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Ecco il testo del decreto in vigore dal 25 febbraio 2009

The road to Lampedusa – L’inferno ora dura 6 mesi

Prolungati per decreto i tempi di detenzione nei Cie

Con le vicende di Lampedusa è saltato ogni schema normativo, già pesantemente restrittivo, in tema di detenzione amministrativa. La struttura, un Cpas in cui trascorrere al massimo 48 ore, già vedeva da mesi rinchiusi moltissimi migranti al di fuori di ogni legittimità giuridica. Poi, un decreto (ancora non pubblico) è intervenuto a modificare la natura del centro: da luogo di primo soccorso e accoglienza a centro di detenzione (oggi Cie). Ma tutto questo non era abbastanza.

The road to Lampedusa…

La strada battuta a Lampedusa, quella della forzatura del già pesante quadro normativo, si fa oggi largo come pratica di normazione d’urgenza.

Così, nel nuovo decreto recante appunto misure urgenti in materia di pubblica sicurezza, quello emanato sull’onda delle ricorrenti notizie di violenze sessuali delle ultime settimane, il Consiglio dei Ministri ha pensato di inserire anche un articolo, tra i tredici che lo compongono, che prolunga i tempi la detenzione all’interno dei Centri di identificazione ed espulsione, dai 60 giorni previsti, a ben sei mesi.

La norma, contenuta nella sua formulazione originaria nel disegno di legge 733, il pacchetto sicurezza, era stata bocciata nella discussione al Senato. Il testo discusso prevedeva tempi di detenzione fino a 18 mesi.
Difficile immaginare di far passare per decreto ciò che l’aula del Senato aveva già bocciato. Ecco che quindi la nuova formulazione dispone il trattenimento per “soli” sei mesi. Comunque un’eternità pensando che chi è detenuto nei Cie subisce una restrizione della libertà personale senza che vi sia stato un processo, una autorità giudiziaria a prevederlo, per il solo fatto di aver violato una norma che ancora rappresenta una violazione amministrativa (anche se nel pacchetto sicurezza si prevede l’introduzione del reato penale sanzionabile con una ammenda da 5mila a 10mila euro).

Il Viminale, per bocca dello stesso Ministro Maroni, aveva già annunciato l’intenzione di ripresentare l’emendamento bocciato dal Senato nella votazione prevista alla Camera dei deputati, ma la ghiotta occasione del nuovo decreto “anti-stupri” ha permesso di anticipare i tempi aggirando la discussione parlamentare. Dopo la pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale la norma entrerà in vigore. Entro 60 giorni il Parlamento dovrà poi convertirla in legge, pena la sua decadenza. Fin da subito comunque, il dispositivo, non mancherà di produrre i suoi effetti.

Ma cosa c’entrano le detenzioni o le espulsioni con gli stupri? Poco o nulla visto che la retorica di questi giorni attribuirebbe ai cittadini rumeni, quindi comunitari, il primato delle brutalità sessuali.

Ciò che va ridefinendosi è piuttosto il nuovo assetto della detenzione amministrativa, anche grazie alle possibilità offerte della direttiva europea sui rimpatri, di fronte ad una crisi economica e globale che sta rimodellando quel legame fino ad oggi inscindibile tra movimenti migratori, utilità per il mercato del lavoro, sfruttamento, in diverse forme, dei migranti regolari ed irregolari.

Due linee di tendenza sembrano incrociarsi dentro a questo nuovo scenario. Quella che da sempre vede la detenzione e la forma campo come dispositivo flessibile di governo della forza lavoro e quella che, dentro all’impossibilità di dare risposte ad una crisi senza precendenti, ha scelto di giocare, intorno alla figura dei migranti, il recupero della legittimità della governace.
La Lega Nord in questo scenario, ovvio, gioca un ruolo centrale. Le spinte autonomiste, indipendentiste, federaliste, quel desiderio diffuso e spesso anche positivo di auto-governo dei territori gridano vendetta davanti ad uno scenario dominato dal centralismo, dall’assenza di fondi per i Comuni, da decisioni imposte dall’alto alle comunità locali. Il Carroccio allora, abbandonata la sfida del governo territoriale, si fa Stato ed intorno allo “straniero” tenta di rinsaldare le basi della sua legittimazione.
Le operazioni di espulsione collettiva dei cittadini tunisini annunciate in questi giorni ed accellerate dopo il disfacimento del progetto Alcatraz in quel di Lampedusa, sono moneta di scambio utile a raccogliere consenso. E’ la funzione simbolica del cpt – ma non per questo non spietata – ad essere in gioco.

Ma muoversi su questo crinale è un esercizio estremamente pericoloso e non privo di “effetti collaterali”. Perchè se è vero che oggi, dentro la crisi, il razzismo trova terreno facile su cui strisciare, è meno sicuro che, negare l’assistenza sanitaria agli irregolari, portare a 200 euro la tassa sui rinnovi, introdurre il permesso di soggiorno a punti, o prolungare i tempi di detenzione, non possa aprire altri orizzonti.

Lo scenario a questo punto è aperto,drammaticamente ambivalente ed incerto.
Davanti a noi abbiamo poche sicurezze e possibilità di previsioni solo approssimative. Per questo scegliamo, su questo tema, di lasciarci con alcune domande.
La crisi, quella che espelle i migranti dal mercato del lavoro, che rende impossibile in mancanza di un reddito il rinnovo del permesso e quindi consegna – e consegnerà sempre più – migliaia di persone all’irregolarità, sarà risolta con deportazioni ed espulsioni di massa che fino ad oggi, da quando è in vigore la legge Bossi-Fini, erano rimaste solo enunciazioni?
Allungare i tempi di detenzione non vuol dire anche poter governare, attraverso l’internamento, la flessibilità del mercato del lavoro nero, la forza lavoro che la crsi trasforma in esercito in esubero?
Trattenere per sei mesi migliaia di persone (magari nelle condizioni disumane che abbiamo visto a Lampedusa) non può voler dire anche intensificare la nascita di quei focolai di rivolta che sempre hanno coinvolto le strutture e che oggi rischiano di diventare semplicemente ovvie e sistematiche davanti a questo tipo di previsione detentiva?

Le risposte, le conferme, positive e negative, hanno a che fare con i processi sociali che la crisi ha messo in moto in questa epoca. Il futuro ci riserverà battaglie come quelle ambiziose degli abitanti dell’isola di Lampedusa o piuttosto atti barbarici e violenti come quelli di Guidonia e Nettuno? E ancora, gli stessi migranti sapranno farsi moltitudine e prendere parola significativamente parlando il linguaggio dei diritti e delle libertà o c’è il rischio che l’imbarbarimento generale a cui stiamo assistendo su questi temi introduca pericolosi processi di chiusura identitaria? Probabilmente davanti c’è uno scenario di spinte positive e negative che vivranno una inedita contemporaneità.
Una cosa è certa. Del razzismo, dello stigma ufficiale, delle discriminazioni come pratica del fare Stato e costruire consenso, questa società in cirsi non ha certo bisogno.
La partita è aperta. La posta in palio è alta. Giochiamocela!

Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa

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