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di Verena Tonelli

Torino – Nel Cpt di C.so Brunelleschi gli abusi non sono finiti

Ad un mese dalla tragica morte di Hassen ancora nessuna versione ufficiale dei fatti

L’ultima segnalazione è del 19 giugno:
Alcuni giornalisti sono entrati nel Cpt per intervistare i
detenuti. Alla domanda “che cosa mangiate?” i detenuti hanno risposto
“psicofarmaci”. Una volta spente le telecamere, una donna che lavora
all’interno del Cpt, non si sa se con una divisa bianca, blu, o verde
mimetico, ha minacciato uno degli intervistati dicendogli: “tu parli
troppo, anche al telefono. E la prossima volta che ritorno, tu non ci
sarai.” E non si tratta certamente di un augurio di pronta
scarcerazione.

E’ trascorso meno di un mese dalla tragica morte di Hassen Fathji, il giovane ragazzo tunisino deceduto nel CPT di Corso Brunelleschi a Torino e ancora si torna a parlare proprio di questo centro. Ancora una volta, i motivi riguardano le violazioni dei diritti dei detenuti, le presunte violenze, le minacce e i soprusi a danno dei migranti che si trovano rinchiusi al suo interno.
Dopo settimane di silenzio intorno a quel drammatico fatto, vogliamo riproporre uno sguardo su ciò che accade dietro i muri del CPT di Torino, e che, con tutta probabilità, accomuna le storie dei tanti migranti rinchiusi nei centri sparsi sul territorio italiano.

Si apprende così della storia di un altro immigrato tunisino, sposato in Italia con una donna romena e con un figlio, che secondo le testimonianze avrebbe perso l’udito da un orecchio in seguito agli schiaffi inferti dal personale di polizia perché si era opposto all’espulsione iniziando uno sciopero della fame: “Chi rompe viene preso, ammanettato, portato di là, dove non ci sono telecamere, e giù botte”. Questa purtroppo non è l’unica testimonianza del ricorso alla violenza da parte del personale di sicurezza, ma solo una tra le tante voci che cercano di richiamare l’attenzione su quello che accade all’interno di questi centri, lontano dagli occhi di tutti.

Sono tanti i racconti di presunti abusi e violenze, di persone ammanettate e condotte in quella che Orsola Casagrande, ha definito la “stanza dei pestaggi”. Come racconta in un suo recente articolo: “Questa stanza dei pestaggi è ricorrente nelle storie di tanti e non solo nel centro torinese.
Anche negli altri cpt infatti i detenuti raccontano di essere stati portati ammanettati in una stanza e lì pestati a sangue: fare denuncia è difficile e comunque molto spesso la stessa denuncia non ha seguito”.
A queste violenze fisiche si aggiungono quelle psicologiche, oltre alle conseguenze derivanti dalle espulsioni che proprio in questi giorni stanno avvenendo nei confronti dei migranti reclusi a Torino, alcuni dei quali erano stati testimoni della morte di Fathji. In alcuni casi sembra che non siano nemmeno state espletate le procedure di identificazione con il rischio di rimandare questi migranti in Paesi diversi da quelli di origine.

I gravi avvenimenti che continuano a rendere protagonista il centro di nuova generazione di Torino, portano a dover fare alcune altre considerazioni. Primo, proprio la disposizione della struttura stessa, divisa in 3 zone (una sezione femminile e due maschili, la zona rossa e la zona blu, divise prevalentemente su base etnica e oggi sovraffollate) crea delle aree buie, nascoste agli occhi delle telecamere interne e degli altri detenuti, che permettono una grande libertà di azione al personale di guardia.
Secondo, il personale di sorveglianza risulta avere una discrezionalità che va ben oltre quella prevista dal regolamento. Se infatti il personale dell’Ufficio immigrazione sembra attenersi a questo in modo corretto, le Forze di Polizia, i Carabinieri e la Guardia di Finanza presenti nel centro, sono spesso protagonisti degli abusi e delle violenze denunciate dai migranti, sintomo questo di un’eccessiva libertà discrezionale e assenza di controllo. Tutto ciò avviene spesso sotto gli occhi indifferenti del personale della Croce Rossa che si occupa della gestione del centro, già resasi protagonista in senso negativo nella vicenda di Fathji e che a volte, lungi dal sostenere almeno dal punto di vista sanitario i bisogni dei detenuti, si dimostra negligente se non addirittura complice nel calpestare i diritti dei migranti.
Infine, è stata da poco firmata una convenzione tra il CPT e il SERT che ha permesso il modificarsi della composizione dei reclusi poiché anche persone tossicodipendenti possono essere trattenuti al suo interno. Senza dubbio questo comporta nuovi problemi da fronteggiare, oltre a permettere maggiori soprusi da parte del personale di controllo verso questi soggetti ancora più deboli e ai margini.

Le vicende descritte sembrano incastrarsi perfettamente nel clima generale di “paura dello straniero” creato soprattutto dalle notizie mediatiche e dal parallelo aumento delle risposte repressive da parte del governo nei confronti della questione immigrazione. Clima e misure che non riguardano solo l’Italia, ma che purtroppo stanno prendendo piede in tutta Europa. Proprio in questi giorni è infatti stata approvata la Direttiva Europea sui rimpatri che aumentando i mesi di detenzione nei CPT e non prevedendo misure a tutela di categorie deboli (anche i minori possono essere detenuti, anche se non accompagnati, come pure le vittime di tratta ecc.) rischia di abbassare notevolmente gli standard, già minimi, di tutela dei migranti.

Con l’approvazione della Direttiva rimpatri si è messo al centro la lotta alla clandestinità, sono state incentivate le misure repressive volte a fermarla (anche se la loro efficacia è costantemente messa in discussione dall’inarrestabilità dei processi migratori), senza tuttavia prevedere delle misure positive riguardanti i canali autorizzati di ingreso, né delle garanzie nei confronti degli stranieri. Si è guardato al fenomeno migratorio come pericolo da contrastare e i diritti umani sono stati relegati in una posizione marginale se non completamente assenti dentro un quadro normativa che prevede una disciplina di carattere speciale per gli stranieri. Il rischio è che anche Paesi con standard più elevati in materia di immigrazione si sentano legittimati ad abbassarli.
Certe cose non accadono solo a Guantanamo.

Vedi anche:
Morte al CPT di Torino – Intervista all’Avv. Gianluca Vitale in visita alla struttura
Cpt di Torino – La Croce Rossa non cura i malori fino a quando non finiscono le proteste
Torino, presunte violenze ai danni di un immigrato del Cpt
«In quel cpt una stanza dei pestaggi»