Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 13 marzo 2004

Stranieri in campagna. Elettorale di Cinzia Gubbini

Si applaudono vicendevolmente, chiamati a uno a uno dal consigliere Maurizio Bartolucci, con le battute del caso, tipo «questo è un nome impronunciabile…». I 51 candidati alle elezioni per conquistare i quattro posti da consigliere aggiunto nel comune di Roma siedono sugli scranni dell’aula Giulio Cesare insieme a quelli a quelli che concorreranno alle elezioni nei 19 municipi. Sono i futuri rappresentanti degli immigrati romani, presentati ieri ufficialmente dalla giunta capitolina. Si alzano e salutano, qualcuno mostra il manifesto elettorale, un’indiana si inchina con le mani giunte. Tutti in piedi quando parla il sindaco Walter Veltroni per dargli il benvenuto e sottolineare che questo accade a Roma, che non solo è la capitale, ma anche la «città della pace e multiculturale» e che la decisione di sperimentare il voto per gli stranieri «è un messaggio a tutti i cittadini, perché bisogna aprire le porte e fare leva sulle responsabilità reciproche». Si apre così ufficialmente la tornata elettorale che si concluderà il 28 marzo, quando i 33 mila stranieri che si sono iscritti tra novembre e gennaio alle liste elettorali si recheranno alle urne. Tra di loro – e il dato è molto significativo – 15.600 saranno donne. Tra i candidati – altrettanto significativo – la loro presenza scende al 35%, anche se saranno tutelate dalla decisione – contestata da qualcuno – di riservare due posti alle donne, comunque vada il voto.

In questi giorni gli iscritti stanno ricevendo a casa il certificato elettorale. I seggi saranno 36, si vota dalle 8 alle 22, la scheda grigia porterà il nome dei 51 candidati al comune, quella verde i nomi dei candidati al municipio di appartenenza. Ma un seggio «volante» arriverà anche nel carcere di Rebibbia dove i detenuti stranieri hanno chiesto di poter votare. Sembra che al funzionario dell’ufficio elettorale, che è andato a raccogliere i nomi, non fosse mai capitato di varcare le porte del carcere. E questo è uno degli elementi che fa dire a Bartolucci, il consigliere diessino a capo della commissione elettorale, che l’iniziativa «è stata un successo».

In comune non si aspettavano più di 12 mila iscritti, ne sono arrivati 33 mila, anche se tanta partecipazione è stata facilitata da un ufficio elettorale che per l’occasione si è fatto itinerante, girando per le piazze, le parrocchie, le ambasciate a raccogliere iscrizioni. Ma dietro questo attivismo delle istituzioni, riconosce Bartolucci «c’è stato l’impegno e la passione di tanti stranieri, che hanno dato una mano a preparare tutto, hanno dato consigli, hanno discusso».

Certo, l’esperimento che sta per partire a Roma ha tante lacune, e lungo la strada ha anche incontrato qualche buca (come la decisione di fare tutto in fretta e furia, raccogliendo le iscrizioni proprio quando molti immigrati erano in ferie). I quattro consiglieri – uno per continente – non avranno diritto di voto, ma solo di parola. Non potranno formare commissioni, e tanto meno capeggiarle. Potranno soltanto proporre delibere e interloquire, ovviamente su tutto e non solo sui problemi legati all’immigrazione. Comunque troppo poco. Ma questi limiti, in fondo, non sono che un riflesso dell’arretratezza della politica italiana. Raccontata dalla stessa storia della delibera che istituisce il voto: presentata nel `96 e rimasta per otto anni in un cassetto, bloccata dall’ostruzionismo della destra – che ha abbassato la cresta solo dopo la famosa proposta di Fini di dare diritto di voto agli immigrati, unica conseguenza tangibile di quella boutade – e il disinteresse di una fetta della sinistra a portare avanti questa battaglia.

Ieri Veltroni ha assicurato che l’obiettivo dell’amministrazione «è che gli immigrati possano votare alle amministrative», anche se la giunta romana non ha intenzione di inerpicarsi sulla strada delle iniziative comunali per concedere il diritto di voto tout court agli stranieri. Certo, l’esperimento romano suscita una serie di dubbi. E’ lecito indire elezioni «etniche»? Non sarà un semplice voto di appartenenza nazionale, piuttosto che politico? «I pericoli ci sono – commenta Bartolucci – ma la democrazia è fatta di rischi, e di processi».

E a ben guardare sono gli stessi stranieri che si scrollano di dosso gli stereotipi troppo facili. Parecchi candidati hanno già creato alleanze trasversali, gruppi transnazionali hanno discusso insieme i programmi, comunità che speravano di poter candidare una sola persona, così da avere più possibilità di diventare rappresentante del continente di appartenenza, hanno fallito, e i candidati si sono mossi autonomamente. Ad aver eletto un unico candidato è stata solo la comunità cinese.

A candidarsi sono gli immigrati più attivi, i loro curriculum lasciano di stucco: la maggior parte di loro è laureata, tanti lavorano da anni nel sociale, nei loro paesi hanno lavorato nelle amministrazioni, anche se in Italia hanno dovuto riciclarsi in alto modo. Bisogna registrare che i partiti italiani si sono buttati a capofitto in questa tornata. Persino la destra. Qualche candidato giura di aver ricevuto un invito a cena persino dal presidente della regione Lazio, Storace. Resta da sperare che tanto interesse permanga anche dopo il voto, e che i quattro consiglieri possano farsi valere.