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da Il Mattino di Padova del 31 gennaio 2005

Tangenti per i permessi di soggiorno

di Enzo Bordin
Tangenti da due o tremila euro a testa sborsate da oltre un centinaio di stranieri al loro datore di lavoro che li utilizzava in «nero» tenendoli in pugno come ostaggi: è il succo dell’inchiesta iniziata due anni fa dai Finanzieri del Nucleo provinciale di polizia tributaria di Padova e conclusa in questi giorni con la denuncia di otto persone accusate di estorsione, truffa e falso ideologico ai danni non solo degli extracomunitari costretti a pagare, ma anche dell’Inps. A rendere ancor più tormentate le indagini, coordinate dal pm Maria Ignazia D’Arpa, fu l’iniziale constatazione che l’azienda coinvolta nel «pasticcio» risulatva la «Nuova cooperativa veneta servizi» di viale Cavallotti 46, ora chiusa e messa in liquidazione.
Le indagini presero slancio nel novembre 2002, con l’arresto di Silvano Cesarotto, 56 anni di Padova, vice-presidente e gestore di fatto della cooperativa, in esecuzione del provvedimento restrittivo firmato dal gip Claudio Marassi, su richiesta del pm d’Arpa. Venne poi scarcerato in attesa di giudizio. E con lui furono inquisiti, per concorso in estorsione, il presidente della cooperativa, il figlio dello stesso vice-presidente e un socio che avrebbe iniziato a «spremere» gli immigrati all’insaputa degli altri.
A scoprire il velo dello scandalo fu un ragazzo diciottenne rumeno. Riferì d’essere stato costretto a versare 2 mila euro per sanare la posizione di extracomunitario «lavoratore in nero», secondo la procedura indicata dalla legge Bossi-Fini. In Italia con papà invalido e mamma casalinga, accettò subito il lavoro offerto dalla cooperativa di facchinaggio, avendo il permesso di soggiorno in scadenza. Chiese pertanto al responsabile d’essere messo in regola. Ma non successe niente. Dopo varie insistenze, arrivò la richiesta estorsiva: duemila euro per la regolarizzazione. Non possedendo il becco di un quattrino, il giovane rumeno chiese al fratello i primi 500 euro in prestito. E seguirono le trattenute sul salario mensile. Sentendosi con il cappio al collo, chiese aiuto ai finanzieri della «tributaria», solerti nel perquisire gli uffici della Cooperativa.
In questi due anni l’inchiesta si è arricchita di ulteriori elementi indiziari, ottenuti tramite pedinamenti, assunzioni testimoniali, accertamenti tecnici e perquisizioni. E’ emerso un quadro drammatico, con lavoratori sfruttati, sottopagati e costretti a lavorare «in nero» a ritmi incessanti. Gli inquirenti hanno pure constatato ulteriori circostanze penali nei confronti non solo degli stessi gestori della «Nuova cooperativa veneta servizi» ma anche di altri soggetti estranei alla stessa azienda.
La prima riguarda le false certificazioni di disponibilità d’alloggio (comprese le dichiarazioni d’ospitalità) concesse alle vittinme previo pagamento di ulteriore tangente. La seconda irregolarità concerne invece le false istanze di emersione di lavoro irregolare dei dipendenti della cooperativa extracomunitari. A loro insaputa, essi «figuravano regolarizzati da ignoti datori di lavoro e con mansioni differenti (colf, addetto al lavoro domestico) rispetto a quelle effettivamente svolte, ossia di operaio addetto al lavoro subordinato» puntualizza la Guardia di finanza in un comunicato. Di qui l’imputazione per tutti di «falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico». Per alcuni c’è anche il «concorso in truffa ai danni dell’Inps».
Emerge un quadro desolante. Grazie all’azione decisiva svolte dalle Fiamme Gialle è stato possibile smascherare un «mercato» lontano anni luci dalla decantata integrazione sociale. Più di un centinaio di lavoratori stranieri, immuni da precedenti penali e già gravati dall’esperienza dell’emigrazione, avevano quale unico obiettivo quello d’inserirsi costruttivamente nel contesto normativo, sociale e produttivo del Paese.
E non mancano i casi disperati. Come quello di una famiglia rumena di tre persone che aveva accettato di condividere, a 450 euro al mese, un mini-appartamento di 30 mq con altri 5 connazionali che, come loro, avevano bussato alla porta di una Onlus padovana per cercare una modesta sistemazione. Sono caduti dalla padella alla brace.