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Sulla pelle dei migranti

Human Rights Watch denuncia come negli Emirati Arabi Uniti i lavoratori migranti vivono come schiavi.

Il governo ha promesso riforme, come dopo la rivolta di un anno fa. Ma per adesso nulla è cambiato per i circa 500mila immigrati che contribuiscono in modo determinante allo sviluppo di un Paese che, in collaborazione con le grandi aziende occidentali che vincono gli appalti, non li considera esseri umani.

“Il governo degli Emirati Arabi Uniti, Paese che sta vivendo uno dei maggiori sviluppi edilizi del mondo, ha fallito nel tutelare i circa 500mila lavoratori migranti che vi lavorano da una serie di gravi abusi e di violazioni dei loro diritti”.

I nuovi schiavi. Non va per il sottile Sarah Leah Whitson, direttore per il Medio Oriente di Human Rights Watch (la principale organizzazione non governativa che si batte per il rispetto dei diritti umani nel mondo), nel presentare alla stampa, il 7 novembre scorso, il rapporto di Hrw sulle condizioni dei lavoratori stranieri negli Emirati. Il giorno stesso, mentre a New York la Whitson incontrava i giornalisti, lo sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, primo ministro e vice-presidente, ha ordinato al ministro del Lavoro Ali bin Abdullah al-Ka’abi di dare immediata attuazione a un pacchetto di riforme tese a migliorare le condizioni di tutela dei lavoratori migranti, che tengono in parte conto anche delle raccomandazioni di Hrw. “Il decreto del primo ministro per proteggere i diritti dei lavoratori migranti è un passo nella giusta direzione”, ha commentato la Whitson, “ma bisogna fornire ai migranti stessi gli strumenti per difendersi dalle violazioni delle grandi aziende che vincono gli appalti per la costruzione delle grandi opere”. Queste violazioni sono elencate nelle 71 pagine del rapporto, che raccoglie interviste ai lavoratori, a funzionari del governo e a rappresentanti delle aziende.

Una vita d’inferno. E l’elenco è impressionante: paghe misere che a volte non vengono neanche saldate, condizioni di lavoro con orari inumani e la totale assenza delle minime condizioni di sicurezza, associate alla decisione di trattenere il passaporto a molti lavoratori che poi, a costi elevati, vengono costretti a ‘riscattarli’ per essere liberi di tornare a casa.
Questa situazione portò, circa un anno fa e per la prima volta nella storia, alle prime manifestazioni di protesta dei lavoratori e al tentativo degli stessi di costituirsi in un sindacato. Le proteste vennero brutalmente represse dalla polizia, ma il governo riuscì a far tornare nei cantieri gli operai con la promessa di una revisione del diritto del lavoro negli Emirati. Ma la denuncia di Hrw dimostra come poco o nulla è stato fatto nell’anno appena trascorso. Il governo ha promesso adesso, come allora, di fissare un monte massimo di ore lavorative, l’istituzione di una Corte speciale per i lavoratori e il riconoscimento delle organizzazioni sindacali. Il tutto affiancato dalla formazione di un gruppo speciale di ispettori governativi che controllino l’applicazione delle leggi. Inoltre il governo si è impegnato per migliorare le condizioni di lavoro e di alloggio dei lavoratori migranti.
Infatti la stragrande maggioranza dei lavoratori migranti, provenienti dai paesi più poveri dell’Estremo Oriente, vivono in bidonville vicine ai cantieri dei cosiddetti ‘elefanti bianchi’, nomignolo con il quale vengono definite le costruzioni all’avanguardia che hanno fatto degli Emirati Arabi Uniti un punto di riferimento dell’edilizia contemporanea. Sulla pelle dei migranti.

Christian Elia