Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

dal Corriere della Sera del 16 marzo 2009

Tanta crisi e poco lavoro: gli immigrati tornano a casa

Dall’«idraulico polacco» all’operaio africano, tutti con le valigie

di Guido Santevecchi

Gli ultimi dati di questa crisi globale dicono che la polemica forse non avrà presto più ragione di esistere: i flussi migratori dal Sud al Nord del mondo quest’anno sono previsti in calo drastico, fino a un 30 per cento in meno. E ondate di lavoratori stranieri stanno cominciando a rimpatriare.
«Presto potremmo assistere a uno tsunami di migranti che ripartono, a milioni», ha detto alla rivista americana Newsweek Joseph Chamie, ex direttore della Divisione Popolazione delle Nazioni Unite.

Paesi come Spagna e Stati Uniti stanno già registrando un saldo netto negativo nel flusso: sono più gli immigrati che lasciano di quelli che arrivano. I numeri europei sono ancora relativamente bassi rispetto a quelli di Asia e Medio Oriente: dalla Malaysia nel 2008 sono ripartiti 200 mila operai indonesiani, messi alla porta da fabbriche che hanno chiuso; la contrazione nella domanda energetica, che ha fatto cadere il prezzo del barile di greggio, spinge anche i ricchi Paesi petroliferi del Golfo a tagliare: metà dei 13 milioni di lavoratori stranieri potrebbero perdere il posto ed essere costretti a ripartire. E poi c’è la Cina, dove 20 milioni di migranti interni che erano andati dalle campagne in città, ora che qualche ciminiera si spegne anche a Shanghai stanno tornando ai villaggi in cui erano nati. Negli ultimi dieci anni dal Messico erano andati in Nord America un milione di lavoratori all’anno, ma nel 2009 le proiezioni indicano che il numero di migranti tentati di attraversare il Rio Grande scenderà del 39 per cento.

In Italia i sindacati segnalano la stessa tendenza: la provincia di Vicenza per esempio ha visto salire a oltre 4mila il numero degli stranieri iscritti nelle liste di disoccupazione e il primo passo per un immigrato rimasto senza lavoro è di rispedire la famiglia in patria. Così quello che era stato chiamato l’idraulico polacco, anche se magari era un senegalese impiegato nella concia delle pelli in una fabbrica vicentina, potrebbe diventare una categoria in via di estinzione, costretto a tornare a casa per mancanza di lavoro, decimato dalla depressione globale.

Forse saranno soddisfatti i francesi benpensanti e sciovinisti che ne avevano fatto il tema centrale del referendum con il quale nel 2005 bocciarono la Costituzione europea fondata sull’allargamento: il plombier polonais li spaventava. Varcata la Manica, il tema era stato tradotto in polish plumber e aveva continuato ad animare il dibattito in Gran Bretagna. Con l’apertura del mercato del lavoro ai nuovi europei dell’Est, il governo laburista aveva immaginato di ricevere non più di 15 mila immigrati orientali ogni anno; invece i soli polacchi sono accorsi a un ritmo di 190 mila l’anno a partire dal 2004, trovando posto soprattutto nell’edilizia.

Hanno cominciato a nascere supermercati con prodotti della gastronomia di Varsavia e nella provincia inglese sono comparsi cartelli stradali in polacco. Qualcuno si è scandalizzato, ai giornali sono arrivate lettere come: « Sir, vorrei sapere per quale motivo il mio pub ora serve soprattutto birra polacca… non mi va giù, questi immigrati dovrebbero abituarsi alle nostre abitudini, non noi alle loro».
Stephen Boyle, economista della Royal Bank of Scotland, nel 2007 scrisse un bel rapporto dal titolo «Gli idraulici polacchi, quelli che riparano le tubature dei vostri bagni e tengono bassi i vostri mutui». La loro irruzione sul mercato del lavoro, per posti che i britannici non volevano, secondo le statistiche del Tesoro aggiungeva ogni anno un mezzo punto percentuale al Pil britannico.

Gli immigrati lavoravano in media quattro ore in più a settimana rispetto agli inglesi e in complesso erano contribuenti netti per la previdenza pubblica (pensioni, disoccupazione, sanità). Il vantaggio per i sudditi britannici in termini di ricchezza nazionale era valutato dal governo laburista in 30 sterline a testa l’anno; un rapporto dei conservatori, accettato dalla Camera dei Lord, aveva polemicamente replicato che si trattava solo di una manciata di pence al mese «sufficienti a comprarsi una barretta di cioccolato ogni trenta giorni». Comunque un guadagno, però.

Ma ora c’è la depressione, è stata investita anche la Royal Bank of Scotland che aveva commissionato quell’inno al polish plumber. E l’ufficio statistiche di Londra segnala che almeno la metà del milione circa di lavoratori arrivati dall’Est europeo è tornata a casa.