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Sulla Iuventa e il caos nel Mediterraneo

Appunti per capire cosa sta succedendo e orientare l'azione politica

Gli eventi

Scrivo da Malta, dalla base operativa di Jugend Rettet. Sono stato e rimango al loro fianco per supportarli quanto possibile. La sequenza di eventi che ci ha portato qui è lunga e nota ai più. Credo inoltre non sia la parte più interessante su cui concentrarsi. In ogni caso trovate il racconto multimediale della missione e dei preparativi su Melting Pot.

Il racconto si interrompe bruscamente poco prima che l’IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) di Roma ci ordinasse di tornare a Lampedusa. Ci siamo diretti infatti verso l’isola sotto ordine della Guardia costiera. La mattina successiva abbiamo però ricevuto una chiamata sempre dallo stesso ente che ci segnalava una barca in distress. Abbiamo quindi ricevuto l’ordine di eseguire un search pattern molto ampio per trovarla, e questo ci ha impegnati per tutta la giornata. Al calar del sole le ricerche sono state sospese e, sempre seguendo gli ordini, abbiamo portato i due migranti che avevamo a bordo verso l’isola. Abbiamo richiesto una motovedetta per trasbordare i migranti in mare senza dover entrare nel porto e perdere molto tempo, per noi essenziale visto il desiderio di tornare il prima possibile nella SAR zone ed essere pronti a salvare delle persone in difficoltà.

Ci è stato detto che le imbarcazioni della Guardia costiera erano rotte a causa di problemi ai motori. Abbiamo quindi risposto che non era un problema, essendo solo due persone avremmo inviato il RIB, la scialuppa motorizzata, per velocizzare l’arrivo e lo sbarco. A quel punto ci è stato ordinato di entrare nel porto con la Iuventa e ben cinque diverse imbarcazioni si sono mosse per scortarci.
Questo dispiego eccezionale di mezzi è servito mediaticamente a dare l’impressione che fossimo sotto arresto, cosa che non era vera.

Il resto è noto, ci è stato chiesto di fermarci per la notte e di presentarci la mattina dopo per un interrogatorio da parte della Guardia costiera, presentatoci come una procedura di routine. Solo in tarda mattinata abbiamo scoperto che era in corso una perquisizione della nave. E successivamente abbiamo scoperto che la nave era stata posta sotto sequestro.
L’impressione generale è stata di enorme stupore, soprattutto nel constatare che la stampa sembrasse essere sempre un passo avanti, nel commentare e pubblicare foto e audio provenienti da un’inchiesta di cui nessuno era ancora a conoscenza. Abbiamo poi scoperto che si tratta di un’inchiesta della Procura di Trapani che formula l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, tutt’ora contro ignoti.


Il codice di condotta

Formalmente non c’è nessuna relazione tra queste accuse e il fatto che Jugend Rettet non abbia firmato il codice di condotta. Così come formalmente non c’è nessuna relazione tra il codice e il fatto che la nave di MSF non sia attraccata a Lampedusa il 6 agosto, ma abbia dovuto trasbordare i migranti in mare. L’ordine di recarsi a Lampedusa era stato impartito dall’IMRCC, che come sempre decide il porto di destinazione, salvo poi modificare l’indicazione e dire che non c’era spazio nel porto per una nave così grande. Ma Marco Minniti, dentro questa grande confusione ci sguazza, e celebra questi atti come una vittoria, confermando la linea dura: le ONG che non firmeranno il codice non avranno più accesso ai porti italiani.

E’ bene ricordarlo ancora una volta: il codice di condotta presentato dal Governo è un bluff clamoroso. Il Governo Italiano non ha nessun diritto di legiferare sulle acque internazionali, né di impedire l’attracco alle navi che hanno soccorso i migranti. Consapevole di ciò, sta cercando di attuarlo con delle pesanti forzature tramite l’IMRCC, che dovrebbe essere l’ente che si occupa di coordinare i salvataggi in mare di qualsiasi imbarcazione in difficoltà e che, invece, in questo momento sta subendo, vigliaccamente, un utilizzo di natura politica.

Da un punto di vista formale non c’è nemmeno nessuna relazione fra il codice di condotta ed i membri di sicurezza arruolati dalla nave di Save the Children, le quali testimonianze hanno letteralmente fatto aprire il fascicolo della Procura di Trapani, e la nave C-star degli identitari, che per correttezza vanno chiamati semplicemente fascisti.
Questa nave, nonostante numerosi problemi legali e imbarazzanti “incidenti”, è ora libera si scorrazzare per la zona SAR occupando il canale radio 16, un canale di comunicazione dedicato esclusivamente alle emergenze: se qualsiasi nave dovesse aver bisogno di chiamare i soccorsi, potrebbe essere impossibilitata a farlo dai fascisti che in violazione di leggi internazionali lo stanno occupando con messaggi ideologici contro le ONG. La nave razzista sarebbe dovuta essere nella zona SAR proprio negli stessi giorni in cui la trappola governativa si chiudeva sulla nave di Jugend Rettet, se non fosse stato per il tempo perso a Cipro.

La querelle sul codice di condotta e gli episodi sopracitati non hanno un collegamento tracciabile. Ma per il New York Times, in un’intervista lunghissima e a dir poco positiva sulla figura di Minnitti, c’è una esplicita lode per il suo incredibile intervento (sic!) capace di chiudere la rotta del Mediterraneo centrale. Fin dal principio dell’articolo, viene affibbiato al ministro degli interni un epiteto molto esplicativo, generato dalla sua nota familiarità con gli ambiti dei servizi segreti di mezzo mondo: “The Lord of Spies“.

E’ facile supporre che quando il Governo si sarà liberato delle ONG “ribelli” che non vogliono accettare il codice, sarà altrettanto rapido nel rendere inefficaci, o quantomeno silenziose, tutte le altre. E’ perciò importante dimostrate tutta la solidarietà possibile alle ONG che non hanno firmato il codice, che hanno deciso lucidamente di non di asservirsi – di fatto – al governo e di trasformare il loro operato in qualcosa d’altro. Come ha fatto notare un membro dell’equipaggio della Iuventa: “Cosa succederebbe se una “barca di pescatori” decidesse di esigere indietro il motore e il barcone dove si trovavano i migranti? E se i poliziotti a bordo affrontassero la trattativa usando un’arma? E se dalla barca dei pescatori uscisse un Ak-47?“.

Il codice di condotta chiede esplicitamente di portare a bordo del personale di polizia armato in una situazione nel quale la sicurezza dell’equipaggio è già al limite.
Eppoi, il passaggio successivo potrebbe essere quello di trasformare le navi da soccorso in degli hotspot galleggianti funzionali al respingimento dei cosiddetti migranti economici. Perché nel mentre tutti i media ed i partiti a reti unificate si scagliano contro i soccorritori, nel Mediterraneo sta effettivamente avvenendo un cambiamento decisamente epocale.

Il caos nel Mediterraneo

Dopo essere riuscito ad inviare una corazzata verso la Libia in supporto della Guardia costiera libica, operazione che è stata preceduta dall’addestramento e dalla consegna di 4 motovedette tramite l’operazione Sophia di EuNavforMed, Minniti si prepara ad incassare un’altra vittoria. Quasi un migliaio di migranti sono infatti stati riportanti in Libia da parte della Guardia costiera libica nel giro di un paio di giorni, il 5 e 6 agosto. Quello che però viene taciuto è che le imbarcazioni sono state bloccate e recuperate a 23 miglia lontano dalle coste libiche, cioè in piena zona SAR. Le acque territoriali libiche finiscono sulle 12 miglia e fino ad ora la zona di acque internazionali oltre quella soglia era battuta dalle ONG.

Se non fosse ancora chiaro, il piano del Governo è questo: chiudere definitivamente la rotta del Mediterraneo centrale tramite la presenza e le minacce della Guardia costiera libica che prenderà il posto delle ONG. Ci sono almeno tre punti per cui questo piano è non solo assurdo ma crudele.

Il primo sono le leggi internazionali: è stabilito che le persone soccorse in acque internazionali devono essere riportate nel “porto sicuro più vicino“. La Libia non lo è: perfino l’UNHCR, non certo un gruppo di attivisti, definisce i campi in Libia non come campi profughi ma come prigioni. Secondo le dichiarazioni rilasciate da Vincent Cochetel il 4 agosto: “Non ci sono campi o ‘centri” per i migranti in Libia, ma solo prigioni, alcune controllate dalle autorità, altre da milizie e trafficanti, e vi sussistono condizioni orribili. Chiunque venga sbarcato sulle coste libiche torna in queste carceri. Possiamo sperare che un giorno ci saranno centri decenti e aperti, ma oggi non esistono”.

Il secondo punto è relativo alla Guardia costiera libica. Ricordiamo ancora una volta che in Libia è in corso una guerra civile è che questa “istituzione” non risponde a nessun governo in particolare. Sono tantissime le testimonianze che la descrivono come parte di una milizia o di un signore della guerra. In particolare, l’attivista indipendente Nawal Soufi ha raccolto e denunciato più volte la connivenza tra i guardacoste ed i trafficanti. Addirittura i migranti, come emerge nelle denunce raccolte da Amnesty, dopo essere intercettati in mare vengono rivenduti ai trafficanti, che a loro volta chiedono un riscatto per liberarli creando un orrendo circolo vizioso.

Infine, l’ultimo motivo è che la Guardia costiera libica non ha dei mezzi di soccorso, bensì un apparato militare. Non saranno mai in grado di soccorrere i migranti come lo facevano le ONG, nonostante le mille difficoltà. Questo porterà ad un aumento dei naufragi e dei morti in mare, già nel 2017 il dato è di 2500 vittime. Si confermerà cinicamente che il Mediterraneo è il confine più mortale al mondo.

Alla luce di queste considerazioni, è evidente che l’impegno del Governo è (e sarà) incentrato sull’impedire che ci siano occhi indiscreti in grado di testimoniare questa strage, il costo umano da sacrificare per la chiusura della Rotta Centrale del Mar Mediterraneo. E nel frattempo la favola che verrà raccontata ricondurrà la causa delle morti in mare ai trafficanti. Senza sminuire la spregevolezza del traffico, questi orribili individui non fanno altro che vendere una merce rara, il viaggio verso l’Italia. Il vero nodo critico è che le persone siano costrette a rivolgersi a loro per la totale mancanza di vie legali per arrivare in Europa, per l’ottusità di non accettare una migrazione circolare e libera. Sono le politiche inumane della Fortezza Europa le uniche vere responsabili di queste morti.

L'equipaggio della Iuventa
L’equipaggio della Iuventa

Pensieri da Lampedusa

E’ molto difficile riuscire a fare delle conclusioni.
Il mondo sembra davvero un posto buio e senza speranza. In pochi tra i commentatori e pseudo giornalisti, e ce ne sono stati fin troppi, hanno notato dove si è svolta l’assurda vicenda del sequestro della Iuventa. Senza più una nave, l’equipaggio ha dovuto trovare un posto dove dormire, e fortunatamente ci è stato offerto un campeggio per turisti, che si snoda fino al mare incastonato nella roccia bianca tipica dell’isola. La spiaggia sembrava una cartolina.

In quell’esatto luogo, a poche centinaia di metri, si è svolta la tragedia del 3 ottobre 2013 che ha portato tanto orrore ed indignazione da costringere l’Europa a formare la missione Mare Nostrum, ma non abbastanza per aprire dei canali umanitari. Oggi quella strage sembra persa nella memoria, quasi dimenticata da tutti. Per me è impossibile da dimenticare, se non altro perché il 3 ottobre è il mio compleanno. Ed è così, per una serie di circostanze assurde, che mi ritrovo nel luogo esatto di quella strage che mi perseguita ogni anno con puntualità, insieme ad un gruppo di ragazzi provenienti da tutto il mondo.
Un equipaggio incredibile riunitosi per salvare delle vite. Senza volere nulla in cambio, spendendo il proprio tempo ed i propri soldi, mettendo se stessi in pericolo in situazioni al limite, pur di salvare degli sconosciuti.

In questi giorni quei morti mi perseguitano più che mai. Quante madri e quanti bambini c’erano fra loro? E quanti saranno coloro che li piangono, o peggio ancora li cercano da lontano? Più di 30.000 sono morti nel Mare Nostrum dall’inizio del 2000. Riusciamo davvero anche solo ad immaginare tutte queste vite senza ridurle ad un numero?
Ma soprattutto, morti per cosa? Si dà per scontato che l’immigrazione sia un problema di sicurezza e non di politiche sociali. Si continua a parlare degli immigrati, ma non si nomina mai che siamo un Paese di emigranti e che, per esempio, nel 2015 in Italia il numero di chi partiva per l’estero era maggiore di quello dei nuovi arrivati. Così come si ignora che abbiamo, in Italia e in Europa, un problema demografico che è lo specchio di quello che avviene in Africa. Per non nominare il nostro sistema d’accoglienza, mangiato dalla criminalità organizzata e da anni di politiche emergenziali e non strutturali.

Ma soprattutto abbiamo dimenticato di essere antirazzisti e cittadini del mondo. Perché io dovrei avere il diritto di andare a studiare all’estero e un ragazzo congolese no? Per quale motivo un ingegnere, un musicista o un muratore nigeriano dovrebbero avere problemi a trasferirsi in Europa? Non sto nemmeno parlando del colonialismo e del neo-colonialismo delle multinazionali, per i quali dovremmo essere in debito con i popoli africani. Parlo semplicemente di un’umanità che va oltre il colore della pelle. Ci riempiamo la bocca di “valori europei”, incolpando i migranti di metterli a repentaglio, ma non ci accorgiamo che sono le politiche razziste di casa nostra che stanno prosciugando ogni goccia di umanità che era rimasta.

Mi viene in mente una frase di un noto saggio etiope che diceva “Finché il colore della pelle non sarà considerando tanto quanto il colore degli occhi, ci sarà la guerra”. Sicuramente si riferiva alla guerra fra eserciti, a quella dei ricchi contro i poveri, che tuttora dilania il nostro pianeta. Ma voglio interpretarla anche diversamente, dicendo che noi, coloro che credono che l’umanità sia una sola e vada oltre al colore della pelle, saremo in guerra contro i razzisti di tutto il mondo. Prepariamoci dunque, perché i nostri nemici si scaglieranno contro di noi con tutta la loro forza. Ma ci troveranno orgogliosamente in piedi, in direzione ostinata e contraria.

Tommaso Gandini

Racconto migranti e migrazioni dal 2016, principalmente tramite reportage multimediali. Fra i tanti, ho attraversato e narrato lo sgombero del campo di Idomeni, il confine del Brennero, gli hotspot e i campi di lavoro nel Sud Italia. Nel 2017 ero imbarcato sulla nave Iuventa proprio mentre veniva sequestrata dalla polizia italiana. Da allora mi sono occupato principalmente del caso legale e di criminalizzazione della solidarietà.