Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

da Il Manifesto del 18 agosto 2005

Spunta un terzo cpt italiano in Libia

La novità nella relazione del Viminale sulla sicurezza. Tra misteri e lodi a Tripoli

di Cinzia Gubbini

Non sono due, ma tre. Le informazioni sui campi che l’Italia sta costruendo in Libia continuano ad arrivare, sempre frammentate, sempre disperse tra mille altri dati, sempre poco chiare. L’ultima è contenuta nel capitolo sull’immigrazione clandestina del voluminoso rapporto del Viminale sullo stato della sicurezza in Italia 2005.
In poche righe si rende noto che «nell’ambito della collaborazione con la Libia sono state perfezionate, nel gennaio scorso, le procedure che porteranno alla costruzione, in località Garyan, non distante dalla capitale libica, del primo centro (dei 3 previsti) per il trattenimento degli stranieri irregolari da rimpatriare, con una capacità ricettiva di mille posti». Che il governo italiano stesse spendendo soldi per costruire questi famosi centri, che hanno infuocato il dibattito politico in tema di immigrazione, è cosa nota.
A fine luglio la relazione della Corte dei Conti sulle spese dello stato aveva già dato notizia dell’impegno italiano in Libia per la costruzione di due campi, citando proprio quello di Garyan. Anche una relazione della Commissione europea pubblicata ad aprile accennava alla costruzione di due campi «italiani».
Lo scrivevano i funzionari che si erano recati nel paese nordafricano per monitorare le operazioni di contrasto dell’immigrazione clandestina in vista di un possibile accordo tra l’Unione e la Libia, sulla falsariga di quello voluto dal ministro Pisanu.
I rapporti bilaterali tra il nostro paese e il governo di Gheddafi, evidentemente, fanno passi da gigante e i campi da costruire sono diventati già tre. La cosa interessante è che questa volta la notizia scaturisce direttamente da un documento del Viminale, mentre finora si è sempre trattato di notizie di «seconda mano».

Ciò non toglie che si continua a brancolare nel buio: chi finirà in questi centri? Gli stranieri che la Libia vuole rimpatriare, o quelli rimandati indietro dall’Italia? E chi gestirà questi centri? L’Italia pretenderà una supervisione di qualche tipo su questi campi o lascerà fare tutto ai libici? «Suscita preoccupazione questo rafforzamento dei rapporti tra Italia e Libia che, lo voglio ricordare, si basa su un accordo che non è mai stato presentato al parlamento e che quindi viola i principi della nostra costituzione.
Vale lo stesso per le risorse finanziarie che il governo ha deciso di impiegare per questi progetti: non sappiamo nulla di preciso», dice la senatrice dei Verdi Tana De Zulueta.

Intanto ieri è arrivata la notizia che nel giorno di ferragosto la Libia ha arrestato 69 persone che cercavano di emigrare verso l’Italia dal porto di Zuara. Si tratta di egiziani, tunisini, nigeriani, ma anche di sudanesi che, in Italia, avrebbero probabilmente vista accolta una loro eventuale richiesta di asilo in base alla Convenzione di Ginevra.
Anche il 12 agosto la polizia libica era entrata in azione arrestando 53 egiziani, 14 tunisini e otto cittadini del Ghana, tutti in partenza per l’Italia. E’ stato il Viminale a voler evidenziare questi risultati, ribadendo che la collaborazione Italia-Libia mira a combattere le reti di trafficanti che speculano sull’immigrazione illegale.

Inoltre, il pattugliamento delle coste ha permesso di salvare molte persone: il 12 agosto, le autorità libiche hanno tratto in salvo 37 cittadini tunisini, egiziani e marocchini in difficoltà al largo delle coste libiche dopo che la barca su cui si trovavano era affondata.
Ma la Libia si muove anche sul fronte interno per controllare l’ingresso degli stranieri, che molto spesso si riversano in quel paese con l’intento di cercare lavoro e non per emigrare. Nei giorni scorsi, ad esempio, è stata approvata una legge che impone agli stranieri che vogliano entrare in Libia di avere in tasca almeno 300 euro in contanti.