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Status di rifugiata a giovane donna nigeriana vittima di tratta. L’importanza di una attenta valutazione

Tribunale di Bologna, decreto del 31 dicembre 2020

Con una decisione ben articolata nella motivazione in fatto e in diritto, il Tribunale Ordinario di Bologna – Sez. Specializzata Immigrazione e Protezione internazionale (Giudice estensore Dott. Bagnoli, Presidente Dott.sa Matilde Betti) giunge a riconoscere, dopo approfondita istruttoria e ben tre udienze, come “sollecitate” dal sottoscritto difensore, lo Status di Rifugiata in applicazione dell’art. 1° della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativo alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta ad una giovane donna di origine nigeriana vittima della tratta.
Il Tribunale “cassa” dunque totalmente la decisione della Commissione Territoriale, non ritenendola affatto condivisibile innanzitutto in ordine alla valutazione di non credibilità della richiedente protezione (“La ricorrente ha fornito descrizioni ricche di particolari ed ha spiegato le ragioni dei suoi timori in caso di rientro nel Paese di provenienza“) e sottolineando che, come precisato nel ricorso introduttivo del giudizio, la procedura da seguire (anche in sede amministrativa) in caso di potenziali vittime di tratta e di indicatori di vittima di tratta è stata minuziosamente tracciata dalle Linee Guida del 2016: “Del resto, dall’audizione della ricorrente sono emerse circostanze coincidenti con gli specifici indicatori riferibili alle donne nigeriane vittime di tratta elencati a pag 38 dalle Linee Guida elaborate nell’ambito del progetto “Meccanismi di coordinamento per le vittime di tratta” (realizzato dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR. Approvate dalla Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo nella seduta del 30 novembre 2016).“.

Il Tribunale sottolinea poi l’importanza del dovere di cooperazione istruttoria del Giudice per cui ai criteri “enucleati dall’art. 3 comma 5 del D.L.vo 251/2007 – che, unitamente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo al dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del paese d’origine del richiedente asilo, costituisce il cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova, posto a base dell’esame e dell’accertamento giudiziale delle domande di protezione internazionale – le dichiarazioni della ricorrente appaiono, pertanto, credibili in relazione al suo reclutamento, finalizzato allo sfruttamento sessuale; fondato ed effettivo è, poi, il rischio di persecuzione in caso di rientro nel Paese di origine, dove evidentemente si colloca il contesto che ha determinato la vicenda migratoria della ricorrente, secondo quanto si desume dagli elementi indicatori della tratta sopra evidenziati.“.

Giunge dunque a riconoscere lo Status di Rifugiata in applicazione dell’art. 1° della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativo alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta di tratta alla giovane vittima di tratta, ritenendo dimostrato da un lato il fondato timore di persecuzione come anche l’impossibilità dell’apparato statale Nigeriano, nonostante gli sforzi, di garantire un’adeguata tutela alle vittime di tratta che rientrano nel Paese: “(…) fondato timore di persecuzione legato ad almeno una delle fattispecie contemplate dalla Convenzione (vale a dire dall’art. 8 D.L.vo n. 251/2007). Costituisce inoltre chiaro indizio della fondatezza di tale timore la circostanza di aver subito atti di persecuzione: nella specie, la ricorrente, ancora molto giovane al momento della sua partenza, è stata vittima di minacce nell’ambito dell’attività di sfruttamento sessuale, conseguente al suo ingresso in Libia, ma ricollegabili alla presenza di riferimenti in Nigeria, dove del resto era stato organizzato il suo viaggio. D’altronde, la circostanza che tali condotte siano state perpetrate al di fuori del Paese d’ origine non esclude la fondatezza del rischio di subire analoghe condotte in Nigeria, proprio perché gli autori materiali degli abusi erano collegati all’organizzazione dedita al reclutamento in Nigeria. In caso di rientro nel Paese d’origine pertanto sussiste il fondato timore che la ricorrente non solo subisca pesanti ritorsioni da parte dei responsabili della tratta, ma sia nuovamente oggetto di tratta, essendo entrata nella rete degli sfruttatori, o possa subire attentati alla vita o all’integrità fisica da parte degli appartenenti all’organizzazione criminale che potrebbero temere delazioni o accuse, potendosi ritenere fondato il rischio che, in caso di rientro nel Paese di origine, la stessa, per sottrarsi a possibili ritorsioni, possa trovarsi in una situazione di tale vulnerabilità da essere esposta al rischio di divenire ancora vittima di tratta. Le fonti COI indicano, infatti, che l’apparato statale nigeriano, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni per combattere il fenomeno in questione, non è in grado ancora di garantire a chi è stato vittima di tratta e rientra del suo paese una adeguata tutela, non essendoci ancora un sistema che ne permetta la protezione piena e la reintegrazione nel tessuto sociale“.

Fondamentale, ai fini della decisione, la relazione prodotta dal Progetto anti-tratta “Oltre la Strada” in capo al Comune di Ravenna, a fronte della richiesta istruttoria – accolta dal Tribunale – di inserire la richiedente protezione in un progetto anti-tratta.

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Tribunale di Bologna, decreto del 31 dicembre 2020