Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da il manifesto del 2 settembre 2007

Tra i disperati della città dei saperi

di Clelia Cirvilleri da Pavia

I materassi e le coperte sono ancora stesi un po’ dappertutto; ma di asciugarli il pallido sole d’inizio settembre non vuole saperne, dopo il temporale che giovedì notte li ha inzuppati per ore. E, con loro, le decine di rom che avrebbero dovuto dormirci sopra. Ieri, il campo provvisorio che il comune di Pavia ha allestito per accogliere i circa 140 cittadini rumeni di etnia rom (di cui 70 minori) che «occupavano abusivamente» i capannoni industriali della vecchia fabbrica della Snia viscosa, si svegliava al suo secondo mattino. Che sarà, probabilmente, il penultimo. Nella giornata di oggi, domenica, i volontari della Protezione civile di Milano, che ha prestato le due grandi tende, una per alloggiare gli sfollati e l’altra per sistemare una cucina da campo della Croce Rossa, verranno a smontare tutto e a portarselo via.
Il sindaco diessino Piera Capitelli aveva da tempo promesso lo sgombero. A nulla sono valse alcune interrogazioni parlamentari e l’attenzione della stampa, che all’inizio dell’estate si era accorta di questa storia esemplare di un nord ricco e progressista che non si fa tanti scrupoli quando ad andarci di mezzo non sono i suoi cittadini ricchi e progressisti. L’«allontanamento» dei rom si è svolto con puntualità quasi teutonica: era previsto per mercoledì 29, ma il Pavia giocava in casa contro il Monza e quindi le forze dell’ordine non disponevano di personale sufficiente. Poco male: si è fatto giovedì (il Pavia aveva vinto due a zero).
Alle sei del mattino, già sotto la pioggia battente, gli «occupanti» hanno raccolto quello che potevano e sono stati ammassati in uno spiazzo di poche centinaia di metri, accanto all’ingresso della Snia. E lì sono rimasti per ore, senza che nessuno sapesse precisamente cosa farne. Interrogati sui possibili scenari del dopo-sgombero, i responsabili dell’amministrazione, l’assessore ai Servizi sociali Francesco Brendolise in testa, hanno sempre fornito una risposta che a tutt’oggi rimane indecifrata: «I rom si disperderanno».
«Non mi ricordo i nomi dei miei nipoti, ma di questi bambini sì, li conosco uno ad uno»: Gabriella è una volontaria della Caritas, che per accorgersi dell’emergenza Snia non ha aspettato il clamore delle ultime settimane. Per mesi si è avventurata fra i mozziconi di edifici che ancora puzzano del solfuro di carbonio e delle particelle di rayon che hanno fatto ammalare decine di operai e poi chiudere lo stabilimento, 25 anni fa. Tutti le chiedono qualcosa: pannolini, il biberon da riempire, un bacio le bambine che le giocano intorno. Discute di cucina con le signore, che hanno già acceso il fuoco per il pranzo. Spiegano come si prepara un Saramura, con ali di pollo, peperoni ed aglio. Un uomo si inserisce nelle nostre chiacchiere: è alto, simpatico e corpulento, e parla un eccellente italiano. «In Romania ci potevamo permettere solo zuppa di patate, quando andava bene», ricorda. «Ad un certo punto mia moglie mi ha detto che non ce la faceva più. Avevamo una casa, ma nessun avvenire per i nostri figli». Ora lui lavora un po’ come autista e un po’ come muratore, quello che trova. La moglie fa le pulizie nelle case di alcune signore pavesi. I cinque figli, racconta con fierezza, vanno tutti a scuola. Il più grande è alle superiori, studia per diventare geometra.
Gli uomini del campo si sono messi i guanti di gomma e, aiutati dai ragazzini più grandi, spazzano l’asfalto e raccolgono i resti della notte nei sacchi dell’immondizia. Le forze dell’ordine osservano, rispettose. C’è anche il funzionario dell’Ufficio immigrazione: formalmente sono tutti cittadini comunitari, ma sono già stati spiccati una ventina di «provvedimenti di allontanamento». Inutili, di fatto, perché non prevedono alcuna sanzione in caso di mancato adempimento. Lo sanno benissimo in questura, ma la sensazione è che non esista alcuna linea ufficiale per la gestione della crisi. O meglio, che la linea sia sempre quella della «dispersione». Si dice, per esempio, che nelle ultime settimane il comune e poi la prefettura abbiano tentato diverse «mediazioni private» con le singole famiglie: 250 euro, poi addirittura 4mila, per ritornare in Romania.
«Siamo europei», «no al razzismo», «vogliamo solo esistere»: il campo è popolato di striscioni e cartelli improvvisati, scritti con grafia incerta sulle lenzuola bianche o sul cartone. Alcuni sono stati preparati giovedì, quando, subito dopo lo sgombero, un piccolo corteo ha raggiunto il bel palazzo barocchetto Mezzabarba, sede del Comune. Le porte sono rimaste sbarrate, e tre uomini della comunità hanno deciso lo sciopero della fame. All’inizio erano molti di più: ma i volontari hanno convinto a mangiare chi ha un lavoro.
«Sciopero della fame per il diritto ad una vita migliore», recita lo slogan più grande. Quando arriva Giovanni Giovannetti, presidente del Circolo Pasolini, l’associazione che più e prima di tutte si è battuta per denunciare e risolvere la situazione della comunità della Snia, il suo nome risuona in talmente tante voci che non ci sarebbe bisogno di presentarci. Per discutere con calma ci sediamo all’interno del tendone, su uno dei letti di fortuna che le donne hanno già ricoperto con stoffe colorate, ben rimboccate agli orli. «Quello che vedi è un’emergenza democratica», comincia. Le autorità e chi ne fa da cassa di risonanza parlano di problema umanitario, o di ordine pubblico. Ma è un modo per distogliere volutamente il fuoco dell’attenzione: «Bisogna tornare a discutere sulla base delle questioni essenziali: legalità, diritti, doveri».
Fra pochi giorni, il cinque settembre, Pavia e il suo secolare ateneo accoglieranno la seconda edizione del Festival dei Saperi. Una kermesse che inviterà i grandi nomi della cultura e della scienza a discutere di «Nuova città e nuova democrazia». A scorrere il programma si incontrano parole come «Tolleranza», «Equità», «Legalità». Stefano Rodotà aprirà con una lezione su «La nostra vita e il diritto»; interverrà Barbara Pollastrini, ministro per le Pari opportunità. Diritto, diritti: come sugli striscioni del campo rom?
«Hanno sete di integrazione, non parlano d’altro». Giovanni racconta mesi di trattative fallite: «La soluzione che abbiamo sempre proposto al Comune è molto semplice: lavoro, casa, scuola. Raccogliendo i soldi che sono stati proposti alle famiglie per andarsene, si potrebbe costituire una cooperativa di autocostruzione delle loro nuove case».
Un’utopia? Quattro anni fa, nell’inverno del 2003-2004, Walter Minella, assessore della precedente giunta, sempre di centro-sinistra ma guidata da un sindaco in quota Margherita, aveva aperto una strada in questo senso. All’epoca i rom erano una cinquantina: per tutti il Comune ha trovato un alloggio ad affitto controllato e i bambini sono stati iscritti a scuola. Poi «la situazione non è stata governata», altri rumeni sono arrivati e la nuova amministrazione non ha preso ulteriori provvedimenti. In un piccolo centro in provincia di Pavia, Sant’Angelo, il comune ha sostenuto i rom nella ricerca di casa e lavoro. Tutto si è risolto in pochi mesi, senza clamore.
Giovanni parla dei lavavetri, di una sinistra «in piena mutazione antropologica», che si innamora delle parole d’ordine della destra. «Quali sono i veri problemi del paese? La mafia? L’evasione fiscale? Il disagio dei giovani che non trovano un lavoro stabile? No, i veri bubboni sono i lavavetri e i nuovi migranti». A Pavia, come nel resto d’Italia, la sinistra fornisce ai temi della legalità e della sicurezza contenuti inediti: «Chi sperava di vedere l’Italia libera da mafia e camorra per il momento si dovrà accontentare dei semafori».
Arriva Irene Campari, «Nene» per tutti nel campo. È consigliere comunale, uscita dalla maggioranza pochi mesi dopo le elezioni che avevano eletto il sindaco Capitelli, nella primavera del 2005. All’epoca Presidente della commissione servizi sociali, aveva sollecitato l’assessore Brendolise perché si studiassero soluzioni per i rom della Snia. «Mi ha risposto che non si trattava di persone degne della loro attenzione». Giovedì, per le stesse ragioni, Rifondazione Comunista ha annunciato che abbandonerà il governo della città, che entrerebbe in questo caso in una seria crisi.
Ieri Giovanni, Irene e i rappresentanti sindacali sono stati convocati dal prefetto, Ferdinando Buffoni, «una persona seria che ha molto rispetto per la dignità dei rumeni sfollati». «Per loro vale ancora l’Abc del marxismo», riflette Giovanni: «Il lavoro nobilita l’uomo».