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da Il Gazzettino del Nord Est del 15 novembre 2006

Trapianti, 5 organi su 100 donati dagli immigrati

Il 5 per cento degli organi che vengono trapiantati nel Veneto, provengono da immigrati. Anche parte delle sacche di sangue che concorrono a sostenere il fabbisogno degli ospedali della regione e vengono “esportate” in Sardegna, Sicilia e Lazio, sono frutto della donazione degli extracomunitari. Il “dono” sta entrando nella cultura degli stranieri che si sono integrati nel nostro tessuto sociale, anche se le percentuali di rifiuto sono più elevate rispetto a quelle degli italiani: dal 28 per cento dei locali, si passa al 50 per cento degli stranieri. Pare che la colpa sia delle barriere linguistiche, della difficoltà a comprendere l’importanza del gesto, ma anche delle scelte religiose. Il cento per cento dei rifiuti alla donazione si è registrato fra cinesi, nigeriani e marocchini. Spesso il ruolo dei ministri di culto delle altre religioni è stato determinante per aiutare i parenti a dare l’assenso.

L’integrazione si misura in tutti i campi: da quella che matura nell’ambito del mondo del lavoro o della scuola, ai piccoli gesti di solidarietà che avvengono nel campo della medicina. Molti degli organi che sono stati trapiantati nei veneti sono stati prelevati da immigrati, così i tessuti e le cornee.

Se l’altruismo della gente veneta in termini di donazione è ai primi posti in Europa, altrettanto, rispetto la media nazionale, lo è quella degli immigrati che vivono nella nostra zona. Il 5% degli organi donati negli ultimi due anni è arrivato da cittadini stranieri, per la maggior parte si tratta di immigrati regolari provenienti dai paesi dell’Est – spiega Claudio Rago, direttore operativo del Centro trapianti del Veneto. Forse donano con un po’ meno di disponibilità, il 28% dei veneti nega l’assenso, una percentuale che sale al 50 per cento negli immigrati.

I motivi che frenano la donazione sono diversi, come spiega il dottor Rago: «Spesso un ruolo inibitore viene svolto dall’incomprensione linguistica. Ci sono persone che parlano dialetti e che non riescono a comprendere quando si cerca di spiegare quanto sta avvenendo. Un altro problema è legato alla differenza di trattamento che i pazienti immigrati percepiscono all’interno delle strutture sanitarie. Se si sentono diversi o discriminati, questo gioca un ruolo determinante al momento della scelta. Non ultima la provenienza, abbiamo infatti visto che esistono nazioni dove evidentemente la donazione non viene coltivata come un dono».

I dati e i fatti presentano uno spaccato abbastanza eterogeneo: i cittadini di Marocco e Nigeria hanno sempre rifiutato di donare (10 richieste, 100 per cento di rifiuti); tre no anche dai cinesi, totalità di assensi tra statunitensi e sudamericani; maggioranza di “sì” tra i rumeni.

«Non sempre sono i problemi religiosi a frenare la donazione di organi, in alcuni casi siamo stati anche aiutati dai pastori di altre confessioni, che hanno effettuato una seria opera di mediazione – spiega Rago – Certo ci sono confessioni che vietano la manomissione del corpo e impongono una sepoltura a cadavere integro, in questo caso diventa difficile poter convincere i familiari».L’età dei donatori stranieri è sovrapponibile a quella degli italiani: il 14% degli organi è stato prelevato a giovani fino a vent’anni, il 48% dai 21 ai 40, il 32% dai 41 ai 60 anni, il 6% dai 61 agli 80 anni. L’età così elevata in quest’ultima fascia di donatori è legato al fatto che anche a quell’età si possono prelevare cornee e tessuti.

Non sono mancate le donazione tra i viventi, 23 in due anni (20 reni e tre fegati). In questi casi anche per gli immigrati vige la stessa sensibilità che si trova tra le comunità di italiani: quando il medico propone la possibilità di aiutare un parente, di primo grado ma anche più lontano, non vengono assolutamente presentati rifiuti.Sono 13 i genitori che hanno donato una parte di sé ai propri figli, altre sei donazioni sono avvenute tra fratelli, e una rispettivamente da moglie e marito, figlio e genitore, tra cugini e tra cognati. Si tratta di albanesi nella maggioranza dei casi, ma ci sono stati anche egiziani, due cittadini serbi e un macedone. «L’idea è quella di promuovere un incontro interreligioso all’interno della regione per confrontarci proprio su questi temi – spiega Giampietro Rupolo, Coordinatore regionale per i trapianti – abbiamo visto che la solidarietà è maggiore quando veniamo aiutati nella mediazione anche da altre confessioni. Per gli abitanti dei Paesi dell’Est ad esempio, è stato spesso fondamentale l’intervento della rappresentante della Chiesa ortodossa, come abbiamo visto che l’Iman ci ha aiutato a risolvere situazioni che da soli non saremmo stati in grado di sistemare. Non dimentichiamoci che molti degli immigrati che si trovano a dover decidere se donare o meno di organi dei propri congiunti, vivono nella completa inconsapevolezza che insista anche questa possibilità terapeutica e quindi si trovano in un lasso di tempo molto breve, a doversi confrontare con un progresso scientifico che non conoscono, e con un immenso dolore legato alla perdita di un parente caro». Esiste poi un problena “non detto” e che mai apparirà nelle classifiche ufficiali: è anche accaduto che qualche parente di donatore italiano nel dare l’assenso si sia raccomandato che l’organo non andasse a un immigrato: una richiesta inutile, in quanto le liste d’attesa non conoscono colore di pelle, provenienza o religione, ma sono esclusivamente legate alla gravità in cui si trova il paziente, anonime e protette. Sono meno coloro che invece vogliono assicurarsi di non ricevere un organo da un immigrato.

Il Veneto, che in tema di trapianti si attesta ai primi posti in Europa, ha deciso di avviare uno studio sul rapporto tra immigrati e il gesto del dono.

Daniela Boresi