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Status di rifugiata a cittadina nigeriana: sottoposta alle MFG e vittima di tratta, appartiene al perseguitato gruppo sociale femminile

Tribunale di Genova, decreto del 4 agosto 2021

Il Tribunale di Genova riconosce lo status di rifugiata alla ricorrrente nigeriana.
Quanto all’appartenenza della richiedente ad un particolare gruppo sociale, viene specificato che:

(…) – le donne costituiscono un esempio di un sottoinsieme sociale di individui che sono definiti da caratteristiche innate e immutabili e sono spesso trattate in modo diverso rispetto agli uomini. In questo senso esse possono essere considerate un particolare gruppo sociale;

– i fattori che possono distinguere le donne come obiettivi dei trafficanti sono generalmente connessi alla loro vulnerabilità in determinati contesti sociali; pertanto alcuni sottoinsiemi di donne possono anche costituire particolari gruppi sociali. Il fatto di appartenere a un simile gruppo sociale potrebbe essere uno dei fattori che contribuisce al timore dell’individuo di essere oggetto di persecuzione, ad esempio di sfruttamento sessuale, come conseguenza dell’essere, o del timore di diventare, vittima di tratta;

– coloro che sono stati vittima di tratta in passato potrebbero anche essere considerati come un gruppo sociale basato sulla caratteristica immutabile, comune e storica dell’essere stati vittime di tratta. Una società potrebbe inoltre, in base al contesto, considerare le persone che sono state vittime di tratta come un gruppo riconoscibile all’interno di quella società.

La richiedente, pertanto, è sottoposta al rischio specifico, legato all’appartenenza di genere, derivante dall’esteso fenomeno della tratta di esseri umani a fini sessuali nell’area di provenienza, quale atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Deve pertanto accogliersi la domanda principale e riconoscersi all’odierna richiedente lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra.

Quanto alle mutilazioni genitali documentate in atti, il Collegio rileva che queste vadano considerate, tenuto anche conto della scarsa scolarizzazione che in parte può impedire la piena consapevolezza e conoscenza dei propri diritti, soprattutto in relazione a pratiche tradizionali subite in giovane età e dunque non percepite dalla donna come violazioni, seppur si debbano oggettivamente ritenere tali. Come precisa l’UNHCR, le pratiche dannose che violano la legge e gli standard internazionali sui diritti umani, non possono essere giustificate sulla base di motivi storici, tradizionali, religiosi o culturali. Come la tortura, le MGF comportano l’inflizione deliberata di grave dolore e sofferenza. Inoltre, le donne che sopravvivono alle MGF ne subiscono le conseguenze a lungo termine, tra cui dolore cronico, infezioni pelviche croniche, infezioni del sistema riproduttivo, traumi ripetuti al parto e complicazioni ostetriche, così come diversi disturbi emotivi e psicologici, in particolare il disturbo post traumatico da stress. Le MGF sono dunque una forma di violenza di genere, e una donna o una ragazza che ha già subito la pratica prima di chiedere asilo, può ancora avere un fondato timore di future persecuzioni a causa della natura permanente e irreversibile delle MGF. Infine, una ragazza o una donna sottoposta a MGF in gioventù può in seguito subire una ri-escissione o re-infibulazione, se la prima procedura è considerata non completa, al momento del suo matrimonio, o della nascita di un bambino“.

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Tribunale di Genova, decreto del 4 agosto 2021

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