lavoro delle singole Prefetture. Ogni Cas funziona diversamente dall’altro, non c’è uniformità nei livelli di assistenza.

Secondo Mossino, lo Sprar potrebbe occuparsi anche di prima accoglienza, «ma il problema è che devono essere i sindaci a proporre i progetti al Ministero. Non c’è convenienza politica ad ospitare più rifugiati sui territori, specie a ridosso delle elezioni». Ovviamente anche lo Sprar può essere migliorato. «Potrebbe essere direttamente il Ministero a disporre un aumento dei posti, ma soprattutto è necessaria un’estensione dei tempi di permanenza: 6 mesi sono pochi per aiutare le persone ad integrarsi nella società». I rifugiati del Piam sono arrivati fino al Festival di Venezia, protagonisti del “Vangelo” di Pippo Delbono presentato alle Giornate degli autori, mentre il lavoro di Princess Inyang Okokon, moglie di Alberto Mossino, ha attirato le attenzioni del The Guardian: per il Piam, la donna nigeriana si è occupata delle ragazze africane che si prostituiscono nell’Astigiano, riuscendo a salvarne più di 200.

Anche Roma non è solo Mafia Capitale. Nel III municipio è attiva Idea Prisma 82. Tra le attività della cooperativa c’è il progetto Wel©home per l’inserimento di tre famiglie di richiedenti asilo e di un nucleo familiare ancora in attesa della protezione internazionale. Sono stati ospitati in un grande appartamento nel quartiere Sacco Pastore, assieme ad una signora italiana di 65 anni, rimasta sola e senza casa. Lei, ora, fa la chioccia, mentre i rifugiati, tra cui molti bambini, frequentano corsi di italiano e tirocini di inserimento: un ragazzo in un’autofficina, una ragazza in una trattoria e un ex calciatore nella società dilettantistica Liberi Nantes, la squadra composta esclusivamente da richiedenti asilo. «Con lo Sprar l’immigrazione diventa un’opportunità», dice Emanuele Petrella di Idea Prisma 82. «Gli enti locali si responsabilizzano, la rendicontazione è rigida, i territori sono coinvolti e se ne trae vantaggio in termini occupazionali e di convivenza sociale. Basterebbe fare adottare alle strutture governative le linee guida dello Sprar».

Un altro caso di buona accoglienza viene dal sud, dal comune di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Il borgo, meno di duemila abitanti, si stava svuotando, le scuole stavano chiudendo. E allora il sindaco Domenico Lucano ha deciso di far rivivere il suo paesino ristrutturando le case del centro storico e mettendole a disposizione di oltre seimila richiedenti asilo. Lo ha potuto fare grazie ai fondi Sprar. Il suo nome spunta al quarantesimo posto della classifica delle persone più influenti al mondo nel 2016 secondo la rivista Fortune.

Tra i “pilastri” del nuovo piano di ripartizione dei richiedenti asilo annunciato il 6 settembre dal ministro dell’Interno Angelino Alfano c’è una «modalità di accreditamento continuo allo Sprar, che superi l’attuale complessità imposta dalla periodicità di pubblicazione dei bandi di adesione e che si caratterizzi per una gestione “a liste sempre aperte” per accogliere le domande degli Enti locali, senza più vincoli temporali, ma solo in base alla disponibilità delle risorse, istituendo una sorta di albo permanente in cui accreditarsi». E si parla anche di una deroga al patto di stabilità interno per i comuni che aderiranno allo Sprar da inserire nella prossima legge di bilancio. L’intenzione, almeno nei proclami, è quella di dare continuità a un sistema che lo scorso anno ha consentito a 1.972 richiedenti asilo di ottenere un contratto di lavoro stabile.

Le comunità rinascono, i rifugiati diventano cittadini, le procedure sono trasparenti. L’impalcatura dello Sprar funziona come modello unico in tutto il Paese. Non c’è spazio per chi vuole speculare sull’emergenza.