Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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da Il Manifesto del 30 dicembre 2003

Trapani scommette sull’accoglienza di Stefano Galieni

Trapani – Una scommessa vinta, frutto del lavoro caparbio e capillare di compagne e compagni siciliani appartenenti alle più diverse anime del movimento, unite dalla determinazione a non dimenticare, a pretendere giustizia per i morti, diritti e libertà per i vivi. Pochi e immediati concetti danno il senso della manifestazione che ha visto domenica pomeriggio, almeno 2000 persone sfilare per il centro storico di Trapani, accostarsi con rabbia alle gelide mura del “Serraino Vulpitta”, Cpt fra i più famigerati, oggi chiuso per ristrutturazione. Ricorreva un anniversario tragico, di quelli che la storia ufficiale rimuove, una vicenda senza lieto fine e che mal si adatta alla melassa buonista delle festività natalizie. Da dimenticare, come il naufragio di Porto Palo, nella notte di Natale del 1996: 283 i migranti, morti a bordo della Johann, ma la cifra è calcolata per difetto.
Il rogo del Vulpitta, la morte atroce, rapida per tre ragazzi maghrebini, lenta e ancor più inenarrabile per altri tre, urla giustizia. C’è un processo che si trascina: l’ex Prefetto, sotto accusa per omicidio colposo plurimo, scarica le responsabilità sulla questura e sugli agenti di guardia. I materassi che prendevano fuoco, una chiave che non si trovava, una sbarra che non si alzava; basta poco per morire in luoghi in cui il diritto non ha voce.

Se una manifestazione così partecipata è stata possibile in una città tanto decentrata, lo si deve ad un lavoro di preparazione la cui entità è emersa nitidamente nell’assemblea che ha preceduto il corteo, iniziata nel pomeriggio di sabato e proseguita poi in mattinata. C’è stato un periodo di difficoltà ma l’urgenza delle tematiche e la necessità di mettere in relazione esperienze, percorsi, modalità di intervento, paiono aver avviato un processo che porterà ad un coordinamento delle realtà dell’isola che si occupano di immigrazione. Tanti i punti condivisi nel documento conclusivo: su tutti l’obiettivo di giungere alla chiusura definitiva dei Cpt, la realizzazione di nuove e più forti esperienze di accoglienza, il rifiuto non solo della Bossi Fini in quanto legge che regola il mercato del lavoro ma anche della Turco Napolitano, che con il suo impianto sicuritario ne è stata l’antesignana.

Un coordinamento la cui forma è ancora da definire ma che vuole coinvolgere tutta la Sicilia, mobilitandosi già per il 31 gennaio – giornata del movimento europeo per i diritti dei migranti – e che realizzerà campagne di contro informazione nel territorio, di assistenza legale e socio sanitaria. Tra le tante esigenze emerse, quella di seguire con continuità il processo per il naufragio di Porto Palo contribuendo anche al reperimento dei fondi necessari al recupero del relitto. E’ già possibile farlo presso il c/c postale del Ciss n. 13683909 specificando la causale.

La ricchezza degli interventi emersi in assemblea non è riassumibile: tante le esperienze maturate in silenzio che si sono potute confrontare. Contributi sono giunti anche dal Tavolo nazionale migranti, dall’Arci, e dal deputato del Prc Titti De Simone. Emotivamente forte nella sua lucida e puntuale narrativa, l’intervento di Valeria Bartolino del Coordinamento trapanese per la pace, che da anni segue le storie di ognuno di coloro che transita nelle celle del Vulpitta: «Non si tratta di storie di vita – ha ricordato – perché la vita è altrove, non lì dentro».

Dopo che si è sciolta l’assemblea, una delegazione guidata da Titti De Simone e dal deputato regionale del Prc Santo Liotta, è entrata nel centro di identificazione per richiedenti asilo in località “Salina Grande”. Un posto sicuramente più accogliente del “Vulpitta” in cui c’è, per ora, libertà di moviment. Alcune stanze con grate e sbarre, il fatto che a gestirlo sia la stessa cooperativa che gestisce il Vulpitta, genera inquietudine. Si rincorrono voci che vogliono questa struttura, capace di contenere 150 persone, come il prossimo Cpt trapanese. Una ipotesi che non è scartata neanche dall’attuale prefetto di Trapani che ha avuto un lungo colloquio, prima che partisse il corteo, con altri due deputati del Prc, Graziella Mascia e Giovanni Russo Spena. Quasi in contemporanea, il deputato regionale verde Lillo Miccichè, entrava a sorpresa nel Cpt di Agrigento, tante le storie assurde raccolte, fra tutte quella di un uomo di 59 anni che da 33 anni vive e lavora al nero a Canicattì. C’è chi in paese sta raccogliendo firme per liberarlo.

Nella centralissima Piazza Vittorio Emanuele, 4 anni dopo, c’erano ancora tutti, giunti da ogni angolo della Sicilia ma anche da Roma, da Modena e poi da Belgio, Austria, Germania.

I colori e i simboli erano quelli che per tutto il 2003 hanno riempito le piazze di mezzo mondo: le bandiere della pace, del sindacalismo di base e della Cgil, dell’Arci, di Attac, degli anarchici, delle tante identità vecchie e nuove del movimento. Forte e visibile, la presenza dei Giovani Comunisti, soprattutto da Palermo, numerose le bandiere del Prc.

Compatta la presenza dei ragazzi dei centri sociali come il Laboratorio Zeta di Palermo, che sostiene una comunità sudanese. Attimi di tensione hanno attraversato i presenti quando si è giunti al muro di cinta del centro: sono volati innocui petardi, gli slogan sono diventati più duri, gli agenti di polizia hanno indossato i caschi e sfoderato i manganelli. Ma tutto è andato per il meglio, ha prevalso la voglia di comunicare ad una città in festa, che per molti e molte le feste non esistono quando si è dietro le sbarre, quando si è stranieri e sfruttati, quando la vita è ancorata ai voleri di un padrone che solo l’ipocrisia fa chiamare “datore di lavoro”.