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Status di rifugiata ad una donna nigeriana vittima di tratta. Una vicenda dove emerge l’importanza del supporto degli operatori

Tribunale di Salerno, ordinanza del 2 febbraio 2017

Il Tribunale di Salerno con questa ordinanza riconosce lo status di rifugiata ad una cittadina nigeriana vittima di tratta. La sentenza assume una particolare rilevanza poiché la storia della richiedente è molto simile a quella di altre donne vittime di tratta e sfruttamento sessuale (in particolare provenienti dalla Nigeria) che potrebbero usufruire della protezione internazionale, o che all’audizione con le Commissioni territoriali hanno evidenti difficoltà nel riferire la realtà della loro esperienza, un fattore riconducibile – come conferma il Giudice – ad una reale paura per le possibili conseguenze delle loro dichiarazioni.

In questa vicenda, il supporto degli operatori del programma di tutela delle vittime di tratta ha permesso alla donna di non cedere alle pressioni dei trafficanti ed accettare di continuare il percorso intrapreso.
Dinanzi al Giudice la ricorrente ha raccontato una serie di elementi tipici di questo tipo di reclutamento. In particolare, corrispondono al modus operandi utilizzato dalle organizzazioni criminali dedite al reclutamento e allo sfruttamento della prostituzione delle donne nigeriane le seguenti circostanze riferite dalla ricorrente: 1) primo contatto dell’organizzazione tramite un personaggio di spicco della comunità di cui la donna si fida, che, in questo caso, aveva preso accordi direttamente con la madre della giovane e che poteva contare sullo stato di bisogno della ragazza in considerazione delle sue gravi patologie;
2) sottoposizione al rito voodoo;
3) presenza di una figura femminile chiamata “madame” che dichiara alle ragazze di effettuare un prestito in danaro per aiutarle a espatriare dietro l’assunzione dell’impegno a restituire la somma versata;
4) rivelazione alle ragazze dell’occupazione che dovranno svolgere, una volta arrivate nello stato europeo di destinazione, o, comunque, solo dopo che le donne si sono allontanate dal paese natio (nel caso di specie una volta giunte in Libia).
Le fonti informative consultate (vedi F. Bosco, (Emerging Crimes and Counter Human Trafficking, UNICRI), “Tratta di persone Nigeria-Italia. Caratteristiche del fenomeno e criticità“), riferiscono che “un elemento di particolare rilevanza è il giuramento che la donna (adulta o minore) deve sostenere di fronte a coloro che partecipano all’organizzazione del viaggio e che l’aiutano ad espatriare ufficializzando anche davanti ad avvocati civili oppure davanti a figure religiose (in genere il baba-low, che svolge una funzione di garanzia e controllo all’interno delle comunità locali) l’impegno alla restituzione del denaro ricevuto.
Impegno che viene suggellato tra le parti (donna o giovane migrante e le persone “benefattrici” o “sponsor” – comunemente chiamate maman – che le aiutano nell’impresa) da riti che in parte, si richiamano alle pratiche tradizionali del woodoo o ju-ju. Questo giuramento celebrato dal baba-low o native-doctor, nello shiran, il luogo preposto alle funzioni rituali, ingiunge alle donne di rispettare senza possibilità di negoziazione, il patto di restituzione del denaro ricevuto una volta arrivate a destinazione ed iniziato il lavoro promesso e prefigurato dalle maman-sponsor. La tenacia e l’ostinazione con cui le ragazze tengono fede al patto, deriva dalla forza con cui il sistema culturale di riferimento è ancora tenuto vivo attraverso queste pratiche rituali. La maman é la benefattrice e lo sponsor dell’operazione di espatrio
“.
Secondo la relazione dell’EASO – COI – Nigeria, la tratta di donne a fini sessuali datata ottobre 2015, “la maggior parte delle vittime di tratta viene da Benin City (come nel caso di specie), capitale dello Stato di Edo oppure dai villaggi vicini. Il reclutamento nelle aree rurali sembra più comune oggi che agli albori del fenomeno della tratta. Nelle aree rurali povere della zona di Benin City, i genitori tendono spesso a fare pressione sulle figlie giovani affinché contribuiscano al sostentamento della famiglia. Le donne reclutate nelle aree rurali riferiscono di essere state portate in grandi città, in particolare a Lagos e Benin City”.

Assieme alle fonti sopracitate sono state utilizzate le linee guida dell’UNHCR.
L’Alto Commissariato per i rifugiati ha sviluppato delle linee guida di protezione internazionale, per l’applicazione dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967, relativi allo status dei rifugiati alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta (disponibili su http://www.refworld.org/docid/4ae17da12.html).
Tali linee guida evidenziano come le vittime, o potenziali vittime, della tratta possono rientrare nella definizione di rifugiato contenuta nell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e potrebbero pertanto avere titolo alla protezione internazionale che spetta ai rifugiati.
In particolare, possono essere considerati atti persecutori rilevanti ai fini della Convenzione, le azioni che coinvolgono gravi violazioni dei diritti umani, come una minaccia alla vita o alla libertà, come il rapimento, la detenzione, lo stupro, la riduzione in schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, il lavoro forzato, il prelievo di organi, le percosse, la riduzione alla fame, la negazione di cure mediche.
Oltre alla persecuzione vissuta dagli individui nel corso della loro esperienza di tratta, essi potrebbero essere oggetto di ritorsioni e/o di possibili nuove esperienze di tratta se fossero rinviati nel territorio dal quale sono fuggiti o nel quale sono stati vittime di tratta.
I trafficanti potrebbero inoltre infliggere ritorsioni a membri della famiglia della vittima e ciò potrebbe rendere fondato il timore di persecuzione da parte della vittima, anche se quest’ultima non è direttamente oggetto di tale vendetta.
Parimenti può costituire persecuzione il reclutamento forzato o ingannevole di donne e minori per fini di prostituzione forzata o sfruttamento sessuale, che è una forma di violenza legata al genere. Le donne e i minori vittime di tratta possono essere particolarmente suscettibili di gravi ritorsioni da parte degli sfruttatori dopo la loro fuga e/o al loro ritorno.
Le vittime e le potenziali vittime di tratta possono qualificarsi come rifugiati quando essi temono di essere perseguitati per ragioni legate alla loro appartenenza a un particolare gruppo sociale. Le donne costituiscono un esempio di un sottoinsieme sociale di individui che sono definiti da caratteristiche innate e immutabili e sono spesso trattate in modo diverso rispetto agli uomini. In questo senso esse possono essere considerate un particolare gruppo sociale (si vedano inoltre le “Linee guida UNHCR sulla persecuzione di genere“). I fattori che possono distinguere le donne come obiettivi dei trafficanti sono generalmente connessi alla loro vulnerabilità in determinati contesti sociali.

Il Giudice sulla scorta di tali premesse ha ritenuto che la richiedente abbia già subito atti persecutori, consistiti nel reclutamento ingannevole, nella minaccia al fine di costringerla alla prostituzione, attuata anche conducendola forzatamente in una casa di prostituzione in Libia, e che potrebbe subirne di ulteriori, concretantisi in minacce ai suoi familiari e in ritorsioni da parte dell’organizzazione di trafficanti nel caso di un suo rientro in patria. Ella, inoltre, già in quanto donna, appartiene senz’altro ad un particolare gruppo sociale più vulnerabile rispetto ai predetti atti persecutori, ma tale vulnerabilità risulta ulteriormente accresciuta dalla sua condizione patologica per la grave malattia cardiaca dalla quale è afflitta.
Sebbene, inoltre, il quadro normativo ed istituzionale nigeriano preveda forme di tutela a favore delle vittime di tratta, si reputa che tali misure, vista anche l’incidenza e l’estensione del fenomeno nel Paese, non possono essere assicurate con certezza ed efficacia tali da scongiurale il rischio sopra rappresentato.

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Tribunale di Salerno, ordinanza del 2 febbraio 2017