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da Il Manifesto del 4 ottobre 2005

Tangeri-Genova, con i migranti che ce l’hanno fatta

Ornella Tommasi

C’è un altro controesodo di fine estate che arriva da questa sponda del Mediterraneo. Ma una volta tanto non sono state le carrette del mare a sbarcare persone sulle coste europee, né folle di disperati a dare l’assalto alle recinzioni di frontiera come nei giorni scorsi a Ceuta e Melilla, ma navi di linea che dal Marocco riportavano in Italia e Francia gli immigrati «regolari», quelli che ce l’hanno fatta a conquistare casa, lavoro e soprattutto permesso di soggiorno. A fine estate ogni giorno, per settimane, si ripete lo stesso spettacolo: migliaia di auto confluiscono al porto di Tangeri da tutto il Marocco. Con le macchine cariche fino all’inverosimile, qualcuno ha sistemato sul portabagagli un intero salotto in stile marocchino, altri esibiscono sul tetto monumenti di plastica e scotch da fare invidia alle opere di Christo. Ogni giorno sono in centinaia a far la fila per l’imbarco sulla nave «Ouzoud», destinazione Genova, e da lì tutta l’Italia del Nord. La stazione marittima è strapiena e l’attesa è lunghissima, perché spesso la partenza della «Ouzoud» coincide con quella della «Biladi», stessa compagnia, che fa rotta su Sète, nel Sud della Francia. E il molo Est non le contiene tutte e due.

«In Francia però ci mandano le navi migliori», commenta Khadija, due o tre bambini al seguito, che nel frattempo ha organizzato un picnic in un quadrato di cemento all’ombra risicata dei locali della dogana. Un pasto caldo con cuscus e verdura, mica i soliti panini. Due emigrazioni a confronto ravvicinato: quella francese, già alla quarta generazione, meno «fagottara» e meglio equipaggiata, a partire dai modelli delle auto, con una netta prevalenza delle monovolume a fronte delle più modeste utilitarie degli «italiani».

Operazione cordialità

A tutti, com’è la regola da qualche anno a questa parte, è riservata l’«operazione cordialità» nell’accoglienza e nel congedo. Dai grandi striscioni di «Benvenuti a casa» e «Arrivederci» alle aree attrezzate e decentrate per facilitare le operazioni doganali, con tettoie per impedire che le auto si arroventino sotto il sole africano, a cui aggiungere più 13.000 agenti deputati a garantire la sicurezza della traversata, 140 assistenti sociali, 450 tra addetti della Croce rossa e personale medico. E inoltre re Mohammed V è spesso presente a stringere mani e salutare le famiglie in partenza, impegnato in prima persona anche in quanto responsabile della Fondazione, intitolata al defunto re Hassan II, «per l’assistenza ai marocchini residenti esteri». Che sono una fonte sicura di entrate per il paese, visto che le loro rimesse sono la terza voce nel pil, con una media che si aggirava sui 165.000 dirhan (circa 1.600 euro) annuali per emigrato prima che fosse lanciata la grande campagna per investimenti nei settori produttivi in Marocco.

L’impressione è che il mattone raccolga anche qui il maggior gradimento. A cominciare proprio da Tangeri, dove buona parte del boom edilizio è fatto di appartamenti nuovi di zecca le cui finestre si aprono solo un mese all’anno.

La casa in Italia, invece, è ancora irraggiungibile per i più. Se ne parla durante la fila per l’imbarco, in un’attesa che si prolunga dalla tarda mattinata al pomeriggio rovente, tra bivacchi e bambini sempre più nervosi. Abdel si è appena sposato, vive a Fano dove fa il verniciatore in una falegnameria artigiana e abita con i suoceri già installati lì, quindi in grado di affittare una parte della casa alla giovane coppia. «La casa è a due piani, quindi siamo indipendenti. Fano è un posto tranquillo, ci sto bene, e se ho il permesso di soggiorno è grazie al mio padrone che quando è arrivata la legge Bossi-Fini mi ha fatto la dichiarazione che serviva. In Italia ci ero arrivato attraverso la Turchia, allora si poteva».

Per il suo amico Ezzedine, che invece è diretto a Bergamo e non ha una famiglia sua, il ritorno è un po’ più malinconico. Forse si deve a questo il successo dello slogan che reclamizza la compagnia di navigazione: «48 ore di Marocco in più». Tanto dura la traversata ed effettivamente tra un tè alla menta, musica araba e regolari appelli alla preghiera, a bordo ci si può sentire ancora a casa per un po’.

Hakim, che si imbarca da solo, ha una neo-moglie italiana che però è rimasta a Cavallasca, nel comasco. Si sono sposati civilmente, lei non si è convertita perché lui non gliel’ha chiesto, e «i figli, quando verranno, decideranno dopo i diciott’anni». Lui ne aveva 22 quando è arrivato in Italia, «attraverso la Turchia perché non ci voleva il visto e durante lo scalo di sei ore a Malpensa, dove nel `97 c’erano dei lavori, potevi filartela facilmente». Qualche mese al dormitorio, un prete che accetta di affittargli una stanza per un po’, partite di basket all’oratorio e Hakim, che aveva fatto parte della nazionale marocchina, viene notato da un dirigente della squadra dell’Artsana. «L’ingegnere mi ha chiesto di giocare per loro. E io in cambio gli ho chiesto un lavoro». Una storia a lieto fine che in paese gli procura qualche invidia e quelle che lui chiama «domande strane, tipo se so leggere e scrivere o guidare la macchina. Mia moglie è calabrese, anche lei immigrata al Nord con la famiglia, suo padre è un preside di scuola media eppure anche a loro, quando sono venuti su, facevano le stesse domande».

Dal suo racconto viene fuori una provincia italiana fatta di bar dello sport dove l’integrazione di fatto è avvenuta. Qualche sfottò di argomento automobilistico («a casa tua guidavi il cammello e adesso ti sei comprato l’ultima Fiat») ma niente di grave. E Hakim è un tipo paziente, sa adattarsi, quando fa la spesa compra il prosciutto per la moglie e per sé la bresaola, che è un cibo permesso dalla sua religione e in più gli piace da matti.

Orgoglio di fabbrica

Inoltre coltiva ancora quella qualità da noi estinta che è l’«orgoglio di fabbrica». Parliamo della sua azienda e della famosa linea di prodotti Chicco, che sono incredibilmente costosi «ma la qualità è ottima, e quando gli nasce un figlio il dipendente ha il diritto a uno sconto sulla carrozzina e sul resto».

Hakim viene da Casablanca, come Aziza, che invece è diretta a Torino dove l’aspetta un innamorato italiano che stravede per lei e non fa che chiamarla sul cellulare. Sta cercando di lavorare nel sociale, per le organizzazioni che si occupano di immigrazione, perché lei ha un buon livello di scolarizzazione, ha fatto la scuola francese e l’italiano lo parla già benissimo. Aziza è una bella ragazza disinvolta, sulla nave è socievole con tutti, solo per fumare preferisce la cabina perché l’interdetto è ancora molto forte per le donne. E quando si mette in coda per riempire la scheda che serve per lo sbarco, qualcuno le fa osservare che non sta bene («sciuma», che letteralmente significa «vergogna») mischiarsi così con gli uomini. Lei tutta contenta salta direttamente la coda e passa in testa: perché dei tabù bisogna pure saper approfittare, una volta tanto.

Sul suo paese ha opinioni precise: troppe differenze, troppi poveri e pochissimi «ricchi-ricchi, che voi in Europa neanche ve l’immaginate», la discriminazione femminile. In compenso osserva che la tradizione islamica in fatto di donne piace molto agli uomini italiani che ha conosciuto a Torino, li farebbe sentire più tutelati. Per quanto riguarda l’integrazione Aziza ha una sua convinzione personale: «Cerco di vestirmi il più elegante possibile, è importante fare buona impressione sulla gente». Non deve riuscirle difficile, sia per l’aspetto che per la parlantina, e si può crederle quando racconta della solidarietà di un conducente di autobus che l’ha portata a destinazione anche senza biglietto.

Il porto di Genova è già in vista, i piccoli Mustafa, Rachida, Noureddine eccitatissimi si inseguono su e giù per le scale parlando tra loro in italiano con prevalente cadenza lombarda, mentre a bordo si scatenano musichette benauguranti, perfino un natalizio Jingle Bells. I passeggeri più fortunati parlano già di un possibile ritorno per il Ramadan, quest’anno in ottobre. Ma per la gran maggioranza l’appuntamento è per l’estate prossima. Inshallah.