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da La Repubblica (Torino) del 28 dicembre 2006

Torino – Le 60 mila storie dei nuovi europei

Vent’anni fa erano poche decine, nel 2004 sono diventati la prima comunità straniera.
Oggi molti di loro sono imprenditori, laureati, giornalisti.
La badante Cavaliere del lavoro Ilian invece ha creato un consorzio di imprese edili.
Gabriela ha aperto una lavanderia a Crocetta.

Venticinquemila ad ottobre 2006. Ma se ci aggiungi i “clandestini” la cifra raddoppia: quasi sessantamila in provincia di Torino. Gli uomini si chiamano soprattutto Vasile, George e Constantin. I nomi femminili più diffusi sono Elena, Michaela, Ana. Vent’anni fa a Torino erano poche decine. Nel 2004 il balzo che li ha fatti diventare la prima comunità di stranieri in città. Quasi tutti di Bacau e dintorni, una delle città emergenti degli ultimi anni, un tasso di offerta culturale fra i più alti della Romania.

Una ragione particolare? Con tutta probabilità solo quel rassicurante passa parola che per gli immigrati rappresenta una copertura di protezione: i primi partono ed esplorano; gli altri seguono, forti delle prime informazioni e consigli. La comunità è cresciuta. Un aumento esponenziale in pochi anni. Soltanto dal 2003 al 2004 il 37,6 per cento in più. Le prime ad arrivare sono state le donne, manualità invidiabile nei lavori di cura, colf e badanti, infermiere. Solo dopo i figli, che nel frattempo finivano un ciclo di studi all’estero, e i mariti. Che sono diventati operai edili. Con il tempo, e la tendenza a collezionare due o tre occupazioni insieme, anche imprenditori. I bambini sono tanti, soltanto nell’ultimo anno sono nati 1.290 piccoli rumeni. Significativo anche il numero dei nati di seconda generazione: 2.500.

Da non dimenticare, per chi la storia la vuole leggere dall’estremo opposto, il numero dei cittadini di nazionalità rumena che si trovano in prigione: 201 uomini, soltanto 15 donne. Molti dei quali finiti dietro le sbarre per violazione della legge Bossi-Fini. Con il primo gennaio quel capitolo è chiuso, si volta pagina: la condizione giuridica dei sessantamila si modificherà con la cittadinanza europea e di conseguenza cambierà anche il rapporto con la società che li ospita.

Laureati e diplomati sono circa il 50 per cento della popolazione. E i rumeni leggono. Molto più degli italiani divorano tutto. A cominciare dalla Gazeta Romaneska, il quotidiano nato a Roma quattro anni fa per la comunità che vive in Italia, per arrivare al neonato piccolo e bilingue mensile Noua Comunitate, un’idea dell’associazione “Terra del fuoco e Libera” che ha messo in piedi una redazione di giovanissimi italiani e rumeni.
La circoscrizione dove vive il numero più alto di cittadini rumeni è la tre, San Paolo: 3.453 residenti. Seguita dalla quinta, Barriera di Milano e dalle settima, Porta Palazzo. Ma non è della popolazione rumena chiudersi in comunità ristrette, sono sparsi su tutto il territorio. Gli studenti iscritti all’Università e al Politecnico nell’anno scolastico 2005/2006 erano 104, il 19 per cento. Un luogo familiare di aggregazione da sempre sono le chiese: le due ortodosse di via Cottolengo e via Accademia Albertina, la Battista, la Pentecostale, la Cattolica di piazza Savoia.

Tahar Ben Jelloun in “Le pareti della solitudine” scrive: «Cosa ne sappiamo degli immigrati, dei loro saggi, delle loro notti solitarie e pesanti?». Le storie dei rumeni che hanno scelto Torino raccontano quella fatica, la gavetta, i traguardi. E anche il successo, la cerchia di amici che si allarga, la realizzazione di un progetto.

Iulian Fricu
E’ un giovane imprenditore che il 7 dicembre ha realizzato il sogno di far nascere un Consorzio di imprenditori edili rumeni. Il nome è “Certo“, i giovani rumeni che hanno scommesso sulle loro forze sono già 35. Iulian ha una ditta che fattura bene, con 35 dipendenti. Impresa di costruzioni, ma anche disponibilità a rimuovere l’amianto e a bonificare. «Pagano bene – racconta – e il lavoro ti porta anche fuori Torino». Una moglie e due figli piccoli, una casa vicino a Buttigliera, una laurea in Scienze politiche conseguita in Romania: «In fondo a Torino non è stato così difficile».

Aurelia Mirita
In città è ormai un’istituzione. Chiunque abbia a che fare con la comunità rumena passa attraverso di lei. L’associazione Fratia, che significa “Fratellanza” è nata soltanto 4 anni fa e sebbene l’associazionismo non faccia parte della cultura rumena, è ormai un punto di riferimento per la comunità. Aurelia è sposata con un piemontese doc e ha quattro figli: «Per noi la meta del futuro è la rappresentanza», dice.

Viorica Nechifor
E’ giornalista e cura le pagine in rumeno del sito del Comune di Torino. Viene da Constanza, sul Mar Reno, ha una laurea in geografia e francese, un master post-universitario in giornalismo. Collabora per la Gazeta e per Metropoli e dice che a Torino ha trovato quello che cercava, l’opportunità di una crescita professionale: «I torinesi – racconta – non si scaldano facilmente. Ma poi si rivelano amici affidabili e preziosi».

Christian Gaida
Ha ottenuto una doppia laurea in Romania: psicologia e informatica. Da clandestino irregolare, ma soltanto per tre mesi dice, si è inventato un’impresa fantasma di help desk, aiuto alle imprese. «Mi sono messo in proprio da clandestino e funziona bene, la richiesta c’è», racconta. Ha trent’anni ed è arrivato a Torino per non lasciare sola la mamma che qui lavorava come badante. Adesso, nei panni di laureato in psicologia, collabora ad un progetto dell’associazione Terra del fuoco per l’integrazione dei rom. Si occupa di sostegno psicologico ai bimbi del campo di Borgaro. Il suo sogno? «Aprire un azienda di informatica appena sarà possibile».

Magdalena Lupu
Caporedattrice di Noua Comunitate. Anchorwoman di una Tv rumena al suo Paese, ha poco più di trent’anni. È arrivata in Piemonte quattro anni fa. Di giorno faceva la badante ad Asti, la sera giornalista volontaria per Noua Comunitate. Quando il suo anziano assistito è morto, ha ricominciato a fare la giornalista a tempo pieno.

Gabriela Martinescu
Ha trentasei anni e a novembre ha realizzato il sogno di aprire una lavanderia in zona Crocetta, davanti all’ospedale Mauriziano. Per ora non ha dipendenti, fa tutto da sola. Ha lavorato in una tintoria per sei anni, dopo essere arrivata a Torino da Brasov: «Volevo scoprire un mondo nuovo, avevo la curiosità di vivere un po’ fuori dal mio Paese dove facevo l’impiegata». Si è sposata con un italiano e adesso è separata: «Torino è una città che mi piace, assomiglia un po’ alla mia. Resta la nostalgia, ma si impara a conviverci».