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Theresa May non è interessata al benessere dei rifugiati. Ne vuole solo meno in Gran Bretagna

Patrick Kingsley, The Guardian - 19 settembre 2016

London, UK, 17th September 2016, Refugees welcome here march (Ph. Aghil Maniavi)

Nuova e più efficiente. È così che Theresa May descrive la politica sull’immigrazione che ha proposto al mondo lunedì, prima dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Primo Ministro vuole combattere la migrazione aiutando più rifugiati a restare nel primo paese che raggiungono; distinguendo meglio tra coloro che fuggono dalla guerra e coloro che fuggono dalla povertà; e garantendo agli stati maggiori occasioni di proteggere i propri confini con l’uso della forza o con una recinzione. Intrecciata a questo piano tripartito c’è l’idea implicita che è meglio sostenere i paesi in via di sviluppo piuttosto che offrire asilo ai rifugiati bloccati al loro interno.

Nel contesto globale, i commenti della May sono in un certo qual modo secondari; l’intervento di un leader britannico negli affari internazionali probabilmente conta meno oggi che in qualsiasi punto dei secoli passati. Ma esaminare la versione della May può essere utile.

In breve: non è né nuova, né particolarmente efficace. Il primo punto del suo piano – l’idea che più rifugiati dovrebbero essere incoraggiati a rimanere nel primo paese che raggiungono – non è un’idea nuova. È lo status quo, e la causa che stimola le migrazioni all’origine.

Basta guardare le statistiche. Più dell’86% dei rifugiati vive in paesi in via di sviluppo, e la maggior parte di essi vive nel primo paese che ha raggiunto. Quasi tutti i rifugiati in Turchia, il paese con la più numerosa popolazione di rifugiati al mondo, hanno attraversato il confine dai vicini Siria ed Iraq. Il Libano ospita più rifugiati per abitante e per chilometro quadrato di ogni altro paese al mondo; anche i suoi 1,2 milioni di rifugiati siriani arrivano da dietro l’angolo. I somali nel campo profughi più grande del mondo, in Kenya, sono arrivati dal paese vicino. I tre milioni di afghani in Pakistan hanno attraversato un solo confine.

Quindi, il problema non è che nei paesi ospitanti restano troppo pochi rifugiati. È che troppi sono costretti a farlo. Da quando l’occidente si è rifiutato di trasferire consistenti gruppi di rifugiati dal Medi oriente, o dal Pakistan o dall’Africa orientale, quei rifugiati sono stati costretti a scegliere tra una vita nel limbo – in luoghi dove non hanno accesso a istruzione, a un sistema sanitario o a diritti lavorativi – e una migrazione irregolare in Occidente. E nel 2015, una minoranza corposa ha scelto la seconda soluzione, causando quella che è stata definita la crisi europea dei rifugiati.

Se la May desidera una politica nuova ed efficace, allora l’accoglienza organizzata – e la messa a disposizione di percorsi sicuri e legali – è un’opzione possibile. Invece, la Gran Bretagna è stata una protagonista negli accordi dietro le quinte volti a rimuovere la promessa di trasferire il 10% dei rifugiati del mondo da un nuovo trattato firmato lunedì ad un incontro ONU a New York.

Cosa dire riguardo alla maggiore protezione dei confini di cui parla la May? Di certo non è cosa nuova. È stata l’impulsiva politica prediletta dall’Europa in termini di migrazioni per gli ultimi 15 anni. Non è molto efficace, con muri che si limitano a spingere i migranti da qualche altra parte, spesso nelle mani dei trafficanti. L’intensificato pattugliamento dei confini marittimi delle isole Canarie e i muri sempre più alti tra Spagna e Marocco si sono rivelati inutili una volta che le rotte migratorie si sono spostate attraverso la Libia. L’unico effetto delle due recinzioni di Grecia e Bulgaria ai rispettivi confini con la Turchia è stato l’apertura di nuove rotte per le isole greche. La recinzione ungherese al confine con la Serbia ha deviato le persone verso occidente, attraverso la Croazia. E mentre la palizzata macedone lungo il confine greco ha notevolmente ridotto i numeri della migrazione sulla rotta balcanica quest’anno, almeno 25.000 persone sono passate lo stesso attraverso i Balcani da quando il confine macedone è stato chiuso, in marzo.

Cosa c’è ancora sulla lista della spesa della May? Differenziazione tra rifugiati e migranti economici. Preso così com’è, questo suggerimento è a dir poco maldestro. Una delle lezioni che ho imparato facendo giornalismo sulle migrazioni in più di venti paesi è che il confine tra chi scappa dalla povertà e chi scappa dalla guerra raramente è netto. Come classificare qualcuno che ha lasciato il Senegal per trovare lavoro in Libia, e da lì è scappato per scampare alla guerra? Che definizione dare a un siriano che ha raggiunto la Turchia dalla bombardata Aleppo, e poi ha dovuto lasciarla perché non era autorizzato a lavorare?

Alla May queste sfumature non interessano. Non cerca migliori definizioni – semplicemente vuole cambiarle, così che meno persone in pericolo siano candidabili per la protezione legale in Gran Bretagna. Nemmeno questa è cosa nuova. L’anno scorso, l’Home Office, di cui lei era a capo, ha adottato linee guida estremamente controverse che rendevano molto più difficile per i cittadini eritrei ottenere asilo in Gran Bretagna. Questo cambiamento non ha reso le cose migliori – qualche mese dopo, una commissione ONU ha accusato il governo eritreo di commettere vari e diffusi crimini contro l’umanità a danno del proprio popolo. Ma ha effettivamente ridotto il numero di persone per cui è possibile cercare asilo nel Regno Unito.

Infine, c’è l’implicito suggerimento che si dovrebbe investire nei paesi in via di sviluppo piuttosto che finanziare programmi di accoglienza. Lo sviluppo è sicuramente necessario in senso lato, e a lungo termine potrebbe ridurre le migrazioni. Ma i ricercatori nel campo hanno dimostrato che non è una panacea. Come specialisti del calibro di Hein de Haas hanno spiegato: “La migrazione inizialmente aumenta insieme ai livelli di sviluppo, e diminuisce solo quando i paesi salgono nei gruppi a sviluppo avanzato. Questo vuol dire che se paesi poveri si arricchiscono, l’emigrazione crescerà.

Il mondo ha certamente bisogno di mezzi nuovi e più efficienti per affrontare prolungate crisi di rifugiati. Ma le idee proposte da Theresa May non rientrano in nessuna di queste due categorie.